Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore
dalle note del prof. Elio del Favero - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale
prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini
Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario, è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.
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da prep. da. Con le forme articolate dal, dàla, dài, dàle, da l, da la, da i, da le. Vàdo da la nòna vado dalla nonna; véño da čàśa vengo da casa; kéla sorìža e stàda kopàda dal ğàto quel topolino è stato ucciso dal gatto; stào dai nòne vivo presso i nonni; da añó sésto? di dove sei?; da na bànda di fianco, da parte; da bàs da basso; da nuóu di nuovo; da le òte per caso; dal dìto al fàto detto fatto; da sóra n dó dall'alto in basso; no e ròba da par tò non è cosa degna di te; teñìse da àlgo essere consapevoli della propria personalità, supervalutarsi; sto saìme sa da rànžego questo strutto sa di rancido; na vàča da kópa una mucca da macello; Mésa da rèkie Messa funebre; vestìse da paiàžo vestirsi come un pagliaccio; da kà de n an fra un anno; da isùda in primavera; da Nadàl a Natale; tornarèi a čàśa dai Sante o dai Mòrte tornerò a casa per i Santi o per il giorno dei Morti; da ka de diéśe dis fra dieci giorni; da dasiéra o dadasiéra di sera; da mèdodì a mezzogiorno; dai daòre o daidaòre nei giorni feriali; da ka n avànte o dakanavànte d'ora in poi.
dà, dàse vb. trans. e rifl. (dào; daśèo; dòu) dare. Dàme n tin de pàn dammi un po' di pane; dà fuóu dar fuoco, incendiare; la màre me dà sènpre davòi la mamma mi rimprovera sempre; kél là me dà davòi quella persona mi perseguita; kuàn ke pàrto la màre me dà davòi n tin de biankarìa par mudàme quando parto la mamma mi dà un po' di biancheria di ricambio; te dào na màn ti aiuto un po'; vàrda kóme kel dà dó guarda come piove forte; la vàča a dòu dó l làte la mucca ha cominciato a produrre molto latte; i èi dòu dó na ónža de òio de rìžino gli ho fatto ingoiare un'oncia di olio di ricino; nkuói i dà fòra l formài oggi distribuiscono il formaggio; i a dòu fòra l infiamažión gli è comparsa un'infiammazione; èi dòu ìnte la feràža par dóe skudèle gli ho dato ferro vecchio in cambio di alcune tazze; dà ìnte l vèčo pal nuóu cambiare il vecchio col nuovo; dài ìnte pal ku dagli un colpo sul sedere; al me a dòu par sènpre sto lìbro mi ha regalato questo libro; me dà su na fumàda mi arrabbio molto, mi vengono le caldane; al bičerìn de sñàpa me a dòu su il bicchierino di grappa mi ha fatto girare la testa; dàme su l déi aiutami a mettere la gerla in spalla; dà su n tin de medeśìna applicare un po'di pomata; dà su na màn de biànko imbiancare; dàse da fèi darsi da fare, essere intraprendenti; sta tóśa la se a dòu fòra questa ragazza è diventata più spigliata; sta tóśa l e dùda fòra de tèsta questa ragazza si è messa in testa idee da matti; dà nte l òčo dare nell'occhio, attirare l'attenzione; dài ìnte se te vós fenì datti da fare, dacci dentro se vuoi finire; dà tèra rincalzare le piantine; prov. a ki ke a, dùte vó dà è facile essere generosi coi ricchi; ki ke dà alòlo, dà dóe òte l'aiuto dato subito, vale il doppio.
dabàs avv. dabbasso (v. da bàs).
dadaiùn, dadeiùn avv. a digiuno. La Komunión se la tòle dadaiùn la Comunione va presa a digiuno.
dadasiéra avv. di sera. Dadasiéra fa sènpre frédo di sera fa sempre freddo (v. siéra).
dadàuto avv. dall'alto. Dadàuto e bèl vede l àga ke kore è bello vedere, stando in alto, l'acqua scorrere (v. adàuto, àuto).
dadomàn avv. a partire da domani. Dadomàn, ñànte dì, biśòña di a fèi léñe a partire domani, e nei giorni seguenti, prima che faccia chiaro, bisogna andare a preparare la legna.
dafèi, da fèi sm. (inv.) impegno, occupazione. Èi sènpre n grùmo dafèi ho sempre un gran da fare; èi sènpre l mè da fèi sono sempre molto impegnato.
dàga sf. (pl. dàge) letto di ramaglia usato dai boscaioli, letto sformato. Quando i boscaioli si recavano nel bosco per gli abbattimenti, si costruivano una baita rudimentale per evitare il rientro quotidiano in paese. Dopo aver alzato una prima intelaiatura con i cimali degli alberi che erano stati abbattuti per primi, la baita veniva coperta con lunghe cortecce di abeti; i giacigli, le dàge, erano fatti con la ramaglia degli abeti tagliati, dàse. Késto no e n liéto, ma na dàga questo non è un letto, è un giaciglio di fortuna .
daidaòre, daidaiòre avv. nei giorni feriali. Daidaòre vàdo sènpre a fèi léñe nei giorni feriali vado sempre a fare legna; l vestì daidaòre il vestito per i giorni feriali.
dàimo escl. suvvia, coraggio. Dàimo, làseme par tal ke son suvvia, lasciami in pace.
daisùda avv. in primavera. Daisùda e sènpre n grùmo de laóro in primavera c'è sempre molto da fare (v. isùda, aisùda, staisùda).
dakanavànte, da ka n avànte avv. d'ora in poi. Dakanavànte te laoraràs ànke tu d'ora in poi lavorerai anche tu.
dàke, dà ke cong. dacché. Dàke te as śbaliòu, pàga dacché hai sbagliato, paga.
Dakòl sm. (nome) soprannome di famiglia.
dakòrdo avv. d'accordo. Di dakòrdo andare d'accordo; béte dakòrdo mettere d'accordo (v. akòrdo).
dàl agg. (pl. dài, f. dàla, pl. dàle) giallo, pallido. Te ses dàl kóme na polènta sei giallo come la polenta.
daldidapò avv. l'indomani. N dì son du ko la luóida e daldidapò avèo màl nte le ğànbe un giorno sono andato con la luóida, e il giorno dopo avevo male alle gambe.
daldùto, deldùto avv. completamente. Màto daldùto completamente matto.
dalìžo agg. (pl. dalìže, f. dalìža) gialliccio, piuttosto giallo. Daspò la malatìa, l e sènpre stòu dalìžo, l a n tin de laterìžia da quando si è ammalato, è sempre rimasto piuttosto giallo di faccia, ha un po' di itterizia.
dàlmeda sf. (pl. dàlmede) zoccolo di legno. Un tempo di uso comune, ora viene usato raramente per i lavori nella stalla; fig. donna sciocca e sciatta. N pèi de dàlmede un paio di zoccoli; tìra su le dàlmede e va a guarnà infila gli zoccoli e vai a governare le bestie; fig. te ses pròpio na dàlmeda sei proprio una villana, una sciattona
dalmedèi agg. (pl. dalmedèi, f. dalmedèra, pl. dalmedère) zoticone, sciatto. La se a maridòu n dalmedèi si è sposata uno zoticone (v. dalmedón, žokolèi).
dalmedón agg. (pl. dalmedói, f. dalmedóna, pl. dalmedóne) sciatto, sciocco, confusionario (detto per lo più di donna). Dalmedón ke no te ses àutro sciattone che non sei altro.
dalpè avv. in fondo, ai piedi. Dalpè de l liéto in fondo al letto; ió stào su n čòu, tu te stas dalpè io sto in alto, tu stai in basso (v. pè).
dalvrès agg. (inv.) a posto, ordinato materialmente e moralmente. Si adopera col significato di bene, buono. Doménia fèi n tin de damañà dalvrès domenica prepara qualcosa di buono in cucina; n òn, na fémena, n tośàto dalvrès un uomo, una donna, un ragazzo a posto; no te fas na ròba dalvrès non ne combini una dritta (v. vrès).
damañà sm. (inv.) cibo. Parečà damañà preparare il pranzo; késto e n damañà puaréto questo è un pasto frugale, cibo per gente povera.
Dampiéro sm. (nome) soprannome di famiglia.
dàn sm. (pl. dàne) danno. Sta pióva fa n grùmo de dàne questa pioggia arreca molti danni; te ses sènpre stòu sólo de dàn sei sempre così maldestro; portà dàn danneggiare; avé dàn essere danneggiato; se l śbalia, sò dàn se sbaglia, è colpa sua; prov. par n trìsto, žènto pòrta dàn per uno che si comporta male, cento patiscono.
danà, danàse vb. trans. e rifl. (me dàno; danèo; danòu) dannare, condannare, rovinarsi, dannarsi. Il verbo è usato soprattutto come fèi danà far arrabbiare; me dàno a laurà mi sto distruggendo per il lavoro; ki ke biasteméa se dàna chi bestemmia si condanna, va all'inferno; te me fas danà l ànema per colpa tua mi fai dannare; fig. danàse l ànema mettercela tutta in un lavoro.
Danbrós sm. (nome) soprannome di famiglia.
dandavòi, daldavòi avv. indietro, da dietro. Al veñèa sènpre dandavòi veniva sempre da dietro (v. davòi).
dandìva sf. (pl. dandìve) gengiva. Me fa màl le dandìve ho male alle gengive; èi la dandìva śğonfàda ho la gengiva gonfia.
danè sm. (inv.) denaro, soldi. To pàre e pién de danè tuo padre è ricco (v. skèi).
Danèla sf. (top.) borgata di Lozzo tra Pròu e Mèdavìla. Al brénte dei Danèla fontana che si trova in questa borgata.
Danèla sm. (nome) dialettizzazione del cognome Zanella.
Danéte sm. (nome) dialetizzazione del cognome Zanetti.
danòu agg. (pl. danàde, f. danàda) dannato. Al gàia kóme n danòu grida come un dannato.
Daò sm. (top.) località a sudovest di Lozzo sulla sponda del lago di Centro Cadore.
daòs prep. avv. dietro. Veñì daòs venire dietro, accompagnare, seguire; di n daòs andare indietro, indietreggiare (v. ndaòs, davòi).
dapardùto avv. dappertutto, ovunque. Se vedèa fuóu dapardùto si vedeva fuoco ovunque (v. pardùto).
dapè avv. ai piedi di, in fondo. Dapè de Revìs pàsa l Rin ai piedi di Revìs corre il rio Rin (v. pè).
darecòu avv. e cong. ancora, inoltre, di più.
darèsa sf. (pl. darèse) tordella (zool. Tordus viscivorus).
darìčo sm. (pl. darìče) radicchio, soffione (bot. Taraxacum officinale). Si distinguono due tipi di radicchio: il darìčo da pra e il darìčo da mónte. Il primo cresce nei prati appena la neve si scioglie e viene raccolto a marzo nei prati vicini al paese. I radicchi si preparano crudi conditi a insalata o con l'aggiunta di piccoli pezzi di lardo soffritti oppure lessati e conditi con altre verdure. Il fiore del radicchio viene detto pisanlèto. Il darìčo de mónte cresce in alta montagna, è di colore verde con striature rossastre. Si tratta di una prelibatezza per tavole raffinate, viene bollito e conservato sott'olio e aromi. Attualmente è una specie protetta. Nkuói èi mañòu polènta e darìčo oggi ho mangiato polenta e radicchio; l darìčo skomìnžia a bičà fòra le fòe stanno spuntando le foglie di radicchio.
darindomàn, dalindomàn avv. l'indomani, il giorno dopo. Darindomàn rùa to màre dopodomani arriva tua madre; l e tornòu darindomàn è tornato il giorno dopo.
darión avv. molto spesso, molto. La depì, śbažegéa darión è molto vivace, spesso è allegra; mañà darión mangiare molto; prov. ko le tóśe darión śbažegéa, se daspò l śguèrña, no e da fèise marevéa quando le ragazze sono più vivaci del solito, non c'è da meravigliarsi se poi il tempo cambia.
darmàn sm. (pl. darmàne) cugino. Me darmàn l e dù a pasón ko le féde mio cugino è andato al pascolo con le pecore.
darmàna sf. (pl. darmàne) cugina. Doménia pasàda se a maridòu me darmàna domenica scorsa si è sposata mia cugina.
dàsa sf. (pl. dàse) fronda di abete. I se a fàto la dàga ko la dàsa si sono fatti il giaciglio con le fronde di abete; sóte la vèlma biśòña béte alkuànte ramói de dàsa pa strasinàla mèo sotto il carico di legna bisogna mettere alcuni grossi rami di abete per riuscire a trascinarla con facilità; bósko da dàsa bosco di abeti, abetaia (v. déma).
Dàsa sf. (top.) località a nordovest di Lozzo. Costone ripido, sotto la Kròda de i Róndoi, che scende in Val Lonğiarìn alla confluenza col Ğòu Gran. La stessa località è suddivisa in diversi microtoponimi Dàsa de sóte, Dàsa de sóra, Dàsa de Sànto e Čàśa Kòl Dàsa.
dàse vb. rifl. (me dào, daśèo, dòu) capitare, succedere, darsi, mettersi. Il verbo è adoperato soprattutto alla terza persona in loc. del tipo pó dàse ke può darsi che, forse; pó dàse ke domàn véñe to pàre forse domani verrà tuo padre; èra ora pasàda ke te te dàe da fèi è ora che tu ti svegli, che combini qualcosa di buono.
dasén, daséno avv. davvero, forte, molto. Ma élo veñésto dasén? ma è venuto davvero?; kuàn ke dìgo, dìgo dasén quando parlo parlo davvero, non voglio dire due volte la stessa cosa; a tanpestòu dasén è venuta una violenta tempesta; l èra malòu dasén era molto malato, o anche, era davvero malato (v. debón).
dasorandó avv. dall'alto in basso. L me a sènpre vardòu dasorandó mi guarda sempre con sufficienza (v. sorandó).
daspò, dapò avv. prep. dopo. Adès laurón, daspò mañarón adesso lavoriamo, mangeremo dopo; sane a daspò arrivederci a dopo; ió veñarèi dapò io verrò dopo; dapò de te no vién nisùn dopo di te non c'è nessuno; daspò mèdodì nel pomeriggio; loc. puóčo daspò poco dopo; prov. daspò, dùte sa fèi dopo, tutti lo sanno fare, tutto è facile quando lo si è visto fare (v. apò).
davànte avv. prep. davanti, prima, nel tempo e nello spazio. Ió vàdo davànte, tu te me veñaràs davòi io vado davanti, tu mi seguirai; davànte čàśa davanti casa.
daveśìn avv. prep. vicino, presso. Sta daveśìn de to màre se te vós èse segùro stai vicino a tua madre se vuoi essere al sicuro; ió laóro ka daveśìn io lavoro nelle vicinanze (v. davežìn).
davèstro sm. (pl. davèstre) averla piccola, uccellino che fa il nido tra i cespugli (zool. Lanius collurio). Nte kéla brùsa e na kóa de davèstre in quel cespuglio c'è un nido di averle.
davežìn avv. prep. vicino, da vicino. Davežìn de te stào polìto vicino a te sto bene; vién davežìn vieni qui vicino (v. daveśìn).
