Capitano delle Cernide 22 Giugno 2009
Caro “Capitano delle Cernide”,
quando ho visto il suo commento un impeto mi ha attraversato mani e mente, perché avevo un ghiotto spunto per approfondire alcune riflessioni. Purtroppo la tirannide della “mancanza di tempo”, prima ancora di quella di un falsamente democratico Stato italiano, mi ha fatto desistere.
Ho ritenuto però di dover “promuovere” le citazioni da lei portate all’attenzione dei lettori di questo blog, dal rango di commento a quello di articolo; nulla cambia ai contenuti, vi è forse una maggior visibilità a beneficio di quanti vorranno soffermarsi sui concetti espressi. Appena possibile affronterò questi interessanti argomenti portando, spero, qualche nuovo motivo di riflessione. Ecco quindi, qui riproposte, le citazioni segnalate:
“Le richieste di promozione a lingua sono sempre di natura politica: esse si basano, in modo del tutto giustificato, sul contenuto sociopolitico dell’opposizione fra ‘lingua’ e ‘dialetto’. Conseguentemente, tali richieste sono armi politiche, che anticipano la situazione alla quale si mira fondamentalmente, cioè l’indipendenza politica”
(Mario Alinei)“Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta”
(Einar Haugen)“Un popolo vive quando vuole vivere”
(Ramun Vieli)
Danilo De Martin
13 commenti
Il Capitano delle Cernide commenta:
Qualche anno fa nel municipio di una cittadina della pianura veneta è stata affissa una targa sulla quale era scritto:
El segreto de ‘a feissità ze ‘a libertà e de ‘a libertà ze el corajo !
Pa’ fare servo e s-ciavo on popolo prima se compra i so poitici e dopo se scancea ‘a so cultura, se ghe toe ‘e so feste, i so costumi, ‘e so tradission.
Se ghe ciava co’ creanza i schei, se ghe sconde o se ghe imbroja ‘a so storia nasionae.
Se ‘riva anca a farghe fare ‘na guera contro i so fradei vissini e i fioi pi’ bei i more.
Se ghe rompe el fil de ‘a schena a forsa de farli lavorare e dopo se ghe cassa ‘na invasion de foresti che tuto inturbia smissia e ‘sassina.
Cussì ghe more anca ‘a dote più granda: ‘a so lengoa.
Pian pianeo el popolo perde ‘a so anima, no’ ‘l voe pì fare fioi e el scuminsia a desmentegarse queo che ‘el ze e queo ch’el ze stà.
Pesei Paghei Pichei
E’ forse una fotografia (triste ahimè!) del nostro Cadore odierno?
Sane!
Il Capitano delle Cernide
ddm commenta:
Magari fosse solo una fotografia. E’ un filmato che, fotogramma dopo fotogramma, con cinica perseveranza, continua a soffocare ciò che noi potremmo essere, perché già più non siamo.
nones commenta:
Ge ‘s voleva scomenzar arcanti ani endria. Come i à fat i ladini dle zinć valade, che però en bot che i a abù el so ricognosiment i s’à seradi entrà de ei senza aidar i fradièi che i parla lenghe dausine ala soa (Nonesi, Solandri, Cadorini e Comeliani). Ades che me sen nascorti che è dré a nar dut a remengo, adun ale nosse parlade, l’è forsit massa tardi. Inant en tut ge’s vuel che la zent la ciapissia el valor dla so lenga, e po ‘s puel parlar de recognossiment oficial. Ma senza l’un no veign l’auter, e senza ‘l prim, l’è difizil che nigja ancja el secont. L’è ciaign ch’ es mort la coa, o mièi en marden che ‘l se pareza a magnar e nglotir la nosa lenga morienta.
La cianzon de l’Anaunia
E’ nu ‘temp nuèu, o fiej d’Anaunia forta,
mossà che nossa lenga no l’è morta,
za tut la Val se muèu da Vic a Fon;
l’invèr l’è nà, adùn col fret e ‘l son
col fret e ‘l son!
Su ciampi e prai Floris la primaviera;
en festa grigna el bosc e la riviera.
‘N ta Gardena i fradièi i è tuti pronti,
lus el sol tan che ruèsa sora i monti,
su i nossi monti!
O Nones bel, t’as ciantà ‘l cruz del cuèr,
t’as dit mpò, ciar ladin ‘l bel e ‘l ver,
i tuèi poeti i à zurà: “No ‘l cogn morir”.
‘l nos parlar vivrà, p’r ‘l temp da nir,
ch’dut l’or y l’argent, de plu ch’uni savei
p’r ‘l temp da nir !
Il Capitano delle Cernide commenta:
La parola-chiave per interpretare i fenomeni che stiamo analizzando si chiama “ identita’ ” cioè la coscienza di appartenere ad una comunità specifica, quella ladino-cadorina.
Se non esiste CULTURA IDENTITARIA è evidente che la lingua ladino-cadorina muore, dato che soprattutto le giovani generazioni (ma non solo!) la percepiscono come espressione di sottocultura o addirittura di non cultura o di puro folclore rispetto alla “cultura ufficiale dominante”!
