UNA BREVE NOTA LINGUISTICA

di Loredana Corrà

 

La raccolta di testi presentata in questo volume costituisce un interessante corpus di brani orali, fedelmente trascritti, che permette di conoscere la parlata usata quotidianamente dalle persone anziane del Centro Cadore. La parlata varia leggermente, come si può desumere dalle trascrizioni, da paese a paese : così il 'campanaccio con il collare' viene chiamato da una parte sanpògna, da un'altra tantèl ; il 'caprone' béco o còcio; il ‘telo da fieno’ cuèrta, lenthuó o varòt. Ancora più numerose sono le varianti fonetiche che traspaiono dai testi: viéstra/biéstra 'bracciata di fieno'; autevuói/utigói 'fieno di secondo taglio'; aga/èga 'acqua'.

D'altra parte non è da meravigliarsi di questo perché da sempre i linguisti hanno rilevato la varietà diatopica della lingua anche in ambito geografico ristretto. Forse può suscitare più sorpresa che sia lo stesso parlante a usare forme fonetiche o morfologiche alternative a breve distanza, come avviene con una certa frequenza nei testi raccolti in questo volume: fuogo/fogo. Ma anche questa variabilità individuale si può facilmente spiegare se si tiene conto che il repertorio linguistico[1] di un abitante del Cadore comprende generalmente più varietà (dialetto cadorino più conservativo, dialetto cadorino venetizzato o italianizzato e italiano) tra cui il parlante sceglie a seconda della situazione in cui si trova a comunicare.

I testi registrati sull'allevamento bovino ci testimoniano, come dicevamo, la parlata delle persone anziane[2] e un lessico, quello relativo all'allevamento e alla fienagione, particolarmente conservativo perché legato a pratiche e ad attività ormai in gran parte abbandonate[3].

Partendo dall'analisi dei testi registrati e dal Glossario curato da Paola Cason si intende qui mettere in rilievo le principali caratteristiche linguistiche della varietà cadorina e cercare di cogliere affinità e differenze con le parlate contigue: i dialetti ladini ufficialmente riconosciuti come tali (i dialetti delle valli del Sella, ampezzano, dialetti del Comelico, friulano), i dialetti agordini , zoldani e bellunesi.

Si considerano pertanto i principali parametri fonetici ladini, individuati alla fine del secolo scorso dall'Ascoli[4], per verificarne la presenza o l'assenza nel nostro corpus di testi:

  1. palatalizzazione di CA, GA: questo fenomeno fonetico, caratterizzante i dialetti ladini, è ampiamente documentato nei testi cadorini: ciasa 'casa', vace 'vacche', forcia 'forca', ciàneva 'cantina', gianbe 'gambe'. La palatalizzazione non è presente nell'intervista effettuata a Tai. Bisogna però sottolineare con Pellegrini che tracce di palatalizzazione si registrano anche nell' Agordino centrale e nell'antico bellunese del poeta B. Cavassico.[5]
  2. conservazione dei nessi latini PL, CL, BL, GL: non ve n'è traccia nel nostro corpus. Tali nessi d'altronde, secondo Pellegrini[6], erano stati risolti nella Valle di Fassa e nell'Agordino verso la metà del secolo passato e ancor prima nel Cadore (con Ampezzo e il Comelico).
  3. mantenimento di /s/ finale di antica uscita: i riscontri nei nostri testi sono ben più cospicui delle poche reliquie citate dall'Ascoli. Numerosi i plurali sigmatici: pès 'piedi', bòs 'buoi', pras 'prati', cianàs 'mangiatoie', dis 'giorni', òmes\òmis 'uomini', tabiàs ‘fienili’, che alternano con i plurali pè, bò, prà, cianà, dì, òme/i, tabià. Frequente -S anche nelle forme verbali di 2 pers. sing.: tu te fas, tu te das, tu te as, tu te uòs, tu te puòs. Già Battisti[7] e poi Pellegrini[8] avevano rilevato che le forme con -S erano molto più diffuse nei dialetti cadorini di quanto attestasse l'Ascoli.
  4. velarizzazione di /l/ (> /u/) anteconsonantica: numerosi esempi (àutro 'altro', ciaudiéra 'caldaia') nei nostri testi a conferma del fatto che il fenomeno è diffuso , come sostiene Zamboni[9], nei dialetti cadorini.
  5. dittongazione di è neolatino in posizione (chiuso): compaiono nei testi registrati forme come liéto 'letto', spieta 'aspetta'.
  6. presenza delle interdentali /th, dh/ : queste consonanti sono frequenti nel cadorino (théna 'cena', thestón 'gerla, cesta di vimini', dhóen 'giovane', dhó 'giù') dove sono di derivazione veneta, mentre non sono presenti nelle parlate ladine. Le interdentali sono attestate anche nell'Oltrechiusa e nel Comelico, mentre a Cortina si ha l'affricata /z/ sorda e sonora (zarnéo 'scriminatura dei capelli', zarmàn 'cugino')[10].