davòi avv. prep. dietro, dopo, nel tempo e nello spazio. Davòi de te dietro di te; mañà davòi mangiare dopo, cioè finire quello che i bambini hanno lasciato sul piatto; parlà davòi sparlare di qualcuno; dà davòi perseguitare, kel tós sta davòi a me nèža da dói àne quel ragazzo corteggia inutilmente mia nipote ormai da due anni. La preposizione spesso è unita al pronome riflessivo: davòime, davòite, davòine, davòive, davòise con me, con te, con noi, con voi, con sè. Ió me pòrto davòime l konpanàśego io mi porto via un po' di companatico; pòrtete davòite la manèra porta con te la mannaia; tirà davòi assomigliare, imitare; èse davòi a stare per; son davòi a mañà sto per mangiare oppure sto mangiando; no sta di davòi a ste čàčere non prestare attenzione, non badare a queste dicerie; loc. nisùn te kóre davòi nessuno ti rincorre, fig. non c'è ragione di affannarsi tanto; sta n tin davòi a kel tośàto segui un po' quel ragazzo; sta davòi a na tośa corteggiare una ragazza; di davòi ai laóre de čàśa applicarsi, dedicarsi ai lavori di casa; dì davòi màn continuare un lavoro senza interruzione; dì su davòi ripetere a voce alta; dì su davòi le oražión ripetere le orazioni a voce alta (v. ndavòi).
dažiér sm. (inv.) daziere. Al dažiér me a paròu su l kónto l'impiegato del dazio mi ha presentato un conto salato; domàn bonóra rua l dažiér par bolà la kàrne domani mattina presto viene l'impiegato del dazio per il bollo di certificazione sulla carne.
dàžio sm. (inv.) dazio, imposta comunale di consumo. Domàn kópo l kùčo e èi da dì dal dažiér a pagà l dàžio domani macello il maiale e devo andare dal daziere a pagare il dazio; loc. fèi l móna par no pagà dàžio fare il tonto per cavarsela.
de prep. di. Con le forme art. del, dela, dei, dele oppure de l, de la, de i, de le. Gòto de àga bicchiere d'acqua; čaméśa de bonbaśìna camicia di flanella; de dì, de nuóte, d autóno, d invèrno, d istàde di giorno, di notte, d'autunno, d'inverno, d'estate; del dùto completamente; de pì, de mànko, de sórapì di più, di meno, in più; de travès di traverso; de màsa di troppo; fèi del mòto o de mòto fare un cenno d'intesa; de bàndo inutilmente; de bòto subito; de kólpo improvvisamente; de kontìnuo continuamente; de mèo, de pèdo di meglio, di peggio; de skònto o de skondón di nascosto; de kórsa o de prèsa o de nvinkón velocemente, in fretta; portà de négro essere vestiti a lutto; vàrda ke tòko de òn guarda che pezzo d'uomo; de ka, de là, de su, de dó, de ìnte, de fòra, de sóte, de sóra di qua, di là, di sopra, di sotto, di dentro, di fuori, di sotto, di sopra; ka de ka al di qua; là de là oltre quel luogo; de lùne, de màrte ecc., di lunedì, di martedì, ecc.; de nuóu di nuovo; loc. de rìfa o de ràfa ad ogni modo; de bonóra di prima mattina (v. tabella preposizioni).
debàndo avv. inutilmente. Laurà debàndo lavorare inutilmente o gratuitamente (v. bàndo).
debeśuói, debeśuói, debiśuói, de biśuói sm. (inv.) bisogno, necessità. Avaràe debeśuói de na karpéta nuóva, kesta l e bèlo dùta fruàda avrei bisogno di una gonna nuova perché questa ormai è tutta consumata.
Debèta sm. (nome) soprannome di famiglia.
débol agg. (pl. debói, f. débola, pl. débole) debole, delicato. To fiól e sènpre stòu débol tuo figlio è sempre stato gracile; débol de òče debole di vista.
deboléža sf. (pl. deboléže) debolezza, gracilità. Daspò ki sfòrže èi na deboléža adòs ke no te dìgo dopo tutta quella faticaccia, mi sento addosso una debolezza indescrivibile.
debón avv. sul serio, certamente. No sta tòleme par n àutro, àsto vedù debón me fardèl su pa la Mónte? non prendermi in giro, dì sul serio, hai visto davvero mio fratello su a Pian dei Buoi? (v. dasén).
debòto avv. subito, immediatamente, circa, quasi. Véño debòto vengo subito, immediatamente; loc. e debòto n an è trascorso quasi un anno; e debòto le tré sono quasi le tre.
dedàl sm. (pl. dedài) ditale. Bétete l dedàl nte l déido se no te vos póndete ko la guśèla metti il ditale al dito se non vuoi pungerti con l'ago; loc. n dedàl de àga un sorso d'acqua.
dedéna sf. (pl. dedéne) dozzina. Kónpra na dedéna de lugànege compra una dozzina di salsicce (v. dośéna).
dedunà vb. intr. (dedunéo; dedunèo; dedunòu) digiunare. Nkuói e Vèndre Santo e a čàśa avón dedunòu dùte oggi è Venerdì Santo e in famiglia tutti abbiamo fatto digiuno (v. dunà, deiunà).
defènde vb. trans. (defèndo; defendèo; defendésto, defendù) difendere, proteggere. Okóre defènde ki puóre òrfin bisogna proteggere quei poveri orfani.
defikoltós agg. (pl. defikoltóśe, f. defikoltóśa) difficile, difficoltoso. Sto laóro e defikoltós questo lavoro presenta molte difficoltà.
defìžil agg. (inv.) difficile, ricercato. E defìžil fèi i fiór sui skarpéte è difficile ricamare i fiori sulle pantofole; parkè pàrlesto kosì n defìžil? perché sei così ricercato nel parlare?; dim. defižilòto abbastanza difficile.
degorènte sm. (inv.) trave di sostegno del tetto che dalla trave di colmo va a finire sulla banchina. Àrda n tin, e bèlo dùte i degorènte ke se a menòu guarda la le travi del tetto che si sono tutte ritorte; prov. e l onbrìa del degorènte ke fa veñì bèla la dènte coloro che non lavorano sotto sole e intemperie, mantengono la pelle liscia e non rugata (v. kuèrto).
degràžia escl. per fortuna. Degràžia ke l e veñésto per fortuna è venuto (v. gražia).
déi sm. (inv.) gerla. Cesto, con due bretelle, che si porta sulle spalle. Le bretelle della gerla erano fatte normalmente con rami di nocciolo o di salice intrecciato, di recente i rami sono sostituiti da corregge in tessuto. Èi kanbiòu le spaléte del déi parkè le èra róte ho cambiato le bretelle della gerla perché erano rotte; loc. te ses n déi žènža fónde sei davvero insaziabile; déi da fòia, deón da fòia gerla per la foglia, gerla molto grande usata per trasportare dal bosco le foglie di faggio che servivano per fare la lettiera alle mucche; dim. deùto, sup. deón, dispr. deàto (v. spalànğe).
déido sm. (pl. déide) dito. Me son fàto màl nte i déide del pè mi sono fatto male alle dita del piede; èi n panarìžo nte l déido pòlis de la màn žànča ho un'infiammazione al pollice della mano sinistra; loc. béve n déido de làte bere un dito di latte, un po' di latte; loc. fig. fèisela su pài déide fare qualcosa senza ponderazione; prov. ñànke i déide e dùte konpài neppure le dita di una mano sono uguali fra di loro, è impossibile trovare una persona o una cosa perfettamente uguale ad un'altra; prov. sta npó l déido nascondersi dietro a un dito, non volersi assumere le proprie responsabilità; to darmàn te la fa su pài déide tuo cugino è molto più scaltro di te; la locuzione si riferisce a una persona più furba, più capace o più veloce di altre; dim. deidùto; accr. deidón.
deiùn, daiùn sm. (inv.) digiuno. Da deiùn a digiuno; e da nkuói bonóra ke son deiùn: adès me màño n tòko de formài è da stamattina che sono a digiuno, adesso mi mangio un pezzo di formaggio.
deiunà, daiunà vb. intr. (deiunéo; deiunèo; deiunòu) digiunare. De Vèndre Santo okóre deiunà il Venerdì Santo bisogna digiunare; kuàn ke me tóča deiunà, son pròpio dó de tomèra quando devo digiunare mi sento stanco tutto il giorno.
Dekàrlo sm. (nome) soprannome di famiglia.
Dekéca sm. (nome) soprannome di famiglia.
delàsere sm. (inv.) malandato, stanchissimo. Loc. èse n delàsere essere in rovina, detto di rudere, cosa fatiscente, o di persona molto malandata.
deldùto avv. completamente, del tutto. La bréa da lavà la se a spakòu deldùto l'asse per lavare si è rotta del tutto (v. dùto).
Déle Pàule sm. (nome) soprannome di famiglia.
delegà vb. trans. (delegéo; delegèo; delegòu) delegare, incaricare. L e stòu delegòu a portà i skèi de la latarìa n bànka è stato incaricato di portare i soldi della latteria in banca.
delegà, delegàse vb. tr. e rifl. (me delegéo; delegèo; delegòu) sciogliersi. I kandelòte del kuèrto se a delegòu i ghiaccioli del tetto si sono sciolti; da isùda l néve se delegéa in primavera la neve si scioglie; loc. e n čàudo ke delegéa le père c'è un caldo che scioglie anche i sassi.
delìbera sf. (pl. delìbere) delibera, decisione. A òñi modo biśòña fèi na delìbera ad ogni modo bisogna prendere una decisione.
delìbera sf. (inv.) gioco infantile simile a quello chiamato Guardie e Ladri. Voléu ke dugóne a delìbera? volete che giochiamo a delìbera?
Delibera.
Il gioco si svolgeva pressappoco così: i giocatori si dividevano in due gruppi, uno di guardie e l'altro di ladri. Ad un tratto i ladri scappavano, inseguiti dalle guardie. Quando una guardia catturava un ladro, lo portava in prigione, che solitamente corrispondeva al muro esterno di una casa, muro al quale il prigioniero doveva rimanere attaccato. Una delle guardie doveva allora restare vicino ai prigionieri per sorvegliare che non venissero toccati da uno dei ladri, che li avrebbe liberati toccando loro solo la mano, nel qual caso il prigioniero poteva scappare. Ciò era facile se i prigionieri erano pochi, ma diventava difficile se il numero dei prigionieri aumentava. Dopo aver catturato tutti i ladri e averli rinchiusi in prigione, le guardie venivano proclamate vincitrici ed il gioco riprendeva invertendo le parti.
deliberà vb. trans. (deliberéo; deliberèo; deliberòu) decidere ufficialmente, deliberare. Al Komùn a deliberòu kosì il Comune ha deliberato in questo modo.
deliberàse vb. rifl. (me deliberéo; deliberèo; deliberòu) liberarsi di qualcuno o qualcosa. Deliberéeme de sto segadìžo porta via questa segatura.
delikàto agg. (pl. delikàte, f. delikàta) delicato, gracile, schizzinoso. Kél tośàto e sènpre stòu delikàto quel bambino è sempre stato gracilino, delicato; pàra dó e no sta fèi l delikàto mangia e non fare lo schizzinoso; dim. delikatìn.
delòngo avv. immediatamente, lungo. Va a tòle l làte e torna a čàśa delòngo va a prendere il latte e torna a casa immediatamente; delòngo stràda l a sènpre parlòu lungo il cammino ha sempre chiacchierato (v. lòngo).
déma sf. (pl. déme) ago di larice. In autunno gli aghi di larice caduti a terra indorano la strada e il sottobosco. Son stòu nte l bósko e son dùto pien de déma sono stato nel bosco e mi sono riempito tutto di aghi di larice; bósko da déma lariceto, bosco di larici (v. dàsa).
demànko avv. a meno. Se no te vós mañà, fèi demànko se non vuoi mangiare fanne a meno (v. mànko).
déme vb. intr. (démo; demèo; demòu) gemere, lamentarsi, fig. trasudare. E da niére ke no l fa ke déme è da ieri che non fa che lamentarsi; ki élo ke déme kosì? chi geme a questo modo?; la barìža déme la botticella trasuda acqua.
Demèio sm. (nome) soprannome di famiglia.
demònio sm. (pl. demònie) demonio, diavolo, fig. birichino. Se no se a paùra del demònio, se va a l infèrno se non si ha paura del demonio si va all'inferno; to fiól l e n demònio tuo figlio è un gran birichino.
demòto, de mòto avv. di nascosto, poco esplicito. Loc. fèi de mòto o demòto fare un cenno di nascosto; loc. demòto ke ragione per cui; demòto ke te ridèe ecco la ragione per cui ridevi (v. mòto).
De Nane sm. (nome) soprannome di famiglia.
deñàse vb. rifl. (me déño; deñèo; deñòu) degnarsi. No l se déña de fèi ste ròbe non si degna di fare queste cose.
denè sm. (inv.) gennaio. Poco usato (v. denèi).
denèi, denèr sm. (solo sing.) gennaio. Denèi e l més pì lòngo de dùte gennaio è il mese più lungo di tutti, perché è il più freddo dell'anno e perciò il più temuto; prov. Sant'Antòne de denèi, mèdo pàn e mèdo fienèi a Sant'Antonio abate, cioè il 17 gennaio, si sono dimezzate le riserve del granaio e del fienile (v. ğenàro).
Denél sm. (nome) soprannome di famiglia.
dènero, dèndro sm. (pl. dènere, dèndre) genero. To dènero e sènpre stòu n bón òn tuo genero è sempre stato un buon uomo; to dènero e to nòra i te a sènpre volésto bén tuo genero e tua nuora ti hanno sempre voluto bene.
denévol sm. (pl. denévoi) ginepro, sia l'arbusto che la bacca (bot. Juniperus communis). Son dù a čatà n póče de denévoi par béte nte la sñàpa sono andato a raccogliere un po' di ginepro da mettere sotto grappa .
déño agg. (pl. déñe, f. déña) degno. No te ses déño de to pàre tu non sei degno di tuo padre; no te ses ñànke déño de busà añó ke kamìna to pàre tu non sei neppure degno di baciare dove cammina tuo padre; l e pròpio na déña parsóna è proprio una persona degna di rispetto.
denóğo sm. (pl. denóğe) ginocchio. Làvete i denóğe ke i a la kraña lavati le ginocchia perché sono tutte sporche; n denóğo o ndenočón in ginocchio, ginocchioni; kuàn ke l préa, l se béte sènpre n denóğo quando prega si mette sempre in ginocchio (v. ndenočón).
dentàia sf. (pl. dentàie) gentaglia. No sta di kon kéla dentàia non andare con quella gentaglia; na òta no èra tanta dentàia una volta non c'era tanta gentaglia.
dènte sf. (inv.) gente. Dènte de reguàrdo gente di riguardo; dènte forèsta forestieri o gente estranea; àsto vedù kuànta dènte nkuói nte čéśa? hai visto quanta gente c'era oggi in chiesa?; loc. tra Dio e la bòna dènte, son ruàde fra Dio e la buona gente siamo arrivati; con l'aiuto di tante persone siamo riusciti a portare a termine il lavoro; loc. pèdo dènte, mèo fortùna spesso la gente più cattiva è la più fortunata; prov. del bón tènpo e de la bòna dènte no se se stufa mai del buon tempo e della buona gente non ci si stanca mai; dispr. dentàta.
dènte sm. (inv.) dente, sia della bocca che di attrezzi. Èi màl de dènte ho mal di denti; le palóte gli incisivi; i maselàs i molari; dènte očalìn o dènte spiž i canini; i dènte del ğudìžio i denti del giudizio; dènte màržo, dènte karolòu dente cariato, dènte pestìže denti non propri, dentiera; i dènte del restèl i denti del rastrello; te as fàto n grùmo de dènte su la manèra hai rovinato il filo dell'accetta; mañà kol dènte àuto mangiare di malavoglia, mangiare qualcosa che non piace; avé i dènte leàde avere i denti legati, sapore in bocca; loc. di le ròbe fòra dei dènte dire le cose in modo schietto, parlare chiaro, senza esitazione; śbàte ìnte i dènte dare un ceffone da far ingoiare i denti; béte àlgo sóte i dènte mangiare qualcosa; prov. okóre menà i dènte konfórme ke se se siénte non bisogna fare il passo più lungo della gamba; prov. fòra l dènte, fòra l dolór fuori il dente, fuori il dolore; te méne sènpre i dènte mangi sempre qualcosa.
dènue escl. solo nella locuzione te fas de dènue ne combini di tutti i colori.
deón sm. (pl. deói) gerla molto grande. Veniva utilizzata per trasportare materiali leggeri, segadìžo, fién, o fòia. Tòle su l deón e va ìnte da la siéga a tòle segadìžo prendi la gerla e va a prendere segatura in segheria (v. déi).