Ha scritto G. ONETO : “Ogni comunità tende, in altre parole, a creare una cultura identitaria che costituisce un forte legante interno e un segno di diversificazione verso l’esterno; questa cultura è il frutto della sovrapposizione fra i caratteri propri del gruppo che la produce e quelli dello spazio fisico dove vive. Per questo la cultura identitaria è il più forte segno di unità fra popolo e territorio, di simbiosi fra la terra e chi ci vive da sempre. La tradizione identitaria genera modi di espressione originali in qualsiasi manifestazione culturale, con la sola eccezione delle scienze esatte che, proprio perché esatte, sono universali. Le differenze sono invece evidenti in ogni altra manifestazione e tendono a essere ancora più evidenti in quelle che riguardano gli aspetti più famigliari della vita quotidiana (la lingua, la cucina, l’abbigliamento) o che coinvolgono qualche forma di simbolismo o di spiritualità (l’arte, la religione, il patrimonio sapienziale). Ognuna di loro è il risultato dell’aggiustamento (collaudato per tempi lunghissimi) dei caratteri propri della comunità con quelli del territorio in cui vive e di cui è diventata parte fisica e spirituale.”
La CULTURA IDENTITARIA si basa cioè essenzialmente sulla conoscenza di ciò che siamo, che deriva da ciò che sono stati i nostri padri.
«Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.» (G. Orwell)
Perciò la “battaglia storica” ha almeno la stessa dignità e la stessa importanza della “battaglia linguistica” nel contesto della “battaglia per la CULTURA IDENTITARIA”!
Spesso mi domando quanti Cadorini abbiano mai letto almeno una pagina della fondamentale “STORIA DEL POPOLO CADORINO” di GIUSEPPE CIANI (per non parlare del Ronzon, del Fabbiani, etc.)….eppure là sono le nostre radici, là sono i valori dei nostri padri.
Solo da là può rinascere l’ “orgoglio cadorino” , dall’inevitabile confronto della nostra ancestrale civiltà con le altre!
Solo chi si arrende è veramente sconfitto !
Sane!
Il Capitano delle Cernide
Danilo De Martin commenta:
In tema di identità. Un mio conoscente va, per lavoro, a fare dei montaggi in Val di Fassa, passando lì 3 giornate. Alla sera, alleviata la tensione del lavoro, quando la convivialità rasserena gli animi, si giunge a: “Ma tu, da dove vieni?”. Risposta: “Da Lozzo di Cadore, un paese …”. L’interlocutore lo interrompe: “Ah, ma allora sei un fratello ladino!”.
Tornato nel suo Cadore, questo mio conoscente mi trova e mi racconta sorpreso questo fatto, aggiungendo: “Ma allora, siamo davvero qualcosa!”.
“Sì, certo, solo che, come vedi, abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ce lo faccia notare” (detto per inciso, non so quanti fassani sarebbero poi d’accordo con questo loro conterraneo, con la prospettiva “politica” cioè di pensare ad una Ladinia Unita che veda anche i Cadorini accomunati agli altri popoli ladini). Se uno vive la propria identità da dentro, lo puoi mettere anche in mezzo al deserto, ma la sua identità rimarrà integra e troverà alimento da sé stessa. Ma anche per l’identità ci vuole un “imprinting”: se quando nasci senti il “soffio della ladinità”, allora è possibile che tu riesca a portartela per sempre nel cuore. Ma un insieme di congegni si sono dati via via appuntamento ed hanno dato vita ad una lenta, indolore, quindi non percepita, demolizione della nostra identità.
Sono d’accordo: l’identità linguistica che siamo riusciti a far sopravvivere fino ad oggi (i brandelli che ne restano), deve darci lo spunto e la forza per scavare nel nostro passato, recuperando la nostra identità storica e, con essa, dare fondamenta e ricostruzione alla nostra Cultura Identitaria.
Si tratta di capire come.
nones commenta:
Se dalbon crezeu ala vossa identità parché po seitau a scriver par talian? Se scomenza ancja da ste piciole robe…
Danilo De Martin commenta:
Nones, come darle torto? Lei ha 99 ragioni a suo favore. Io ne ho una sola che, con un po’ di vergogna (molta per me), si può tentare di spiegare. Lo devo fare però in un’altra occasione, perché questo è per me un brutto periodo (solo per il tempo a disposizione). Non intendo sottrarmi a questa giustificata e “pesante” osservazione, così come vorrei aggiungere due righe al suo interessante commento del 12 luglio scorso “Ge ’s voleva scomenzar arcanti ani endria”. La ringrazio davvero per questi suoi interventi. Sane.
Il Capitano delle Cernide commenta:
TUTTI DEVONO POTER CAPIRE perchè sono problemi che superano i confini del Cadore, del Bellunese e anche del Veneto!
I “minoritari” se vogliono farsi capire anche dai “maggioritari” devono usare la lingua franca!
Sane.