Per i tratti morfologici rileviamo:

  1. la conservazione della forma nominativa pastro 'pastore di vacche' , diffuso in tutta l'area ladina.
  2. La presenza nei nostri testi delle forme nominativali 'io' e tu 'tu', attestate anche nell'Ampezzano, nell'Oltrechiusa e nel Comelico[11].

Da una prima ricognizione del materiale raccolto durante le interviste si possono trarre alcune brevi conclusioni.

Emerge subito evidente che le parlate di Pieve e di Calalzo risultano più venetizzate di quelle degli altri comuni del Centro Cadore. Nelle interviste raccolte in tutti gli altri comuni si ritrovano infatti alcuni dei tratti ladini individuati ancora dall'Ascoli: la palatalizzazione di CA e GA, la presenza di forme morfologiche di plurale e di flessione verbale con desinenza -s, la presenza di pronomi di 1. e 2. persona ( e tu) provenienti dalle forme del nominativo latino < EGO e TU. In tutto il Centro Cadore è diffuso un tratto non ladino, di chiaro influsso veneto: la presenza nel sistema fonologico delle consonanti interdentali. Le interdentali sono presenti anche nei dialetti cadorini dell'Oltrechiusa e in quelli del Comelico, mentre nell'Ampezzano troviamo le affricate. Nel complesso si può dire con Zamboni[12] che "le divergenze che si colgono tra le singole subaree cadorine, specialmente tra l'Ampezzano e l'Oltrechiusa col resto del Cadore, non debbono far pensare ad una differenziazione antica, poiché la base di latinità della regione è sostanzialmente la stessa. Si tratta dunque di diversità di sovrapposizioni ulteriori, dato che per ragioni storiche tra Cortina e il resto del Cadore intercorre in sostanza una diversità di grado di venetizzazione".

D'altra parte, come ben sottolinea Vanelli[13]: "è comprensibile che il ladino si stemperi per così dire mano a mano che ragioni storiche o geografiche rendono più accessibili i contatti e quindi gli interscambi linguistici. E allora si capisce perché sia molto problematico, quando si arriva in territorio veneto-bellunese, tenere separato in modo netto ciò che è veneto da ciò che è ladino: viste le modalità di formazione del ladino è evidente che ci saranno delle varietà che presenteranno tratti ladini conservatori insieme a tratti innovativi del veneto".

 

E' infatti ormai assodato[14] che i fenomeni ,che oggi definiamo come ladini, erano un tempo ben più diffusi in tutta l'area cisalpina. Solo che poi si sono persi nella maggior parte dei dialetti dell'Italia settentrionale e sono rimasti solo nelle zone più isolate, quelle meno raggiungibili dalle innovazioni linguistiche per ragioni storico-geografiche di isolamento.

Note al testo.

 

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