Depàola sm. (nome) soprannome di famiglia.
dependolón avv. penzoloni. Tòle la séğa ke e dependolón de la skàfa prendi il secchio appeso dentro la skàfa; ntànto béte i salàme dependolón, kuàn ke i se avarà senžieròu, i portarón nte čàneva appendi i salami e poi, quando saranno asciutti, li porteremo in cantina (v. depikolòn).
depì, dapì avv. di più, dappiù, superiore. Me sa ke l val depì de te penso che valga più di te; son dapì de kél ke soméo valgo di più di quanto non sembri (v. pì).
depién, de pién avv. completamente. Fèi le ròbe depién fare le cose completamente, portarle a termine.
depikolón avv. penzoloni. La to mantelìna e kéla ke e depikolón la tua mantella è quella penzoloni (v. dependolón).
depòne vb. intr. (deponéo; deponèo; deponésto) deporre, sedimentare. Làsa ke l kafè se depòne lascia che il caffè si depositi. Si intende qui il caffè preparato con la “napoletana”, la caffettiera con due serbatoi comunicanti, in quello sotto si fa bollire l'acqua, in quello in alto si mette la polvere di caffè tenuta compressa da un filtro bucherellato. Quando l'acqua bolle si gira la caffettiera facendo filtrare l'acqua attraverso il caffè, la si lascia colare, e si versa lentamente la bevanda. Se te vós beve l àga de pož, làsa ke ñànte la se depòne prima di bere l'acqua, lascia che lo sporco si depositi.
deramà vb. trans. (deraméo; deramèo; deramòu) sfrondare, tagliare i rami degli alberi. Kuàn ke te as deramòu i pežuós, fèi na fasìna e pòrtela a čàśa quando hai sfrondato questi abeti, fanne una fascina e portala a casa .
deràspol sm. (pl. dedàspoi) Aspo. Attrezzo in legno che serviva per l'avvolgimento in matasse del filo avvolto sul fuso o sulla spola del filatoio. È formato da un piedistallo e da due sostegni verticali nelle cui sedi gira tramite una manovella un albero orizzontale. All'albero sono fissati quattro raggi perpendicolari tra loro alla cui estremità si trovano delle traverse in legno per sostenere la matassa.
dèrde vb. intr. (dèrdo; derdèo; derdòu) governare il bestiame. Governare le bestie significa andare alle sei di mattina e alle sei di sera in stalla a riempire la mangiatoia, a mungere le mucche, oltreché ovviamente occuparsi degli altri animali e scaricare il letame. Questo è il motivo per cui i contadini non godono le festività; loc. dì a dèrde andare a governare le bestie (v. guarnà).
derdèu sm. (inv.) disordine. Nte čàśa te as dùto n derdèu in casa tua c'è molto disordine.
dérdin sm. (inv.) cumulo di erbacce depositate all'angolo del campo. Si accumula via via, mentre si zappa per pulire il campo in primavera, prima di seminare le patate e poi tutte le altre operazioni fino al momento del raccolto; bìča kele viùdole via nte dérdin getta quelle radici nel cumulo delle erbacce.
derèto avv. subito, di corsa, direttamente. Vàdo derèto vado subito; se te vas, torna derèto se ci vai, ritorna immediatamente.
dèrgo sm. (pl. dèrge) gergo, lingua. Ma ke dèrgo pàrlelo? ma che lingua parla?
derìfa, deràfa avv. in un modo o nell'altro. Usato solo nella locuzione: derìfa o deràfa.
derìğe vb. trans. (deriğéo; deriğèo; deriğésto) dirigere, guidare. Kéla fémena a deriğésto sènpre polìto i so fiói quella donna ha sempre guidato bene i suoi figli.
derindolà vb. intr. (derindoléo; derindolèo; derindolòu) gironzolare, bighellonare, vagabondare senza meta. Èi derindolòu dùta la dornàda žènža konbinà nùia de bón sono andato avanti e indietro per tutta la giornata senza combinare nulla di buono.
derindolón, de rindolón avv. ciondoloni, girandoloni. Te ses sènpre derindolón vai sempre in giro senza far niente; no se puó sènpre dì derindolón, okóre ànke laurà non si può sempre gironzolare, bisogna anche lavorare.
derìto sm. (pl. derìte) diritto. Ki ke no laóra no a derìto de mañà chi non lavora, non ha diritto di mangiare; derìto de pasà diritto di passaggio.
dèrla sf. (pl. dèrle) gerla. Attrezzo a forma di sedia che serviva per caricare e trasportare sulla schiena legna, secchi e altro. Tòle la dèrla e pòrta do da to nène n sàko de patàte prendi la dèrla e porta da tua zia un sacco di patate (v. karegéta).
dérmol sm. (pl. dérmoi) germoglio, gemmma. Àsto vedù kuante dérmoi? hai visto quante gemme?
dermolà vb. intr. (dermoléo; dermolèo; dermolòu) germogliare. Al ğerànio a bèlo dermolòu il geranio ha già messo i germogli.
desavìu agg. (pl. desavìde, f. desavìda) insipido, senza sapore, fig. sciocco, insulso. Késta menèstra e desavìda, ardónde nkóra n tin de sal questa minestra è insipida, aggiungi ancora un po' di sale; te ses pròpio desavìu sei proprio un insulso.
deśbalonàse vb. rifl. (me deśbalonéo; deśbalonèo; deśbalonòu) affaticarsi molto, ammazzarsi di fatica, procurarsi un'ernia facendo enormi sforzi. A portà dùte kéle brée me son deśbalonòu a portare tutte quelle assi, mi è quasi venuta un'ernia (v. deśgalonàse).
deśbičà, deśbičàse vb. trans. e rifl. (deśbičéo; deśbičèo; deśbičòu) deprezzare, svilire, sminuire. Parkè te deśbìčesto kosì? perché ti deprezzi così?; no sta deśbičàla tanto non svilirla tanto; parkè deśbìčesto sènpre kel ke te fas? perché sminuisci sempre quello che fai?
deśbolà vb. trans. (deśboléo; deśbolèo; deśbolòu) togliere sigilli e bolli. Deśboléa sta létra togli i bolli a questa lettera.
deśbolonà vb. trans. (deśbolonéo; deśbolonèo; deśbolonòu) sbullonare, svitare, schiavardare. Deśbolonéa kél bolón svita quel bullone.
deśboloñà vb. trans. (deśboloñéo; deśboloñèo; deśboloñòu) rifilare. Ma vàrda ke formaiàto ke l me a deśboloñòu ma guarda che formaggio cattivo mi ha rifilato.
deśbonbolàse vb. rifl. (me deśbonboléo; deśbonbolèo; deśbonbolòu) ammazzarsi di fatica, sottoporsi a uno sforzo eccessivo. Nkuói me són pròpio deśbonbolòu oggi mi sono affaticato veramente; kuàn ke vàdo a fèi leñe, rùo ke son dùto deśbonbolòu quando vado a fare legna, ritorno sempre esausto (v. deśbalonàse).
deśboskà vb. trans. (deśboskéo; deśboskèo; deśboskòu) portare fuori dal bosco i tronchi tagliati. Il complesso di operazioni che consistono nel radunare i tronchi tagliati in un bosco per trasportarli fino alla strada. Spesso, dove non è possibile l'uso dei carri, i tronchi vengono fatti scivolare lungo i canaloni, oppure trasportati fino a valle con la teleferica. Ali bèlo skominžiòu a deśboskà su a Kuóilo? a Kuóilo stanno già preparando il legname per l'avvallamento? (v. rìśina).
deśbotonà vb. trans. (deśbotonéo; deśbotonèo; deśbotonòu) sbottonare. Nkuói e čàudo e me deśbotonéo la čaméśa oggi fa caldo e mi sbottono la camicia.
deśbotonàse vb. rifl. (me deśbotonéo; deśbotonèo; deśbotonòu) sbottonarsi, raccontare, palesare. To fiól se a deśbotonòu e l a dìto dùto kél ke l savèa tuo figlio si è sbottonato ed ha raccontato tutto quello che sapeva.
deśbragà vb. trans. (deśbragéo; deśbragèo; deśbragòu) togliere l'imbragatura. L'imbragatura del cavallo era un paramento di protezione del cavallo durante il trasporto di carichi pesanti. L'imbragatura veniva sciolta al cavallo nel momento in cui il tronco era arrivato a valle. Deśbràga al čavàl togli l'imbragatura al cavallo .
deśbramà vb. trans. (deśbraméo; deśbramèo; deśbramòu) togliere la panna, scremare il latte. Deśbramà l làte scremare il latte.
deśbramośàse vb. rifl. (me deśbramośéo; deśbramośèo; deśbramośòu) disgustarsi. Arrivare al disgusto o alla sazietà per cibi o bevande. Èi mañòu tànto de kel formài, ke me son deśbramośòu ho mangiato tanto di quel formaggio da non desiderarne più per parecchio tempo.
deśbratà vb. trans. (deśbratéo; deśbratèo; deśbratòu) sgrovigliare, dipanare, fig. trovare la soluzione ai propri problemi. Deśbratà la tòla sparecchiare, togliere tutto ciò che è sulla tavola della cucina; deśbratà le so ròbe trovare una soluzione ai propri problemi.
deśbrigà, deśbrigàse vb. rifl. (me deśbrìgo; deśbrigèo; deśbrigòu) sbrigarsi, liberarsi da qualche impegno. Śbrìgete ke avón da partì sbrigati che dobbiamo partire; èi lauròu, ma èi deśbrigòu fòra dùto ho lavorato, ma mi sono liberato di tutti gli impegni; loc. làsa ke i se la deśbrìge lascia che si arrangino; okóre deśbrigà sta fažènda, nkóra nkuói bisogna risolvere questo problema ancora oggi.
deśbročà vb. trans. (deśbročéo; deśbročèo; deśbročòu) togliere i chiodi delle scarpe. Deśbročéa ste dàlmede togli i chiodi a questi zoccoli.
deśbroià vb. trans. (deśbroiéo; deśbroièo; deśbroiòu) sbrogliare. Deśbròia sta àža de làna sbroglia questa matassa di lana.
deśbrusà vb. trans. (deśbruséo; deśbrusèo; deśbrusòu) eliminare le siepi che infestano un prato. Okóre deśbrusà la vàra bisogna liberare il prato dai cespugli che lo infestano (v. stirpà).
desčadenà vb. trans. (desčadenéo; desčadenèo; desčadenòu) togliere le catene. Desčadenéa la luóida togli la catena alla slitta; tòle n òta la stànga da stròž e desčadenéa kéle tàe prendi il ferro da stròž e togli le catene alle piante.
desčareà vb. trans. (desčaréo; desčareèo; desčareòu) scaricare. Desčareà l čàr scaricare il carro.
desčareàda sf. (pl. desčareàde) scarica di colpi, grandinata. L a čapòu na desčareàda de pùi si è preso una scarica di pugni; àsto vedù ke desčareàda? hai visto che acquazzone?; fig. daspò kéla desčareàda son stòu polìto dopo essermi sfogato, mi sono sentito bene.
desčaužà, desčaužàse vb. trans. e rifl. (desčaužéo; desčaužèo; desčaužòu) togliere le calze. Desčàužete ke te sés dùto biandòu togliti le calze perché sei tutto bagnato (v. deskoìžà).
desčodà vb. trans. (desčodéo; desčodèo; desčodòu) schiodare. Desčodà na bréa schiodare o togliere i chiodi da un'asse.
desčofolà vb. trans. (desčofoléo; desčofolèo; desčofolòu) sgusciare. Desčofolà le kùče, le nośèle sgusciare le noci, le nocciole (v. deskofolà).
desčulà, desčulàse vb. trans. e rifl. (me desčuléo; desčulèo; desčulòu) sollecitare, stimolare, affrettarsi, sbrigarsi. Okóre desčulà kél tośàto bisogna stimolare quel ragazzino; desčùlete ke e tarde muoviti perché è tardi; čò, desčùlete svegliati, muoviti.
desdariśà vb. trans. (desdariśéo; desdariśèo; desdariśòu) sradicare, svellere, strappare. L néve fòra stağón desdariśéa pì de kàlke piànta parkè l tarén no e ğažòu la neve in anticipo sulla stagione sradica molte piante perché il terreno non è ghiacciato.
deśdéta sf. (inv.) disdetta, sfortuna. Ke deśdéta che sfortuna.
deśdetà vb. trans. (deśdetéo; deśdetèo; deśdetòu) disdettare. Àsto deśdetòu o lo tòlesto distéso l kuertór da ki ke pàsa? l'hai disdetto o comperi lo stesso il copriletto dai venditori ambulanti?
deśdì vb. trans. (deśdìso; deśdìo; deśdìu) disdire. Deśdì n kontràto disdire un contratto.
desedà, desedàse vb. trans. e rifl. (me desedéo; desedèo; desedòu) svegliare, svegliarsi. Deséda to fiól parkè e tarde sveglia tuo figlio perché è tardi; desédete, brùto ndormenžòu svegliati brutto dormiglione; deséda baùke sveglia distratti; fig. ostacolo che fa inciampare non visto mentre si cammina.
deśéna, dieśéna sf. (pl. deśéne, dieśéne) decina. Stan èi fàto na deśéna de vas de miél quest'anno ho prodotto dieci vasi di miele (v. desìna).
desfamà vb. trans. (desfaméo; desfamèo; desfamòu) sfamare. Desfamà kalkedùn sfamare qualcuno.
desfasà vb. trans. (desfaséo; desfasèo; desfasòu) sfasciare, togliere le bende. Desfasà la màn sfasciare la mano.
desfèi vb. trans. e intr. (desfàžo; desfaśèo; desfàto) disfare, sciogliere, distruggere, fig. prodigarsi. Desfèi la čàśa mettere a subbuglio la casa; desfèi l grópo sciogliere il nodo; desfèi la faméa mandare all'aria il matrimonio; desfèise par dùte prodigarsi per tutti; loc. te fas e desfàs dùto tu fai e disfi tutto da solo, detto di chi non lascia ad altri alcuna possibilità di agire; te me as desfàto l karéto mi hai distrutto il carro; desfèi n tin de botìro e daspò te frìde la žéula disfa un po' di burro e dopo friggi la cipolla; desfèi l liéto fai prendere aria alle lenzuola e alle coperte del letto.
desfiamà, desfiamàse vb. trans. e rifl. (me desfiàmo; desfiamèo; desfiamòu) disinfiammarsi, levare l'infiammazione, decongestionare. Fìnke la čadìa no se a desfiamòu, te sientaràs sènpre màl finché la caviglia non si sarà disinfiammata, sentirai sempre dolore; èi betù su n tin de ràśa e la màn se a desfiamòu ho applicato un po' di resina e la mano si è sgonfiata, decongestionata; la resina è uno dei medicamenti più usati per curare lussazioni e contusioni.