Il Capitano delle Cernide
Danilo De Martin commenta:
In maniera lapidaria ma senza alcun dubbio efficace, il Capitano delle Cernide ha sintetizzato quello che volevo dire io. In realtà volevo articolare la mia risposta con alcune considerazioni su una mia visita di qualche anno fa alla Radio di Coira, la ladinia dei Grigioni, davvero un altro pianeta. Vi sono mille altre occasioni in cui l’utilizzo della lingua madre è da incoraggiare e sostenere, e già questo sarà uno sforzo titanico, ma quando intendiamo rivolgerci ai “maggioritari” non possiamo che farlo attraverso una lingua franca. Ed è questa la chiave corretta dell’utilizzo dell’italiano: in questo ambito va considerarla né più né meno che una lingua franca.
Sane.
nones commenta:
Ok posso darvi ragione, effettivamente non ci avevo pensato. Bisogna però iniziare ad abituarci a comunicare per iscritto nella nostra lingua, per mostrare la propria ricchezza e la potenzialità comunicativa. Altrimenti essa sarà vista come un fossile, capace solo di raccontare vecchi mestieri ormai scomparsi!
Il Capitano delle Cernide commenta:
L’uso orale e scritto della lingua madre è solo una delle naturali conseguenze dell’orgoglio di appartenere alla nostra comunità etnica ladinocadorina, fondata su valori specifici ed originali, affinatisi nel corso dei secoli nel nostro contesto storico-ambientale. Se non partiamo da questa fondamentale constatazione, potremo fondare tutti gli istituti ladini che vogliamo, tutte le associazioni ladine che vogliamo col nobilissimo scopo di tutelare la nostra lingua madre, ma saranno tempo e risorse buttati al vento. La cultura e la lingua del nostro popolo cadorino sono “solo” dei marcatori della nostra identità, e questa non vuole essere assolutamente un’interpretazione riduttiva.
Quanti grandi scrittori Cadorini hanno usato tranquillamente(ma solo quando era indispensabile!) la lingua franca senza per questo sentirsi minimamente sminuiti nella loro “cadorinità”! Anche Tiziano Vecellio scriveva in lingua franca al Consiglio della Magnifica Comunità di Cadore, il governo supremo della nostra “piccola Patria”, ma esprimeva il suo spirito identitario e di appartenenza non usando mai i titoli nobiliari conferitigli dall’imperatore Carlo V° per i suoi altissimi meriti artistici (Conte Palatino e Cavaliere dello Speron d’Oro che implicavano poteri notevoli), perché la Magnifica Comunità Cadorina, vera repubblica di “eguali”, lo vietava!
E’ dunque importante che i nostri fratelli Cadorini parlino e scrivano nella nostra lingua, ma è ancora più importante che siano fieri di appartenere ad una Comunità antichissima e civilissima, che ad esempio praticava l’autogoverno, la democrazia, ed il muto soccorso da tempo immemorabile tramite le Regole e le Centurie, una Comunità che da molti secoli , nonostante la ristrettezza delle risorse, garantiva l’assistenza sanitaria gratuita per tutti, una Comunità che in vasti territori europei ed italici, dove l’analfabetismo era la regola, pagava i maestri che venivano da fuori per istruire i ragazzi. Sono stati i nostri padri che ci hanno tramandato, difendendolo saggiamente, l’ineguagliabile patrimonio ambientale in cui viviamo tuttora. Il lavoro e lo spirito imprenditoriale sono sempre stati valori positivi, mai occasione di sfruttamento e oppressione verso i fratelli o paravento per ingiusti privilegi. Qui non sono mai esistititi né castelli nè signorotti feudali come in tanti stati vicini, ma solo una libera comunità di eguali innamorati della propria libertà e disposti a sacrificare per essa tutto,anche la loro vita: la storia delle Cernide lo conferma! Le resistenze militari (quasi sempre vittoriose) contro le sgrinfie voraci degli Asburgo e dei loro vassalli tirolesi, che ebbero la loro epopea cinque secoli fa e successivamente le vicende del ’48 con Calvi, sono solo due dei momenti fra i più significativi in questo senso! Per questo abbiamo sempre avuto un feeling speciale,basato sul reciproco rispetto oltre che sulla reciproca convenienza, con la plurimillenaria Repubblica di Venezia, per molti versi tanto simile a noi! Non so perché, ma quando penso a queste cose mi viene sempre in mente la storia della Svizzera!
Poi purtroppo è arrivata l’Italia…..ma questo è un altro discorso…….
Se i nostri fratelli Cadorini non dimenticheranno queste e mille altre cose relative alle nostre radici, anche il problema della nostra lingua troverà una sua naturale e favorevole soluzione, o almeno questa risulterà enormemente semplificata: ne sono profondamente convinto!
Sane!
Il Capitano delle Cernide
Il Capitano delle Cernide commenta:
IL CIMBRO VERRA’ INSEGNATO A SCUOLA!
http://www.ansa.it/site/notizie/regioni/veneto/news/2009-08-12_112409740.html
FORZA ISTITUTO LADIN DE LA DOLOMITES !!!
FORZA UNIONI LADINE DEL CADORE !!!
Sane!
Il Capitano delle Cernide
Il museo ladino di Lozzo di Cadore – “Al Museo Ladin de Loze” » BLOZ – il blog su Lozzo di Cadore Dolomiti commenta:
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