desfigurà vb. intr. (desfiguréo; desfigurèo; desfiguròu) sfigurare. Kon késto vestiàto te desfigurée con questo brutto vestito fai una figuraccia; te as tanto lauròu ke te sés fin desfiguròu hai lavorato talmente tanto che hai la faccia stravolta dalla stanchezza.
desfilà vb. trans. (desfìlo; desfilèo; desfilòu) sfilare, togliersi di dosso. Desfilà na màia de làna disfare una maglia di lana; al vestì se a dùto desfilòu il vestito si è tutto sfilacciato.
desfolà vb. trans. (desfoléo; desfolèo; desfolòu) togliere le ammaccature alle pentole e ai recipienti da cucina. Okóre desfolà l kalierìn bisogna togliere l'ammaccatura al paiolo piccolo.
desfortùna sf. (pl. desfortùne) sfortuna, iella. Dùte le desfortùne e sóe tutte le disgrazie capitano a lui.
desfortunòu agg. (pl. desfortunàde, f. desfortunàda) sfortunato. Da pìžol n su l e sènpre stòu desfortunòu fin da quando era piccolo è sempre stato sfortunato.
desfratà vb. trans. (desfratéo; desfratèo; desfratòu) ripulire il bosco dalla ramaglia. Kuàn ke i a fenìu de taià, okóre desfratà quando avranno finito di tagliare le piante, bisognerà ripulire il bosco dalla ramaglia (v. fràta).
desfredà vb. trans. (desfredéo, desfrédo; desfredèo; desfredòu) raffreddare. Làsa desfredà la menèstra e daspò màñela lascia raffreddare la minestra e poi mangiala; fig. daspò kéla remenàda, ànke to fiól se a desfredòu dopo quella mazzata, anche tuo figlio ha perso ogni fervore; me son desfredòu mi sono demotivato.
desfredàda sf. (pl. desfredàde) colpo di freddo. Le conseguenze possono essere raffreddore e influenza. Skuèrdete polìto se nò te te čàpe na desfredàda copriti bene altrimenti ti buschi un raffreddore.
desfrìde vb. trans. (desfrìdo; desfridèo; desfridésto) soffriggere, friggere. Desfrìde la žéula friggere la cipolla (v. frìde).
desfrìto sm. (pl. desfrìte) il soffritto. La menèstra kol desfrìto la minestra col soffritto; il desfrìto era fatto con i grassi locali, quindi, alla cipolla veniva aggiunto strutto e lardo.
desfrośomà vb trans. e intr. (desfrośoméo; desfrośomèo; desfrośomòu) sfigurare. Taśe se nò te desfrośoméo taci, altrimenti te ne do tante da rovinarti i connotati.
desfrośomòu agg. (pl. desfrośomàde, f. desfrośomàda) sfigurato, disfatto. L e ruòu desfrośomòu da la fadìa è arrivato disfatto per la fatica.
deśgaià vb. trans. (deśgaéo; deśgaèo; deśgaiòu) rimuovere i sassi pericolanti da una parete di roccia o in galleria. Deśgàia kel krépo ñànte ke l rue ìnte pal tabià rimuovi quel sasso prima che arrivi addosso al fienile; deśgaiéa dó ki dói krépe, ñànte ke i tóme do sóra kalkedùn rimuovi quei due sassi prima che cadano sopra qualcuno.
deśgalà vb. trans. (deśgaléo; deśgalèo; deśgalòu) ridurre la calce viva a calce spenta usando una particolare zappa per farla sciogliere e amalgamare. Deśgalà la čaužìna spegnere la calce.
deśgalonà, deśgalonàse vb. trans. e rifl. (me deśgalonéo; deśgalonèo; deśgalonòu) lussarsi, rompersi le ossa dalla fatica, azzopparsi. Èi fàto tanta fadìa ke son dùta deśgalonàda ho fatto tanta fatica che mi sento tutte le ossa rotte; kóre a laurà se nò te deśgalonéo va a lavorare altrimenti ti spacco le gambe.
deśgalonàda sf. (pl. deśgalonàde) strappo muscolare.
deśgančà vb. trans. (deśgančéo, deśgànčo; deśgančèo; deśgančòu) sganciare, togliere il gancio. Deśgančà la čadéna sganciare la catena.
deśgatià vb. trans. (deśgatiéo; deśgatièo; deśgatiòu) sgrovigliare, districare, sbrogliare. Deśgatià n ğèmo sbrogliare un gomitolo; deśgatiàse i čavéi sbrogliarsi i capelli; ki a fàto l màl, a da deśgatiàselo chi ha compiuto il malanno, deve sbrogliarsela.
deśğažà vb. trans. (deśğàžo; deśğažèo; deśğažòu) sgelare. Kuàn ke vién l sol, i kandelòte se deśğàža al sole i ghiaccioli si sciolgono.
deśğonfà vb. trans. (deśğónfo; deśğonfèo; deśğonfòu) sgonfiare. Deśğonfà i budiéi sgonfiare i budelli per fare le salsicce e i salami; me a pasòu l màl de dènte e la dandìva se a deśğonfòu mi è passato il male di denti e la gengiva si è sgonfiata.
deśgóre vb. intr. (deśgóro; deśgorèo; deśgorésto) sgocciolare, sgrondare. Làsa ke la biankarìa deśgóre lascia sgocciolare la biancheria lavata.
deśgorğà vb. trans. (deśgorğéo; deśgorğèo; deśgorğòu) sturare, disintasare. Okóre deśgorğà l seğèr bisogna sturare il secchiaio.
deśgorteà vb. trans. (deśgorteéo; deśgorteèo; deśgorteòu) accoltellare, sgozzare. Deśgorteà l kùčo sgozzare, uccidere il maiale; al se avèa dùto deśgorteòu si era tagliuzzato tutto.
deśgranà, deśgranelà vb. trans. (deśgranéo; deśgranèo; deśgranòu) sgranare, togliere i chicchi dalle pannocchie di granoturco. Deśgrànete sti pitói sgrana queste pannocchie.
deśgrasà vb. trans. (deśgràso; deśgrasèo; deśgrasòu) togliere il grasso, togliere l'unto. Deśgràsa la vìda del karéto sgrassa la vite del carro; deśgrasàse le màn togliersi l'unto dalle mani.
deśgràžia sf. (pl. deśgràžie) disgrazia, sfortuna, peccato. Te ses na deśgràžia sei una disperazione.
deśgražiòu agg. (pl. deśgražiàde, f. deśgražiàda) disgraziato, sfortunato. To fiól e sènpre stòu deśgražiòu nte la vita tuo figlio è sempre stato sfortunato durante la sua vita; te ses n deśgražiòu sei un maledetto disgraziato, detto in tono offensivo.
deśgropà vb. trans. (deśgrópo; deśgropèo; deśgropòu) sciogliere i nodi, slegare, snodare. Deśgropà la kòrda sciogliere i nodi alla corda; deśgropà i čavéi sgrovigliare i capelli; fig. deśgropàse togliersi un peso dal cuore; èi dìto dùto e me son deśgropòu ho detto ogni cosa e mi sono liberato da un peso; èi piandésto e me son deśgropòu ho pianto ed ora mi sento sollevato.
deśgrosà vb. trans. (deśgroséo; deśgrosèo; deśgrosòu) assottigliare, ridurre di spessore. Kél mànego e màsa gròs, okóre deśgrosàlo quel manico è troppo grosso, bisogna assottigliarlo.
deśgrosìn sm. (inv.) pialla da falegname. È una pialla con la lama a mezzaluna che serve per incidere in porfondità il legno. Questo attrezzo viene adoperato per sgrossare le tavole di legno. Dopo aver tagliato le tavole si adoperava il deśgrosìn in diagonale (se adoperato in lunghezza asportava troppo materiale) e poi si lavorava il tutto con la piàna da pulì per le rifiniture.
deśgualìu agg. (pl. deśgualìve; f. deśgualìva, pl. deśgualìve) disuguale, non livellato. Sta tòla e deśgualìva, okóre bétela n sèsto questo tavolo è diseguale, bisogna metterlo a posto (v. gualìu).
deśgualivà vb. trans. (deśgualivéo; deśgualivèo; deśgualivòu) livellare, rendere il terreno uniforme. Deśgualivé nòta l čantón del čànpo una buona volta livellate il terreno nell'angolo del campo.
deśìna sf. (pl. deśìne) decina. Na deśìna de lugànege una decina di salsicce (v. deśéna).
deśinfetà vb. trans. (deśinfèto; deśinfetèo; deśinfetòu) disinfettare. Deśinfetà la stàla disinfettare la stalla.
deśìo sm. (solo sing.) confusione, caos. Termine comune nel dialetto veneto, l a fàto n deśìo ha buttato tutto sottosopra; te me as lasòu dùto n deśìo mi hai lasciato tutto sottosopra.
deskapità vb. intr. (deskapitéo; deskapitèo; deskapitòu) perdere denaro, rimetterci, fig. perdere reputazione, perdere credito. Se te fas kosì te deskapitaràs sènpre comportandoti così ci rimetterai sempre.
deskàpito sm. (pl. deskàpite) danno, discapito. Pì fàžo e pì deskàpito èi più mi dò da fare e più ci perdo.
deskapolàse vb. rifl. (me la deskapoléo; deskapolèo; me l èi deskapolàda) cavarsela, sfuggire una situazione pericolosa. Me l èi deskapolàda me la sono cavata.
deskaprižiàse vb. rifl. (me deskaprižié; deskaprižièo; deskaprižiòu) togliersi un capriccio, perdere interesse. Me son deskaprižiòu de dùto ho perso interesse per ogni cosa.
deskàrega sf. (pl. deskàrege) discarica, scarico, diarrea. Deskàrega de le tàe spiazzo di raccolta delle tàe; deskàrega de pióva acquazzone; deskàrega de le porkarìe discarica di immondizie (v. tàia).
deskartà vb. trans. (deskàrto; deskartèo; deskartòu) scartare, togliere la carta. Deskàrta sto pàko scarta questo pacco.
deskartožà vb. trans. (deskartožéo; deskartožèo; deskartožòu) scartocciare, disimballare. Deskartožà l pàko scartare, levare l'involucro dal pacco.
deskažà vb. trans. (deskàžo; deskažèo; deskažòu) cacciare, scacciare. Deskàža kél pelandrón caccia via quel fannullone.
deskilà vb. trans. (me deskiléo; deskilèo; deskilòu) tenere in disordine gli abiti indossati. Làseme sta, no sta deskilàme lasciami stare, non mettermi in disordine i vestiti.
deskilòu agg. (pl. deskilàde, f. deskilàda) malvestito, malmesso, fig. sciancato. Il termine si riferisce anche a chi non si cura dell'abbigliamento. Te ses sènpre deskilòu sei sempre malvestito; kél la e nasésto deskilòu quello è nato sciancato.
deskofolà vb. trans. (deskofoléo; deskofolèo; deskofolòu) sgusciare le noci o nocciole, togliere il mallo delle noci o delle nocciole. Deskofolà le kùče e le nośèle togliere il guscio alle noci o alle nocciole (v. desčofolà).
deskoižà, deskoižase vb. trans. e rifl. (me deskóižo, deskoižéo; deskoižèo; deskoižòu) togliere le calze. Se te vos, te deskóižo se vuoi ti aiuto a toglierti le calze; se te vos pasà l Rin, okóre ke te te deskóiže se vuoi attraversare i Rin, devi toglierti le calze (v. desčaužàse).
deskóižo agg. (pl. deskóiže, f. deskóiža) scalzo. Ki puóre tośàte e sènpre deskóiže quei poveri bambini sono sempre scalzi; no sta di deskóižo se nò te te čàpe àlgo non camminare scalzo altrimenti ti buschi qualche malanno; ki da Lóže va deskóiže, va de kròda, va a ślòda, va dal fàuro a nferà móse quelli di Lozzo vanno scalzi, vanno per crode, vanno per prati a raccogliere l'erica, vanno dal fabbro a far ferrare anche le mosche. Parimenti si dice kel sapientón soméa ke l fàže žòkoi pa le móse quel saputello sembra faccia zoccoli per mosche, l'espressione è rivolta a chi sembra fare un capolavoro, qualcosa di veramente incredibile. La cantilena è stata composta dagli abitanti dei paesi vicini a Lozzo e veniva interpretata sia in modo canzonatorio quanto all'opposto come plauso. Poveri dunque gli abitanti di Lozzo perché andavano in giro scalzi ed erano costretti a estirpare l'erica per permettere all'erba di crescere buona per il bestiame. Erano poi talmente pignoli da ferrare anche le mosche. Visto in positivo il detto suona come un complimento a gente che, pur di risparmiare le pantofole, andava in giro scalza e lottava per rendere fertili anche le zone più aride, dove per l'appunto cresce l'erica. A Lozzo inoltre ci sono fabbri artigiani talmente bravi da mettere i ferri anche alle zampe delle mosche.
deskolorì, deskolorìse vb. trans. e rifl. (deskolorìso; deskolorìo; deskolorìu) scolorire, sbiadire. A fòrža de lavàla, kéla màia la se a dùta deskolorìu a forza di lavarla, quella maglia si è sbiadita; e àne anòrum ke kela kòtola e dùta deskolorìda sono già tanti anni che quella gonna si è stinta.
deskolpà, deskolpàse vb. trans. e rifl. (deskólpo; deskolpèo; deskolpòu) discolpare, discolparsi.
deskomodà vb. trans. (deskomodéo; deskomodèo; deskomodòu) scomodare, disturbare. Staśé sentàde do kiéte, no staśé deskomodàve state seduti comodi, non state a scomodarvi.
deskòmodo agg. (pl. deskòmode, f. deskòmoda) scomodo, poco pratico. E deskòmodo par dùte teñì le léñe nte čàneva è scomodo per tutti tenere la legna in cantina.
deskoñà vb. trans. (deskóño; deskoñèo; deskoñòu) sbloccare, togliere il cuneo di sostegno, di fermo. Ìdeme a deskoñà késta pèndola da la bóra aiutami a togliere il cuneo dal pezzo di legno.
deskondón avv. di nascosto, in segreto. L e veñésto deskondón è venuto di nascosto.
deskontentà vb. intr. (deskontentéo; deskontentèo; deskontentòu) dispiacere. Nkuói te me as pròpio deskontentòu oggi mi hai recato proprio un bel dispiacere.
deskonžòu agg. (pl. deskonžàde, f. deskonžàda) insipido, senza sapore, scondito. Menèstra deskonžàda minestra che sa di poco; i pestariéi de nòta i èra deskonžàde i pestariéi di una volta erano sconditi.
deskòrdia sf. (pl. deskòrdie) discordia. Semenà deskòrdia seminare discordia.
deskóre vb. intr. (deskóro; deskorèo; deskorésto) discorrere, parlare amabilmente. Ko no l béve l deskóre mèo quando non beve parla meglio; ki doi deskóre da n bar de més, sènpre de le stése monàde quei due parlano da alcuni mesi, sempre delle stesse cose futili; tu te deskóre sul da fèi dùto l di, ma a la fin me tóča sènpre fèi a mi tu chiacchieri tutto il giorno su quello che c'è da fare, ma alla fine sono io che devo fare tutto.
deskornàse vb. rifl. (deskornéo; deskornèo; deskornòu) perder le corna. Kela vàča se a deskornòu quella mucca ha perso un corno; d invèrno i žèrve se deskòrna e daisùda i kòrne torna krese da nuóu in inverno i cervi perdono le corna, che a primavera spuntano di nuovo.
deskornòu agg. (pl. deskornàde, f. deskornàda) senza corna. Kele vàče e dùte deskornàde quelle vacche son tutte senza corna.
deskoržà vb. trans. (deskoržéo; deskoržèo; deskoržòu) sbucciare, togliere la scorza, sia di frutta che di piante. Deskoržà la narànža sbucciare l'arancia; deskoržà le tàe scortecciare i tronchi .
deskośì vb. trans. (deskośìso; deskośìo; deskośìu) scucire. Èi deskośìu le bràge ho scucito i pantaloni.
deskośidùra sf. (deskośidùre) scucitura. La màre me a betù n sèsto la deskośidùra de la ğakéta la mamma mi ha messo a posto la scucitura della giacca.
deskośolà vb. trans. (deskośoléo; deskośolèo; deskośolòu) sgusciare, togliere il bacello. Deskośoléa dói faśuói par fèi menèstra sguscia un po'di fagioli per la minestra.
deskośolàda sf. (pl. deskośolàde) gragnuola, deperimento prodotto da malattia. L a čapòu na deskośolàda ke i bàsta pa n tokéto ha preso una gragnuola (di pugni, di contrarietà, di dolori) che gli basta per un pezzo; ke malamente, àsto vedù ke deskośolàda stan va proprio male, hai visto quante disgrazie quest'anno.
deskrostà, deskrostàse vb. trans. e rifl. (deskrósto; deskrostèo; deskrostòu) scrostare, scrostarsi. Al mùro se deskrósta dùto la parete si scrosta tutta.
deskuerčà vb. trans. (deskuèrčo; deskuerčèo; deskuerčòu) scoperchiare, togliere il coperchio. No sta deskuerčà la peñàta se nò i faśuói no se kuóśe pì non togliere il coperchio alla pentola altrimenti i fagioli non finiscono più di cuocere.
deskuèrde, deskuèrdese vb. trans. e rifl. (me deskuèrdo; deskuerdèo; deskuèrto, deskuerdésto) scoprire, scoperchiare, scoprirsi, scoperchiarsi. Deskuèrde l liéto scoprire il letto; kuàn ke dòrmo, me deskuèrdo sènpre quando dormo, mi scopro sempre; deskuèrde i altàr a kalkedùn palesare i segreti, le faccende poco chiare a qualcuno: tàśe su, parkè se nò te deskuèrdo i altàr stai zitto, altrimenti racconto a tutti le tue malefatte (v. skuèrde).
deślatà vb. trans. (deślàto, deślatéo; deślatèo; deślatòu) svezzare. E óra ke te deślàte kél pìžol è ora che cerchi di svezzare quel bimbo; deślàta l vedèl se te vos portà làte a la latarìa bisogna svezzare il vitello se vuoi portare latte in latteria (v. destetà).
deślažà vb. trans. (deślàžo; deślažèo; deślažòu) slacciare. Deślažà la čaméśa, le bràge slacciare la camicia, i pantaloni; deślažà l grópo sciogliere il nodo.
deśleà vb. trans. (deśléo; deśleèo; deśleòu) slegare. Deśleà la vàča slegare la mucca.
deślivèl sm. (pl. deśliviéi) dislivello. Okóre śgualivà sto deślivèl bisogna spianare questo dislivello.
deślò, deślà avv. di là. L' espressione viene accompagnata dal movimento della mano che indica la direzione. Añó vàsto? vàdo deślò dove vai? vado di là; da ñó rùesto? da deślò da dove arrivi? da lì.
deślodà vb. trans. (deślodéo; deślodèo; deślodòu) ripulire un terreno dall'erica. Okóre di a deślodà bisogna andare a ripulire il prato dall'erica.
deśmačà vb. trans. (deśmàčo; deśmačèo; deśmačòu) smacchiare. Deśmačà la ğakéta smacchiare la giacca.
deśmagrà, deśmagràse vb. intr. e rifl. (me deśmagréo; deśmagrèo; deśmagròu) dimagrire. Daspò kela malatìa l se a deśmagròu de n grùmo dopo quella malattia è molto dimagrito.
deśmenteà, deśmenteàse vb. trans. e rifl. (deśmentéo; deśmentèo; deśmenteòu) dimenticare, dimenticarsi. Deśmenteàse de àlgo dimenticarsi qualcosa.
deśmenteón agg. (pl. deśmenteói, f. deśmenteóna; pl. deśmenteóne) dimenticone. Loc. màl del deśmenteòn detto a persona che dimentica facilmente ogni cosa o di pagare i debiti. To pàre a sènpre avù l màl del deśmenteón tuo padre ha sempre avuto le tendenza a dimenticarsi dei debiti da pagare.
deśméte vb. trans. (deśméto; deśmetèo; deśmetù) smettere, cessare. A bèlo deśmetù de pióve ha già smesso di piovere.
deśmisià, deśmisiàse vb. trans. e rifl. (deśmìsio; deśmisièo; deśmisiòu) svegliare, destare, svegliarsi, destarsi; fig. spicciarsi. Deśmìsia kel tośàto sveglia quel piccolo; da bonóra me deśmìsio tàrde mi sveglio tardi al mattino; deśmìsiete se nò te fas tàrde spicciati altrimenti arrivi in ritardo.
deśmolà vb. trans. (deśmoléo; deśmolèo; deśmolòu) slegare, sciogliere. Deśmolà i fàs de fién slegare i fasci di fieno, quando si arriva nel fienile dopo il trasporto (v. molà).
deśmondà vb. trans. (deśmondéo; deśmondèo; deśmondòu) sbucciare, ripulire prima di cucinare. Riferito ai cereali o legumi: deśmondà l òrğo, i faśuói ripulire, mondare l'orzo, i fagioli.
deśmontà vb. intr. (deśmónto; deśmontèo; deśmontòu) smontare, scendere. Deśmontà da čavàl smontare da cavallo; deśmónta do dal karéto, dal bòbi, dala luóida scendi dal carretto, dal bob, dalla slitta.
deśmonteà vb. trans. (deśmonteéo; deśmonteèo; deśmonteòu) smonticare, far rientrare le bestie dall'alpeggio. Stan i a deśmonteòu tàrde questo anno hanno smonticato tardi.
deśnamoràse vb. rifl. (me deśnamoréo; deśnamorèo; deśnamoròu) disamorarsi, perdere ogni interesse per qualcuno o per qualcosa, disaffezionarsi. Me son deśnamoròu de fèi sto laóro mi son stufato di fare questo lavoro.
deśnotà vb. trans. (deśnotéo; deśnotèo; deśnotòu) cancellare, togliere dall'elenco. Vàrda de deśnotà kél konto ricordati di cancellarmi il debito; la locuzione si comprende meglio se si considera che una volta le massaie andavano a fare la spesa senza denaro liquido e, di volta in volta, facevano annotare l'importo su un libretto personale riservandosi di saldare il conto a fine mese oppure appena avevano disponibilità di denaro.
deśòde vb. trans. (deśodéo; deśodèo; deśodòu) essere vorace, logorare, consumare rapidamente il vestiario. Me fiól deśòde n pèi de bràge òñi tre més mio figlio consuma un paio di calzoni ogni tre mesi.
deśonór sm. (inv.) disonore, vergogna. Te sés l deśonór de la nòstra faméa sei il disonore della nostra famiglia.
deśórdin, deśórden sm. (inv.) disordine. Kè élo dùto sto deśórdin? che cos'è tutto questo disordine?
deśosà vb. trans. (deśoséo; deśosèo; deśosòu) dissodare. Aisùda okóre di pai čànpe a deśosà la tèra in primavera bisogna andare nei campi a dissodare la terra.
desparà vb. trans. (desparéo; desparèo; desparòu) disimparare. Èi desparòu kél tin ke savèo ho disimparato quel poco che sapevo.
desparečà vb. trans. (desparéčéo; desparečèo; desparečòu) sparecchiare la tavola. Nkuói avón bèlo desparečòu ñànte ke sòne mèdodì parkè avón da kaminà oggi abbiamo sparecchiato prima di mezzogiorno perché dobbiamo andare via.
desparì vb. intr. (desparìso; desparìo; desparìu) sparire. Desparìse se no te vós čapàle vai via, sparisci se non vuoi prenderle; nte késta čàśa desparìse sènpre dùto in questa casa sparisce sempre tutto.
despàrte avv. da parte, in disparte. Bétete n despàrte mettiti da parte.
despatàse vb. rifl. (me despatéo; despateèo; despatòu) sbrigarsi, accordarsi. Loc. despatàsela sbrigarsela; làsa ke i se la despàte n tra de luóre lascia che se la sbrighino fra di loro.
despatužà vb. trans. (despatužéo; despatužèo; despatužòu) ripulire la casa dalla polvere e dalla sporcizia, pulire, spolverare. Despatužà i čavéi ripulire i capelli, sgrovigliarli; la màre a ordenòu de despatužà la kànbra la mamma ha ordinato di andare a pulire la camera.
despedoğà vb. trans. (despedoğéo; despedoğèo; despedoğòu) spidocchiare. Kél puaréto e pién de peduóğe, biśòña despedoğàlo quel poveretto è pieno di pidocchi, bisogna spidocchiarlo.
despeñà vb. trans. (despeñéo; despeñèo; despeñòu) staccare. Despéña kél rìgin dal čòdo stacca quella corda dal chiodo.
desperàse vb. rifl. (me desperéo; desperèo; desperòu) disperarsi. Al se desperéa par nùia si dispera per nulla.
desperažión sf. (inv.) disperazione. Èra dùta na disperažión nte kéla čàśa in quella casa erano tutti disperati; loc. te ses la desperažión de to pàre e de to màre sei la disperazione di tuo padre e di tua madre.
desperòu agg. (pl. desperàde, f. desperàda) disperato, povero in canna. L e sènpre stòu n puóro desperòu è da sempre un poveraccio.
despés avv. spesso. L a despés màl de pànža ha spesso male alla pancia.
despetenà vb. trans. (despetenéo; despetenèo; despetenòu) spettinare. Te ses dùto despetenòu sei tutto spettinato.
despèto, dispèto sm. (pl. despète, dispète) dispetto, molestia, fastidio. Al me fa sènpre despète mi fa sempre dispetti; te me fas despèto mi dai fastidio; te fas par dispèto ti comporti così apposta per darmi fastidio.
despetolà vb. trans. (despetoléo; despetolèo; despetolòu) sgrovigliare. Despetolà la làna sgrovigliare la lana; despetolà i čavéi sgrovigliare i capelli.
despetós, dispetós agg. (pl. despetóśe, f. despetóśa) dispettoso, fig. nauseante. To fiòžo e sènpre stòu despetós il tuo figlioccio è sempre stato dispettoso; sta ròba l a n dolže despetóś questa cosa è troppo dolce, è nauseante.
despiantà vb. trans. (despiànto; despiantèo; despiantòu) smontare, disfare, raccogliere. Despiànta kéla baràka e torna a čàśa disfa quella baracca e torna a casa. To nène a bèlo despiantòu le žéule tua zia ha già raccolto le cipolle; loc. i lo a despiantòu lo hanno fatto cadere in rovina, lo hanno spiantato.
despiaśì vb. imp. intr. (despiàśo; despiaśìo; despiaśìu) spiacere, dispiacersi. Kuàn ke te fas kosì, te despiàśe a dùte quando ti comporti così non piaci a nessuno; me despiàse ke te parte mi dispiace che tu parta.
despiažér sm. (inv.) dispiacere, dolore. Son pién de despiažér sono pieno di dispiaceri; èi n grùmo de despiažér par me fardèl sono partecipe del dolore (o del problema) di mio fratello.
despičà vb. trans. (despìčéo; despičèo; despičòu) staccare, strappare, svellere, fig. affrettarsi. Despìča kél kuàdro dàla paredàna stacca quel quadro dalla parete; despìčete ke e tàrde affrettati che è tardi; loc. pìčà e despičà fare debiti e pagarli (v. pičà).
despičolà, despičolàse vb. trans. e rifl. (despičoléo; despičolèo; despičolòu) disarticolare, rompere un arto. Daspò kéle fadìe son dùto despičolòu dopo tutte quelle fatiche ho tutte le ossa rotte; nkóra n tin ke te tìre, te me despičolée se tiri ancora un po' mi rompi tutte le ossa.
desplažità vb. trans. (desplažitéo; desplažitèo; desplažitòu) diffamare, parlar male di qualcuno. Kel la me a desplažitòu do pa le piàže quell'uomo mi ha diffamato con tutti; i lo a desplažitòu dapardùto ne hanno parlato male dappertutto.
despoià vb. trans. (despoiéo; despoièo; despoiòu) scortecciare, togliere le foglie alle pannocchie di granoturco. Di a despoià andare a scartocciare pannocchie; a settembre, ultimato il raccolto, tra famiglie si usava scambiarsi un aiuto, così la sera ci si riuniva a scartocciare le pannocchie. Le pannocchie non arrivavano mai a maturazione sul campo, per cui si costruivano i kavalòte che si tenevano in soffitta per permettere alle pannocchie di arrivare a essiccazione completa. Per i giovanotti era sicuramente un'occasione per conoscere qualche ragazza.
despoiàse vb. rifl. (me despoiéo; despoièo; despoiòu) spogliarsi.
despolinà, despolinàse vb. trans. e rifl. (despolinéo; despolinèo; despolinòu) spolverare, scuotersi di dosso lo sporco. Kuàn ke rùo da la siéga, me tóča despolinàme ñànte de dì nte čàśa quando torno dalla segheria devo sempre spolverarmi bene prima di entrare in casa.
despolpà vb. trans. (despolpéo; despolpèo; despolpòu) sfiancare, affaticare i muscoli all'estremo. Me son despolpòu a veñì do de kórsa da Mónte mi fanno male le gambe perché son sceso correndo da Pian dei Buoi.
despornà vb. trans. (despornéo; despornèo; despornòu) staccare, sgrovigliare. Despornà i čavéi sgrovigliare i capelli; despornà i čòde staccare, levare i chiodi.
despòtego agg. (pl. despòtege, f. despòtega) dispotico. Na paróna despòtega una padrona dispotica, autoritaria (v. spòtego).
desprežà vb. trans. (desprèžo; desprežèo; desprežòu) disprezzare. Prov. ki ke desprèža kónpra chi disprezza, compra.
desputanà vb. trans. (desputanéo; desputanèo; desputanòu) calunniare, disonorare. Te me as desputanòu par dùte le čantonàde hai detto male di me in giro; kel la no l sa àutro ke desputanà la dènte quello è capace solo di fare maldicenza.
dèsrìga sm. (inv.) putiferio, disastro, intervento massiccio con modi militareschi. Loc. Fèi dùto n dèsrìga fare tutta una disastro, abbattere tutto, distruggere ogni cosa.
destakà vb. trans. (destàko; destakèo, destakòu) staccare, smettere. Destàka l čavàl dal čàr stacca il cavallo dal carro; destàka de laurà e mañéte àlgo smetti di lavorare e mangia qualcosa.
destañà, destañàse vb. rifl. (me destàño; destañèo; destañòu) perdere o togliere la stagnatura. Al kalderìn se a destañòu il paiolo ha perso la stagnatura.
destènde vb. trans. (destèndo; destendèo; destendù, destendésto) stendere o distendere. Destènde la biankarìa stendere la biancheria lavata. Il verbo veniva adoperato anche ad indicare la fine dell'uccellagione, perché il verbo tènde indicava l'andare a catturare uccelli con diversi sistemi: adès e óra de destènde adesso è ora di togliere i richiami e le panie; destendón le visčàde dal požaràko e don a čàśa parké ke e skùro adesso finiamo l'uccellagione e andiamo a casa perché è buio (v. béte fòra).
destenperà, destenperàse vb. trans. e rifl. (destenpéro; destenperéo; destenperòu) stemperare, intiepidire, stemperarsi, intiepidirsi. Sto fèr se a destenperòu questo ferro si è raffreddato; destenperà l làte intiepidire il latte; i dènte se a destenperòu sensazione di denti legati che si prova passando dal caldo al freddo, da un cucchiaio di minestra calda ad un sorso d'acqua gelida.
destetà vb. trans. (destetéo; destetèo; destetòu) slattare, svezzare. Destetà l vedèl svezzare il vitello (v. deatà).
destìn sm. (inv.) destino, sorte. Avé n puóro destìn avere una misera sorte; kuàn ke e destìn, e destìn contro il destino non c'è niente da fare; prov. dal destìn no se skànpa al destino non si sfugge.
destinà vb. trans. (destinéo; destinèo; destinòu) destinare, decidere, lasciare in eredità. Èi destinòu kosì e mùči ho deciso così e taci; al Siñór a destinòu kosì e no e nùia da fèi il Signore ha destinato così e perciò non c'è nulla da fare.
destirà, destiràse vb. trans. e rifl. (destiréo; destirèo; destiròu) stendere, allungare, rovesciare, abbattere, stendersi, fig. fare un pisolino. Kuàn ke me àužo dal liéto, me destìro sènpre par žìnke menùti quando mi alzo dal letto, mi allungo sempre per cinque minuti; l vènto a destiròu dùto l sórgo il vento ha rovesciato tutte le canne del granoturco; i èi fàto la ğambarèla e l se a destiròu gli ho fatto lo sgambetto ed è finito per terra; me son destiròu n tin ho fatto un pisolino (v. śbragažà).
destòle vb. trans. (destòlo; destolèo; destolésto) distogliere. Destòle kel tùto dal larìn se nò l se skòta allontana il piccolo dal larìn altrimenti si scotta.
destrakàse vb. rifl. (me destràko; destrakèo; destrakòu) riposarsi, togliersi la stanchezza di dosso. Èi debeśuói de me destrakà n tin parkè èi lauròu nte čànpo dùta la bonóra ho bisogno di riposarmi un po' perché ho lavorato nel campo tutta la mattina.
destrigà, destrigàse vb. trans. e rifl. (destrìgéo; destrigèo; destrigòu) finire celermente, sbrigare, ordinare, affrettarsi. Destrìgete ke e tàrde sbrigati che è tardi; destrigà fòra finire e mettere a posto, portare a termine; destrìga fòra de sóte sta ròba metti via questa roba.
destropà vb. trans. (destrópo; destropèo; destropòu) stappare, sturare. Destropà l fiàsko togliere il tappo al fiasco; destrópa la barìža se te vos béve stappa la botticella se vuoi bere; destropà l seğèr sturare il secchiaio.
destrožà vb. trans. (destròžo; destrožèo; destrožòu) liberare i tronchi dalle graffe. Prima del trasporto, i tronchi venivano fissati in un blocco unico con graffe, all'arrivo venivano sciolti usando una spranga di ferro a piede di porco detta stànga da stròž.
destrožà vb. trans. (destrožéo; destrožèo; destrožòu) asportare le lame degli stròž dai tronchi. Destròža kéle tàe parkè dovón parečà n àutro kàrego leva gli stròž da quei tronchi perché dobbiamo preparare un altro carico .
destrùğe vb. trans. (destrùğo; destruğèo; destruğésto) distruggere, rovinare. La tanpèsta a destruğésto dùte i faśuói la grandine ha distrutto i fagioli; tu te destrùğe dùto tu rovini ogni cosa che tocchi.
destudà vb. trans. (destùdo; destudèo; destudòu) spegnere. Destùda l fuóu spegni il fuoco; destùda la lùśe spegni la luce.
desturbà vb. trans. (destùrbo; desturbèo; desturbòu) disturbare, incomodare. Kuàn ke te čànte te destùrbe dùte quando canti disturbi tutti; no vói ke te te destùrbe par kólpa méa non voglio che ti incomodi per colpa mia; parkè te destùrbesto sènpre? perché ti disturbi sempre? forma di cortesia usata quando si ricevono spesso gentilezze o doni.
destùrbo sm. (pl. destùrbe) disturbo, rumore, incomodo. Kon dùte sti destùrbe kóme se puólo dormì? con tutti questi rumori come si può dormire?; tolón al destùrbo leviamo l'incomodo.
deśubedì vb. intr. (deśubedìso; deśubedìo; deśubedìu) disubbidire. Veàutre deśubedì sènpre voi disubbidite sempre; deśubedì e pekà chi disubbidisce commette un peccato.
deśubediènte agg. (inv.) disubbidiente. Te ses stòu n deśubediènte e kosì stasiéra te fìle a dormì žènža žéna sei stato disubbidiente, così per punizione stasera andrai a dormire senza cena.
deśuśàse vb. tr. rifl. (me deśuśéo; deśuśèo; deśuśòu) disabituarsi, perdere l'abitudine. Deśùśete de pisà nte liéto, ke te ses bèlo gran perdi l'abitudine di far pipì a letto, perché sei già grande; deśùśete de fumà smettila di fumare.
deśvanpolàse, deśvanpolàsela vb. tr. rifl. (me deśvanpoléo; deśvanpolèo; deśvanpolòu) divertirsi, distrarsi. To fiól nkuói l se a propio deśvanpolòu tuo figlio oggi deve essersi proprio divertito.
deśvestì, deśvestìse vb. trans. e rifl. (me deśviésto; deśvestìo; deśvestìu) svestire, svestirsi. Deśviéstete e va a ślòfin svestiti e vai a dormire.
deśvidà vb. trans. (deśvìdo; deśvidèo; deśvidòu) svitare. Deśvìda kél bolón e kànbielo ke l e spanòu svita quel bullone e cambialo perché si è rotto il filetto.
deśviestì, deśvestì, deśviestìse, deśvestìse vb. trans. e rifl. (me deśviésto; deśviestìo; deśviestìu) svestirsi. Verbo col dittongo mobile come: sentì e sientì. E óra ke te te deśviéste se te vos veñì a dormì è ora che ti spogli se vuoi venire a dormire.
deśvinkolàse vb. rifl. (me deśvinkoléo; deśvinkolèo; deśvinkolòu) svincolarsi, liberarsi da qualcuno. Èi fàto n sfòržo ma me son deśvinkolòu ho fatto uno sforzo, ma son riuscito a liberarmi.
deśvižià, deśvižìase vb. trans. (deśvižiéo; deśvižièo; deśvižiòu) togliere il vizio. Èi deśvižiòu me fiól ke l se čučèa l déido ho tolto a mio figlio il vizio di succhiarsi il dito.
deśvoità vb. trans. (deśvóito; deśvoitèo; deśvoitòu) svuotare. Deśvóita kél bokàl ke l e pién vuota quel vaso da notte perché è già pieno; l a tolésto l òio de rìžino e l se a deśvoitòu alòlo ha preso l'olio di ricino e si è liberato subito l'intestino.
detravès avv. di traverso. Al se a betésto a rìde e l àga i e dùda detravès si è messo a ridere e l'acqua gli è andata di traverso (v. travès).
deventà vb. intr. (devènto; deventèo; deventòu) diventare. Deventà pì bón, deventà pì trìsto diventare più buono, più cattivo.
devéro avv. davvero. Sésto tomòu par devéro o élo na bàla? sei caduto per davvero o è una frottola? (v. véro).
devìde vb. trans. (devìdo; devidèo; devidésto, devìso) dividere, spartire. Devìde polìto l formài fa le parti giuste del formaggio; e óra de fèi diviśión, e óra de devìde è arrivato il momento di dividere l'eredità.
devožión sf. (inv.) preghiera, devozione. L e pién de devožión è pieno di timor di Dio; ñànte de di a dormì bisòña di le só devožión prima di andare a letto si devono recitare le preghiere.
dežènbre sm. (solo sing.) dicembre. De sòlito n dežènbre se kópa l kùčo di solito a dicembre si uccide il maiale.
dežìde, dežìdese vb. trans. (dežìdo; dežidèo; dežidésto) decidere. Èi bèlo dežìdesto l da fèi ho già deciso il da farsi; dežìdete, mò, ke e óra deciditi, dunque, che è ora.
dèžima sf. (pl. dèžime) decima. Quota del prodotto dei campi data al parroco, secondo una antica tradizione medioevale. La decima veniva conferita ogni anno il 13 di dicembre. Stan èi nkóra da portà la dèžima n kalònega quest'anno devo ancora portare la decima in canonica; portà la dèžima al prèe portare la decima al parroco (v. premìžia).
dèžimo agg. num. (pl. dèžime; f. dèžima) decimo, decilitro. Késta e la dèžima tàia questo è il decimo tronco; n dèžimo de śñàpa un decilitro di grappa.
dežipà vb. trans. (dežìpo; dežipèo; dežipòu) distruggere, rovinare, sciupare. Kuàn ke te béte màn a àlgo, te dežipée dùto quando ci metti le mani, sciupi tutto.
dì sm. sf. (pl. dìs) giorno. Notare che in dialetto il giorno è maschile se indica un periodo reale di 24 ore: e pasòu n àutro dì è trascorso un altro giorno, è femminile invece se indica un periodo generico, una data occasione: veñarà na dì ke te betaràs ğudìžio ànke tu verrà il giorno in cui anche tu dovrai metter giudizio. Il genere doppio può essere eredità del latino classico. Loc. l àutra dì l'altro giorno, poco tempo fa. I giorni della settimana: i dis de la stemàna: lùne, màrte, mèrkui, duóiba, vèndre, sàbo, doménia. N invèrno i dìs i e pì kurte de la nuóte d'inverno le giornate sono più corte della notte; bondì buongiorno; ñànte dì all'alba; vién dì viene giorno; via pal dì durante il giorno; tra dì e nuóte all'imbrunire; al dì de Pàska il giorno di Pasqua; prov. e pì dìs ke lugànege bisogna esser previdenti, far provviste per l'inverno; na dì un giorno qualsiasi; na dì veñarèi un giorno verrò; na dì o l àutra bisòña ke vàde dal dotór un giorno o l'altro bisogna che vada dal medico; al dì de nkuói al giorno d'oggi; al dì de nkuói i fiói komànda a so pàre al giorno d'oggi i figli comandano anche al proprio padre; al dì de San Mài il giorno di San Mai, cioè mai; tu te sararàs siór l dì de San Mài tu non diventerai mai ricco; al dì de la màre il compleanno della mamma; n dì si e n dì nò a giorni alterni; l àutra dì l'altro ieri, giorni fa; l àutra dì de là tre giorni fa; prov. òñi dì pàsa n dì tutto passa a questo mondo; prov. òñi dì vién nuóte ogni giorno viene notte, per tutte le cose c'è una fine; prov. dùte i dìs no e konpài i giorni non sono mai uguali, c'è sempre un giorno buono dopo uno cattivo.
dì vb. trans. (dìgo; diśèo; dìto) dire, pronunciare, raccontare. Tu te dìs sènpre de si tu dici sempre di si; dìme na bèla stòria raccontami una bella favola; dìme su na poeśìa recitami una poesia; dìme pura dùto raccontami tutto; no puói mia dìte dùto non posso mica svelarti tutto; de to pàre se puó dì solo ke polìto di tuo padre non si può dire che bene; a dì póko, l me a kuàśi kopòu de bòte a dirla in breve, mi ha quasi ucciso di botte; kél là l sa solo čatà da dì quello lì non sa che litigare; to madòna la sa solo dì màl de dùte tua suocera sparla sempre di tutti; loc. ko l a dìto, l a skrìto quando dice una cosa la mantiene; avé n tin de kéla ke se dìs sapersi comportare correttamente; loc. l e kél ke l puó èse è insopportabile; fèi dì dó par čéśa far pubblicare in chiesa, render pubblico; dì sènpre ke l e kuóta dire sempre di sì; dì su recitare, ripetere, dire ad alta voce, insultare; prov. no okóre dì dùto kél ke se sa e no okóre mañà dùto kél ke se a non è necessario dir tutto quello che si sa né mangiare tutto quello che si ha, analogo al prov. e mèo mañà dùto kel ke se a ke dì dùto kél ke se sà; prov. a sto móndo, e ki ke sa kél ke i dìs, e ki ke dìs kél ke i sa a questo mondo c'è chi sa quello che dice e chi dice quello che sa, cioè c'è chi misura quello che dice e chi, invece, spiattella tutto quello che sa; prov. mèo no dì ke skominžià e no fenì meglio non promettere, che cominciare e non finire.
dì3 vb. intr. (vàdo; dèo; du, désto) andare. Dì su salire, dì dó scendere, dì ìnte entrare, dì fòra uscire, di do sóte andare di sotto, dì su sóra andare di sopra; dì via partire, dì via kói suói svenire; dì fòra de sóte andarsene alla chetichella; dì davòi seguire, andare in coda, in processione; ió vàdo sènpre davòi al pàre io seguo, dò retta, faccio sempre come mio padre; e mòrto me mesiér e dón dùte davòi è morto mio suocero e andiamo tutti al funerale; no sta dì davòi a késte čàčere non dare retta a queste chiacchiere; al làte e dù de màl il latte è inacidito; béte a dì avviare; dì su kóme n ğàto andare su come un gatto, arrampicarsi agilmente; dì de kòrpo defecare; dì n stèle andare in rovina; al stòrto va n stèle quel che ci si procura con l'inganno va in rovina; dì de ruóiba andare verso il disastro; dì su pài trènta avvicinarsi ai trent'anni; la Mésa va su a le sète la Messa inizia alle sette; dì a sesakù andare all'indietro; dì a vede de ... andare in cerca di ...; dì par karità elemosinare; fèi dì l arlòio far funzionare l'orologio; fèi dì l formài consumare il formaggio; dì n frégole andare in briciole; prov. a dì n dó dùte i sànte ìda ad andare in giù tutti i santi aiutano, quando una cosa è chiara si fa presto poi a realizzarla.
dialèto sm. (pl. dialète) dialetto. Al didenkuói no se parla pì l dialèto dei vèče al giorno d'oggi non si usa più la stessa parlata che usavano i nostri vecchi; l nòstro dialèto e difìžil da kapìse il dialetto di Lozzo è difficile da capire a chi parla italiano (v. patuà).
diàu sm. (inv.) diavolo. No l a paùra ñànke del diàu non ha paura neanche del diavolo; l e n puóro diàu è un povero diavolo, usato però più spesso come esclamazione, vedi sotto; prov. l diàu kàga sènpre sul grùmo gràn il diavolo fa la cacca sempre sul letamaio più grande, come dire: piove sempre sul bagnato, espressione usata quando vincite e premi vanno a finire nelle mani di persone che sono già ricche o che comunque sono sempre abituate a vincere; ma ke diàu élo? ma cosa mai succede?; prov. l diàu no désfa krós esistono cose sacre che neanche il diavolo può profanare; prov. l diàu la sa lònga parkè l a la kóda i malvagi riescono in tutto perché conoscono ogni sotterfugio.
diàu escl. diavolo, accidenti, figurati. Diàu, àsto paùra de sta ròba? perbacco, hai paura di questa cosa?; puóro diàu, la brentàna i a portòu via l pulinèi poveretto, la piena gli ha portato via il pollaio.
diàula sf. (solo sing.) diavola. Puóra diàula poveretta.
diaulìn sm. (solo pl.) formicolio doloroso alle dita di mani e piedi prodotto a causa del freddo che blocca la circolazione, il dolore cessa quando il sangue riprende a circolare. Kuàn ke te vien i diaulìn te as da béte i déide nte l àga apéna tièpida e te sfregolée a piàn per calmare il dolore, si devono immergere ripetutamente le dita nell'acqua tiepida e poi massaggiare pian piano. Ànke nkuói èi avù i diaulìn anche oggi ho avuto un principio di congelamento alle dita.
didisète, diśisète agg. num. (inv.) diciassette. Stan me fiól vien de didisète quest'anno mio figlio compirà diciassette anni.
dièi sm. (inv.) pastore aggiunto, aiuto pastore. No e pì nisùn ke vó di a fèi l dièi su a Mónte non c'è più nessuno che voglia fare l'aiuto pastore a Pian dei Buoi.
diéśe agg. num. (inv.) dieci. Nte diéśe menùte vàdo e torno in dieci minuti vado e vengo.
diévol sm. (pl. diévoi) maggiociondolo (bot. Laburnum anagyroides). Con questo tipo di legno venivano fatte le kuèrte, cioè l'armatura esterna della ruota. Se te vas a Mónte, čàteme n tìn de diévol ke èi da ğustà la ròda del karéto se vai su a Pian dei Buoi portami un pezzo di maggiociondolo che ne ho bisogno per aggiustare le ruote del carretto.
diferènte agg. (inv.) differente, diverso. L e diferènte de so fardèl è diverso da suo fratello.
diferènža sf. (pl. diferènže) differenza, diversità, parzialità. E na bèla diferènža kóme dal dì a la nuóte c'è una bella differenza come tra giorno e notte; to màre fa sènpre diferènže tra i so fiói tua madre fa sempre parzialità tra i suoi figli.
difèto sm. (pl. difète) difetto, mancanza, vizio. L e pién de difète è pieno di difetti; siénto l difèto de to pàre sento la mancanza di tuo padre; loc. l difèto no sta nte l mànego, ma nte l soramànego il difetto non sta nell'attrezzo ma in chi lo usa; prov. ki ke a l sospèto, a ànke l difèto chi sospetta sempre degli altri è perché sa come imbrogliare.
difetós agg. (pl. difetóśe, f. difetóśa) mancante, difettoso. Sti čòde e difetóśe questi chiodi sono difettosi.
diğerì vb. trans. (diğerìso; diğerìo; diğerìu) digerire. Diğerì kél ke se màña digerire quello che si mangia; tu te diğerìse ànke čòde tu digerisci anche chiodi, hai uno stomaco di ferro; kon to pàre okóre diğerì dùto da tuo padre bisogna accettare tutto.
diğestión sf. (inv.) digestione. Bòna diğestión buona digestione.
dinči escl. accidenti. Loc. pòrko dìnči, o dìnči pòrko accidenti.
dìndio, dindiòto sm. (pl. dìndie, dindiòte) tacchino (zool. Meleagris gallopago). To pàre teñélo nkóra dìndie? tuo padre alleva ancora i tacchini?
dindolàse vb. trans. rifl. (me dindoléo; dindolèo; dindolòu) andare in altalena, fig. trastullarsi. No sta dindolàte màsa, senò te te revòlte l stómego non stare troppo in altalena, altrimenti ti viene il voltastomaco.
dinprésto avv. a prestito. Loc. dì dinprésto andare a chiedere in prestito; dà dinprésto dare in prestito; tòle dinprésto prendere a prestito; èse dinprésto appartenere a qualche altro o a qualcosa d'altro; fig. són ka dinprésto vado di fretta; tu te ses ka dinprésto tu sei qui in prestito, cioè tu sei qui provvisoriamente; prov. son ka kuàtro dì dinprésto la vita è così breve che si può dire di essere solo di passaggio.
dintórno sm. (pl. dintórne) dintorni, vicinanza. Nté i dintórne no se véde nisùn nei dintorni non si vede nessuno.
dintórno avv. prep. attorno, intorno. L a śbiankedòu dintórno l tabià ha imbiancato intorno al fienile; lèvete dintórno levati d'attorno; dintórneme vicino a me, dintórnete vicino a te, dintórnese vicino a lui; tìrete via dintórneme vai via lontano da me; tu te vas sènpre dintórno tu gironzoli sempre; al va dintórno parkè l e čòko nbreàgo barcolla perché è ubriaco fradicio; loc. al tènpo ména dintórno il tempo è instabile (v. ntórno).
Dio sm. (inv.) Dio. Usato anche nelle invocazioni e nelle imprecazioni. Prov. Dio li fa e daspò li konpàña Dio li fa e poi li mette insieme, riferito a due persone nate l'una per l'altra, sia per affinità fisica che interiore. A volte viene usato in senso ironico.
dìole escl. accidenti, perbacco. Dìole ke bòta espressione impiegata per evitare una bestemmia (v. pardióle).
dipènde, depènde vb. intr. (dipèndo; dipendèo; dipendésto) dipendere. Dùto dipènde da to màre tutto dipende da tua madre; e dipendésto póčo ke l morìse è mancato poco che morisse; no te as mai volésto dipènde da nisùn non hai mai voluto dipendere da nessuno, hai sempre fatto di testa tua.
direžión sf. (inv.) direzione, buon senso, buona amministrazione, indirizzo postale. Késta e la direžión ğùsta questa è la direzione giusta; no te as mai avù direžión non hai mai avuto buon senso; nte sta čàśa okoraràe n tin pì de direžión in questa casa ci vorrebbe una migliore amministrazione; la direžión de la létra e śbaliàda l'indirizzo della lettera è sbagliato.
diśdòto agg. num. (inv.) diciotto. A diśdòto àne te diraràs ànke tu sóte la nàia quando avrai compiuto diciotto anni dovrai fare anche tu il servizio militare.
diskórso sm. (pl. diskórse) discorso, fig. coerenza nel parlare. L a fàto n bèl diskórso ha parlato bene; ma ke diskórse fàsto? ma che razza di stupidaggini dici?; kel la no l a n tìn de diskórso quell'uomo non sa né parlare né tacere.
diśnà vb. intr. (diśnéo; diśnèo; diśnòu) desinare, pranzare. Àsto bèlo diśnòu? hai già pranzato?; la doménia l vién a diśnà da neàutre la domenica viene a pranzare da noi.
diśnà sm. (pl. diśnàs) pranzo, il desinare. Daspò disnà dopo pranzo; ñànte diśnà prima di pranzo; ka e sènpre diśnàs qui si mangia sempre, qui si fa sempre festa.
diśnèra sf. (pl. diśnère) terreno lavorabile in mezza giornata. ñante de medodì, sàpa sta diśnèra prima che sia mezzogiorno, zappa questo terreno (v. prendèra, marendèra, solverèra).
diśnuóve agg. num. (inv.) diciannove.
distéso avv. lo stesso, la stessa cosa. Par me fa distéso per me fa lo stesso, è la stessa cosa (v. listéso).
dìto sm. (pl. dìte) detto, proverbio, sentenza. Késto e n dìto dei nòstre vèče questo è un detto, una sentenza dei nostri vecchi; da dìto l fàto in men che non si dica; da dìto l fàto l se a betù a pióve improvvisamente si è messo a piovere (v. fàto).
diviśión sf. (inv.) divisione, spartizione dell'eredità. Nkuói a skòla èi nparòu la diviśión oggi a scuola ho imparato a fare le divisioni; kuàn ke no e nùia de skrìto, se fa pì présto e mèo le diviśión quando manca il testamento, la spartizione dell'eredità avviene più semplicemente e velocemente.
dižón sm. (pl. dižói) tratturo montano. Normalmente si tratta del percorso compiuto dai greggi di pecore durante la monticazione estiva. Le féde le e pasàde dùte su kel dižón le pecore sono transitate tutte lungo quel tratturo (v. dùda).
dó avv. giù. L e du dó par sóte è scivolato lungo il pendio; le ruòu dó dal pè del prà è arrivato fino in fondo al prato; sta dó de àlgo fare un piccolo sconto; lasà di dó pa le bràge perdere i soldi ricevuti in prestito, perdere per distrazione sia crediti che punti al gioco; ka dó quaggiù; là dó laggiù; parà dó ingoiare, fig. sopportare; dó bàs per terra; dó sóte giù, in basso; dó de sóte di sotto; béte dó posare per terra, fig. dar libero sfogo alle proprie preoccupazioni; bičà dó buttare giù, fig. piovere a dirotto; bičàse dó riposarsi, distendersi, demoralizzarsi; śgorlà dó scuotere, scrollare; tirà dó sparlare, bestemmiare; dó dal pè ai piedi, al di sotto (v. ka, là).
Doàn sm. (nome) soprannome di famiglia.
doàna sf. (pl. doàne) dogana, posta dei cavalli. A la doàna i čavài puó mañà e pausà n tin all'autorimessa i cavalli possono mangiare e riposare un po'.
Doàna sf. top. (nome) località di proprietà del Comune di Domegge. La località si trova a est di Lorenzago, ai piedi del Col Ròsolo. La si raggiunge lasciando la strada all'altezza degli ultimi tornanti lungo il percorso che da Laggio di Cadore sale a Casera Razzo. O son a Doàna o son a Bajón o sono da una parte, o sono dall'altra, non posso essere dappertutto allo stesso tempo; si tratta di due località molto distanti l'una dall'altra.
dobòto avv. dopo, in seguito. Adès te vas tu, to màre veñarà dobòto adesso ci vai tu, tua madre verrà in seguito.
dobòto avv. quasi. Dobòto le čapèo da la màre quasi quasi le prendevo dalla mamma.
dodéna sf. (pl. dodéne) dozzina. Èi čatòu na dodéna de kóe ho trovato una dozzina di nidi.
dódeśe agg. num. (inv.) dodici. Dódeśe i e i més de n an i mesi dell'anno sono dodici.
dodesóte, dó de sóte avv. di sotto, al piano inferiore. Va dodesóte e pòrta su dóe patàte vai di sotto e porta su un po' di patate (v. sudesóra).
dógo sm. (pl. dóge) gioco. Késto mò e n bèl dógo questo è davvero un bel gioco. Elenco di alcuni giochi: pitokéto, kànpano (frùskola), kàrte, tresète, skóa, skarabòčo, péa, pìndol, balón, kukotàna, fèi da rìde, kavalòto, père, delìbera, balotói, bàle, a kórese davòi, a skivàse, a se čapà, a la kòrda, fèi subiòte o sčopéte (de sanbugèi), tirà bàle de néve, tirà ko la fiónda, di a ślisàse, di kói si de bóte, fèi i làge, fèi i fuóge, śbarà kól karbùro, la balestìte, le kartùče, dì a póme, pére, suśìn, žariéśe, fràsone, mòre, mùie, montañère, ğàśone, nośèle, kùče, dugà ai soldàde, dugà a la móra, a la spanda, a tènde, batepòrte, di a kóe, ko la ròda de la bičikléta e kol fèr de la kośìna, tónbola (kói faśuói), dugà a fèi ğanbuléte, dugà al kànpano, peralén.
dói agg. num. (pl. dóe) due, alcuni. Questo aggettivo è usato anche per fare il partitivo; dàme dói póme dammi alcune mele; nprésteme dóe peñàte prestami due pentole.
dòia sf. (pl. dòie) corona di fiori, gioiello (raro). Fèi na dòia fare una corona (v. koróna, girlànda).
dolé vb. imp. (me duó; dolèo; me a dolésto) dolere, far male. Me duó vénde sta féda mi dispiace dover vendere questa pecora.
dolenžóśo agg. (pl. dolenžóśe, f. dolenžóśa) generoso, munifico. Si dice di chi è gentile con le persone e aiuta la gente. L bàrba e sènpre stòu dolenžóśo lo zio è sempre stato generoso, detto con ironia significa però l'esatto contrario, avaro; loc. dolenžóśo kóme le pìte a Nadàl generoso come le galline a Natale, dopo un periodo di interruzione infatti, a Natale le galline ricominciano a fare le uova.
dolór sm. (inv.) dolore. Loc. Te ses kóme la Madòna dei sète dolór sei come la Madonna dei sette dolori, il detto si riferisce a chi si lamenta troppo oppure a chi è perseguitato dalle disgrazie.
dólže agg. (inv.) dolce. Se l kafè e dólže lo bévo, se nò te te lo béve se il caffè è dolce lo bevo, altrimenti lo bevi tu. I dolci, la ròba dólže, erano molto rari e di solito si potevano trovare durante le feste canoniche (v. króstoi, frìtole, žópe, śbatodìn).
dolžìn agg. (inv.) dolciastro. Sto pàn tìra l dolžìn questo pane è piuttosto dolciastro.
domà vb. trans. (dómo; domèo; domòu) domare, educare, impastare, rimenare. Ki ke dóma te, dóma n león chi riesca a domare te, è capace di domare anche un leone; domà polìto i tośàte educare bene i bambini; parkè l pàn devènte bón, okóre domà polìto la pasta perché il pane diventi buono, bisogna rimestare bene la pasta.
domàn avv. domani. Domàn bonóra domani mattina; da domàn a partire dalla mattina seguente; domàn vàdo ió, l àutro te vas tu e l àutro de là, dirarà to fardèl domani andrò io, dopodomani andrai tu e fra tre giorni ci andrà tuo fratello; domàn da siéra domani sera; sane a domàn arrivederci a domani.
domandà vb. trans. (domàndo; domandèo; domandòu) domandare, chiedere. Domandà skùśa chiedere scusa; domandà skèi chiedere denaro in prestito; prov. a domandà no se ròba a nisùn chi chiede non ruba niente a nessuno.
domèla sf. (pl. domèle) gemella. Àsto visto ke dóe bèle domèle? hai visto che belle gemelle?
domelìn sm. (inv.) gemello. Késto e me fardèl domelìn questo è mio fratello gemello.
doménia sf. (pl. doménie) domenica. Al vestì de la doménia il vestito della festa.
doménti avv. quasi quasi, lì per lì. Doménti morìo quasi quasi morivo.
Domèstika sf. (nome) soprannome di famiglia.
Domiége sm. (top.) Domegge, paese che dista circa 4 km da Lozzo.
dónde vb. intr. (dóndo; dondèo; dondésto) arrivare, raggiungere (in riferimento a una misura). To fiól dónde bèlo la tòla tuo figlio in altezza raggiunge già il piano della tavola; l e kresésto e le bràge no i dónde pi è cresciuto e i pantaloni non si possono più abbottonare; dónde su sóte toccare il soffitto, essere molto alto.
dondèla sf. (pl. dondèle) donzella, ragazzina. Ke bèla dondèla che bella donzella, che bella ragazzina.
dónta sf. (pl. dónte) aggiunta, giuntura. Sto vestì a debeśuói de na dónta questo vestito ha bisogno di essere allungato; a dùte le ròbe okóre na dónta qualsiasi cosa ha bisogno di aggiunte; se véde la dónta si nota ciò che è stato aggiunto; kuàn ke l màña, l a sènpre debeśuói de na dónta quando mangia ha sempre bisogno di qualcosa di più; prov. ki ke kónta béte dónta chi racconta aggiunge sempre qualcosa di proprio; la dónta de la luóida l'impugnatura della slitta che viene aggiunta all'audìn (v. dontadùra).
dónta sf. (pl. dónte) piccolo pezzo di terreno che viene dato in aggiunta al kolenèl a conguaglio. Èi vu na dónta su n Sórasàle mi è stato concesso dal Comune un pezzo di terreno in aggiunta a Sórasàle.
dontà vb. trans. (dónto; dontèo; dontòu) aggiungere. Bisòña dontà àlgo bisogna aggiungere qualcosa; dónta le kordèle se te vós leà annoda insieme le due cordicelle, se vuoi riuscire a legare (v. ardontà).
dontadùra sf. (pl. dontadùre) aggiunta, in particolare per allungare abiti o parte di essi. Le mànie de la čaméśa se a skurtòu, ka okóre na dontadùra le maniche della camicia si sono accorciate, qui c'è bisogno di un'aggiunta (v. dónta).
dontùra sf. (pl. dontùre) giuntura, articolazione. Kuàn ke l tènpo kànbia, me duó dùte le dontùre quando il tempo peggiora, mi fanno male tutte le giunture.
doparsóte avv. giù, in basso. L e dù doparsóte è scivolato giù per la scarpata, è scivolato nel burrone (v. dó par sóte).
dopià vb. trans. (dópio; dopièo; dopiòu) raddoppiare, piegare in due. Ìdeme a dopià i lenžuós aiutami a piegare le lenzuola.
dópio agg. (pl. dópie, f. dópia) doppio, duplice. L nòstro botìro val l dópio de kel ke se kónpra il burro della nostra latteria vale il doppio di quello che si trova in negozio; béte dópio mettere doppio un lenzuolo o un tessuto; késto e ùñol e kél e dópio questo è singolo e quello è doppio (v. ùñol).
dorà vb. trans. (dòro; dorèo; doròu) adoperare, usare. Tu te dòre sènpre l stéso restèl tu adoperi sempre lo stesso rastrello; dòra pùra le me skàrpe mettiti pure le mie scarpe.
Dòrdo, Dòrdi sm. (nome) ipoc. di Giorgio. Prov. da San Dòrdo spiga spòrde nel giorno di San Giorgio (23 aprile) compaiono le prime spighe.
dormì vb. intr. (dórmo; dormìo; dormìu) dormire, riposare. Sta nuóte èi dormìu pròpio de gùsto questa notte ho dormito veramente bene; béte a dormì kél pìžol porta a letto quel piccolo; kuàn ke e da laurà, tu te dòrme sènpre quando c'è da lavorare, tu batti sempre la fiacca; loc. dormì fìnke n òčo vede kél àutro dormire a sazietà; loc. dormì kóme n žùko dormire profondamente; prov. sète ore dòrme n kòrpo, òto n pòrko bastano sette ore di sonno per una persona, otto sono per un maiale; prov. ki ke va a dormì kol čàn, lèva koi pùlis chi va a dormire col cane, si alza con le pulci.
dormičà vb. intr. (dormičéo; dormičèo; dormičòu) dormicchiare. Te as dormičòu dùto l di hai dormicchiato per tutto il giorno.
dormičón agg. (pl. dormičói, f. dormičóna, pl. dormičóne) dormiglione. Ió no èi mai podésto fèi l dormičón io non ho mai potuto dormire troppo, cioè ho sempre dovuto lavorare.
dormìda sf. (pl. dormìde) dormita. Ma ke bèla dormìda ke èi fàto ma come ho dormito bene.
dornàda sf. (pl. dornàde) giornata. Na bèla dornàda una bella giornata; loc. ànke nkuói avón fàto dornàda anche oggi abbiamo fatto giornata, il detto si riferisce a chi ha terminato il proprio lavoro oppure a chi ha perso quello che ha guadagnato con il lavoro di una intera giornata comportandosi in modo maldestro.
dòśe sf. (solo sing.) dose, quantità. Késta e la medeśìna: vàrda de tòle sènpre la stésa dòśe questa è la medicina: cerca di prendere sempre la stessa dose; čapà na dòśe prendere un gran raffreddore, ammalarsi o prendere le botte.
dośéna sf. (inv.) dozzina. Kéla kóa a na dośéna de vuóve quel nido contiene una dozzina di uova (v. dodéna).
dośènto agg. num. (inv.) duecento. A Mónte e pì de dośènto čàure a Pian dei Buoi ci sono più di duecento capre.
dóta sf. (pl. dóte) mescolanza di varie erbe commestibili cotte. Si tratta di una mistura di diverse erbe: mežinkói, radìčo, kòste, spinàče, pónte de autrìe, čikòria, sčopéte, gràsola, žéula. A diśnà èi mañòu polènta e dóta a pranzo ho mangiato polenta e dóta (v. sčopéte, spàris).
dòta sf. (pl. dòte) dote, corredo della sposa. La to fémena te a portòu na bèla dòta tua moglie ti ha portato in casa una bella dote.
dotór sm. (inv.) dottore, medico. Ka okóre čamà l dotór bisogna chiamare il medico; al di de nkuói i e dùte dotór al giorno di oggi tutti si definiscono dottori.
dotrìna sf. (pl. dotrìne) dottrina, catechismo. Nparà la dotrìna studiare il catechismo; di a dotrìna andare in chiesa a catechismo.
dòu sm. (inv.) giogo, linea ondulata all'orizzonte. Laurà sóte l dòu lavorare sotto il giogo, lavorare sotto un padrone molto esigente; to fiól avaràe, debeśuói de l dòu tuo figlio avrebbe bisogno di un'educazione più severa.
dovanòto, dovenòto agg. (pl. dovanòte, f. dovanòta) giovanotto, giovincello. Ke bèl dovanòto che bel giovinetto; to pàre e nkóra n dovanòto nonostante gli anni, tuo padre ha ancora un aspetto giovanile (v. dóvin).
dové vb. trans. servile (dévo; dovèo; dovésto, dovù) dovere. Ió no dévo nùia a nisùn io non debbo nulla a nessuno; tu te déve partì alòlo tu devi partire subito. Nell'uso servile si preferisce ricorrere all'ausiliare “avere”, avé: ió èi da partì alòlo io devo partire subito.
doventù sf. (solo sing.) gioventù. Sta doventù no a mai nùia da fèi questa gioventù non ha mai niente da fare; doventù piéna de borbìn gioventù che ha molta voglia di scherzare.
dovér sm. (inv.) dovere, obbligo. Fèi sènpre l tò dovér fai sempre il tuo dovere.
dóvin agg. (pl. dóvin, f. dóvena, pl. dóvene) giovane. Te ses màsa dóvin par di a balà sei ancora troppo giovane per andare a ballare; prov. ki ke rìde da dóvin, piànde da vèčo chi è poco serio in gioventù, se ne pente quando è vecchio.
dràpo sm. (pl. dràpe) drappo, pannolino per bambini. Kànbia l dràpo a kél pùpo ke l e dùto biandòu cambia i pannolini a quel bimbo, perché è tutto bagnato; béte fòra i dràpe a suià stendi i pannolini ad asciugare.
dreà, draià vb. trans. (dreiéo; dreièo; dreiòu) setacciare col vaglio. Dreà l òrğo vagliare l'orzo.
drèi sm. pl. (inv.) vaglio usato per ripulire cereali e legumi dalla paglia o dalla sporcizia, fig. spendaccione, scialacquatore. Netà i faśuói kol drèi ripulire i fagioli col vaglio; te ses sènpre stòu n drèi nte le to ròbe sei sempre stato uno spendaccione nei tuoi affari; loc. avé le màn kóme n drèi avere le mani bucate come un vaglio, fig. essere uno spendaccione.
dréto agg. (pl. dréte, f. dréta) diritto, ritto, fig. onesto. Sta rìga e dréta questa linea è diritta; sti larìs vién su dréte kóme n fùs questi larici crescono diritti come i fusi; màn dréta mano destra; di a dréta andare a destra; sta su dréto kuàn ke te kamìne sta' diritto quando cammini; čatà l dréto trovare il capo di una matassa, di un gomitolo o di cose simili; sto kogolùžo no sta dréto questo covone non si regge in piedi da solo; soprèsa dal dréto e dal redós sta karpéta stira questa gonna al diritto e al rovescio; n dréto e n rovès un dritto e un rovescio, riferito al lavoro a maglia; fig. di pa la dréta procedere per la strada normale, fig. fare le cose senza tergiversare; loc. èse dréta kóme na sàndola essere diritta come un'assicella, essere senza seno; prov. òñi dréto a l sò rovès ogni diritto ha il suo rovescio, tutte le cose presentano un aspetto positivo e un aspetto negativo.
dréža, dérža sf. (pl. dréže, dérže) treccia, resta di cipolla o di aglio. Fèite le dréže e va a Mésa pettinati, fatti le trecce e va a Messa; na dréža de ài, na dréža de žéule una resta o una treccia d'aglio o di cipolle; loc. al pàn fa bèlo dréža il pane ha già perso la sua freschezza, il pane è diventato filaccioso e per spezzarlo bisogna tirarlo forte.
drežà vb. trans. (dréžo; drežèo; drežòu) raddrizzare, drizzare, correggere. Dréža kél čòdo raddrizza quel chiodo; okóre drežà kél tośàto bisogna correggere, riportare sulla buona strada quel ragazzo; pa stràda se dréža l čàr per strada il carro si metterà a posto, col tempo le cose si sistemano.
drìo avv. prep. dietro. Tornà n drìo ritornare indietro. Viene usata anche la forma davòi.
driomàn avv. man mano che, di seguito, un po' alla volta, senza smettere. Fèi le ròbe driomàn oppure n driomàn fare le cose di seguito, senza smettere; n driomàn ke te fas ... man mano che fai... (v. ndriomàn).
Duàn, Duàne sm. (nome) ipoc. di Giovanni. San Duàn San Giovanni.
dùda sf. (pl. dùde) viottolo, strada in genere. Par kéla dùda se va n ruìna per quella strada si va in rovina; loc. le dùde de Faé i tratturi che passavano per la località di Faé e che poi salivano fino alla Mónte (v. dižón).
dùfa, žùfa sf. (pl. dùfe) polentina condita. Èi fàto kolažión ko n tin de dùfa ho fatto colazione con un po' di polentina.
dugà vb. intr. (dùgo; dugèo; dugòu) giocare, divertirsi. A mi me piaśe dugà a kukotàna a me piace giocare a nascondino; tu te sas solo dugà tu non sai far altro che giocare; dugà al pìndol fare il gioco della lippa (v. pìndol).
dugèr sm. (inv.) capogregge. Fig. te sés n dugèr sei tardo nel capire le cose.
dùgo sm. (pl. dùge) gufo (zool. Asio otus), fig. uomo sciocco, stupido. Èi vedù na kóa de dùge ho visto un nido di gufi; to mesiér e sènpre stòu n puóro dùgo tuo suocero è sempre stato un povero stupido; restà kóme n dùgo restare allibiti.
dugolà vb. intr. (dugoléo; dugolèo; dugolòu) giocherellare, trastullarsi. Tu te dugolée sènpre tu giocherelli sempre, non lavori, ma ti trastulli senza combinare niente di buono.
duìsa sf. (pl. duìse) colostro, il primo latte prodotto dalla mucca dopo il parto. Pestariéi ko la duìsa farinata fatta con il colostro. A volte veniva offerto alle persone povere che altrimenti erano costrette a preparare i pestariéi con latticello o addirittura con acqua. La duìsa veniva data anche ai maiali il giorno in cui partorivano perché era molto densa. Péta ko la duìsa focaccia fatta con la duìsa.
Dukàto sm. (nome) soprannome di famiglia.
dumèla, gamèla sf. (pl. dumèle) giumella, l'incavo delle mani accostate. Dàme na dumèla de farìna dammi una giumella di farina gialla; se te vós béve àga, fèi dumèla ko le màn se vuoi bere acqua, fa' giumella con le mani (v. gamèla).
dùn agg. (pl. dùne, f. dùna) digiuno. Loc. da dùn a digiuno, l'osservanza del digiuno viene rispettata quando ci si deve accostare alla Comunione.
dunà vb. intr. (dùno; dunèo; dunòu) digiunare. De vèndre okóre dunà il venerdì è d'obbligo digiunare; prov. a la véa de la Madòna de Aósto, dùna ànke l aužèl del bósko alla vigilia della Madonna di Agosto (15 agosto) digiuna anche l'uccello del bosco, cioè in questa occasione tutti indistintamente sono tenuti a digiunare (v. deiunà, dedunà).
dùño sm. (solo sing.) giugno (raro). A dùño seón le tàe a giugno vengono segati i tronchi.
duó vb. intr. imp. (me duó; dolèo; me a dolésto) dolere. Me duó l déido mi duole il dito; prov. ki ke no duó no medéa chi non soffre, non comprende il dolore altrui, cioè chi non è direttamente coinvolto dalla sofferenza, non la può capire (dolé).
duóiba sm. (pl. duóibe) giovedì. De duóiba no se va a skòla di giovedì non si va a scuola, in riferimento ai tempi in cui nelle scuole elementari l'orario era spezzato; duóiba gràs giovedì grasso; èse sènpre n mèdo kóme l duóiba essere sempre nel mezzo, come è il giovedì rispetto agli altri giorni della settimana; loc. la stemàna dei tré duóibe la settimana dei tre giovedì, quindi mai; tornarèi a čàśa la stemàna dei tré duóibe non tornerò mai più a casa; prov. duóiba veñùda, la stemàna e dùda, ma ki ke no a da mañà, a nkóra tré dis da pensà giovedì è arrivato, la settimana è quasi passata, ma chi non ha cibo, deve darsi da fare ancora per tre giorni; prov. duóiba va de ruóiba tutto ciò che si fa il giovedì, matrimoni, battesimi e simili, rischia di avere un esito negativo.
durà vb. intr. (dùro; durèo; duròu) durare. Al màl de dènte me a duròu dùta la nuóte il mal di denti mi è durato per tutta la notte; sta čaméśa a da durà n tòko questa camicia deve durare a lungo; màña pùra fin ke la dùra mangia pure finché c'è disponibilità; prov. žènža meśùra, nùia dùra commisurare la spesa ai consumi.
duràda sf. (pl. duràde) la durata. Prov. ròba robàda, no a duràda la roba rubata non ha durata.
durèl sm. (pl. duriéi) stomaco dei volatili, ventriglio. Bìča via l durèl parkè no sèi ke fèi butta via il ventriglio, perché non so che farmene.
dùro agg. (pl. dùre, f. dùra) duro, avaro, testone, severo. Késto pàn e bèlo dùro questo pane è ormai vecchio; te ses màsa dùro koi to fiói sei troppo severo con i tuoi figli; a skòla l e sènpre stòu dùro de konprendònio a scuola è sempre stato un testone; dai àlgo de skèi a to fiòžo: no sta èse sènpre kosì dùro regala un po' di soldi al tuo figlioccio: non essere sempre così avaro; teñì dùro resistere; prov. dùro kon dùro, no fa bón mùro; par fèi mùro bón okóre père e sabión per costruire un muro resistente occorrono sassi e sabbia.
durón sm. (pl. durói) callo. Avé i durói nte i pès avere i calli ai piedi (v. čal).
dutalpì, dut al pì avv. tutt'al più, al massimo. Dutalpì puói dàte n tin de pàn tutt'al più posso darti un po' di pane.
dùto agg. e pron. (pl. dùte, f. dùta) tutto. Màña dùto se te as fàme mangia tutto se hai fame; dùto l màl no vién de kólpo tutto il male non arriva improvvisamente; i èra dùte n piandèn piangevano tutti; l e dùto pién de peduóğe è tutto pieno di pidocchi; n dùto mé no èi ke késta palànka non ho che questa moneta da dieci centesimi; del dùto completamente; sóra l dùto soprattutto; nùia n dùto nulla in tutto, una sciocchezza; prov. a teñì màsa dùro, se śbréa dùto oppure a volé čapà dùto se pèrde dùto chi troppo vuole nulla stringe; prov. dùto vién, dùto pàsa a questo mondo tutto è passeggero; prov. no se puó mai di dùto non si può mai raccontare tutta la verità, l'eccessiva sincerità spesso reca danno (v. tabella pronomi).
eof (ddm 02-2009)