Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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rabatà, rabatàse vb. trans. intr. e rifl. (me rabatéo; rabatèo; rabatòu) lavoricchiare, lavorare poco e svogliatamente, darsi da fare, ingegnarsi. Si può anche interpretare come l'impegno profuso da una persona che lavora per sè, quello che lavora per gli altri può essere uno che tira a campare. Kè rabatéesto nkuói? cosa diavolo ti sei messo a fare oggi?; a čàśa èi sènpre àlgo da rabatà in casa ho sempre qualche piccola faccenda da sbrigare; nte la vìta biśòña rabatàse se se vo fèi àlgo nella vita bisogna darsi da fare se si vuole ottenere qualcosa (v. ragatà, trafagà).

 

ràbia sf. (pl. ràbie) rabbia, stizza, arrabbiatura, invidia. Pién de ràbia pieno di rabbia; krepà da la ràbia morire dall'invidia; čapà na ràbia prendersi un'arrabbiatura; fèi čapà ràbia rendere invidiosa la gente; te me fas ràbia mi fai rabbia, mi fai stizzire; kè krédesto, de fèime ràbia? ma cosa credi, di suscitare la mia invidia?; prov. se te tàśe te as na ràbia sóla, se te pàrle te as dóe se taci puoi arrabbiarti di non esserti sfogato parlando, se parli e non sei compreso, rischi più arrabbiature.

 

rabiós agg. (pl. rabióśe, f. rabióśa) stizzoso, furioso, collerico. Kè àsto ke te sés kosì rabiós? che cosa hai, che sei così furioso?

 

račà vb. intr. (ràčo; račèo; račòu) baruffare. Tó nòno e sólo bón de račà tuo nonno è solo capace di sollevare questioni e baruffare (v. radegà).

 

ràčo  agg. (pl. ràče) attaccabrighe, ostinato, caparbio. Da kuàn ke l e tornòu da l Amèrika l e deventòu n ràčo da quando è tornato dall'America è diventato un attaccabrighe, un estroso.

 

ràčo  sm. (pl. ràče) spina e ramo spinoso. Sta ràma e piéna de ràče questo ramo è pieno di spine; bruśà i ràče bruciare i rami spinosi; prov. ki ke semenéa ràče no vàde deskóiže chi semina rovi non vada scalzo, chi semina il male, non si aspetti che gli vogliano bene .

 

ràčo3 sm. (pl. ràče) cardo selvatico (bot. Carrina acaulis). Pianta spontanea, spinosa, con o senza gambo. Cresce in luoghi incolti, pietrosi e soleggiati, sono preferiti dalle capre. Dei semi sono ghiotti i cardellini. Vengono genericamente chiamati ràče alcuni arbusti spinosi quali i skarpìn e i pére de órse. Con le piante de skarpìn venivano fatte delle ottime scope, con legature pure in legno, tòrte, che servivano per la pulizia delle stalle e dei denti dei rastrelli.

 

radegà vb. intr. (radegéo; radegèo; radegòu) attaccare briga, fare questioni. Parkè radegéesto kon dùte? perché attacchi briga con tutti? (v. račà).

 

ràdego sm. (pl. ràdege) postumo di una lite, strascico di odio. Le barùfe làsa sènpre kàlke ràdego le liti lasciano sempre qualche strascico.

 

radegós agg. (pl. radegóśe, f. radegóśa) attaccabrighe, insolente. No sta èse sènpre kosì radegós non essere sempre così litigioso.

 

radìčo, darìčo sm. (pl. radìče) radicchio selvatico, tarassaco, dente di leone, soffione (bot. Taraxacum officinale). Radìčo de čànpo, de órto radicchio di campo, radicchio di orto; di a radìče andare nei prati a raccogliere radicchio; mañà polènta e radìče mangiare polenta e radicchio; véde o mañà i radìče da la pàrte de la kóda essere sepolto, giacere sotto terra (v. salàta, darìčo).

 

radìs sf. (inv.) radice. Le radìs dei pežuós, déi làris le radici degli abeti, le radici dei larici; la radìs déi čavéi, déi dènte la radice dei capelli, la radice dei denti; béte radìs mettere radice; detto di colui che non si allontana più dal luogo in cui è arrivato; radìs de anžiàna genziana (v. anžiàna).

 

raféto-rafìn sm. (pl. raféte) graffietto. Arnese da falegname dotato di ago o punta metallica per incidere il legno.

 

rafredór, lafredór sm. (inv.) raffreddore. Rafredór da fién allergia da fieno. D istàde, te as da sta atènti a no čapàte l rafredór da fién d'estate devi stare attento a non buscarti l'allergia da fieno.

 

ragà vb. trans. (ragéo; ragèo; ragòu) accorciare. Ragà le tàe tagliare le testate dei tronchi prima di ridurli in assi, è lavoro di segheria, operazione di accorciatura, tenendo presente la misura finale. (v. tàia).

 

ragadùra sf. (pl. ragadùre) cimatura, asportazione delle estremità del tronco prima che venga lavorato in segheria. Par podé fèi la ragadùra, le tàe vién lasàde žìnke skèi pì lònge par parte per poter fare la cimatura, da entrambe le parti i tronchi vengono lasciati cinque centimetri più lunghi (v. tàia).

 

ragañà vb. trans. (ragañéo; ragañèo; ragañòu) lavoricchiare. Èi ragañòu dùta la dornàda žènža konbinà nùia ho lavoricchiato per tutta la giornata senza riuscire a combinare niente di buono (v. trafagà).

 

ragañón agg. (pl. ragañói, f. ragañóna, pl. ragañóne) ficcanaso, uno che va a rovistare con curiosità. Àsto finìu de fèi l ragañón? hai finito di fare il ficcanaso, di lavorare senza combinare nulla di buono?

 

ragatà vb. intr. (ragatéo; ragatèo; ragatòu) litigare. Al a ragatòu dùto l dì kon so pàre ha litigato tutta il giorno con suo padre.

 

rağonà vb. intr. (rağonéo; rağonèo; rağonòu) ragionare. Kón te no se puó rağonà con te non si può ragionare, non si può discutere; rağóna na gèra ñànte de parlà ragiona un po', pensaci su un pochino, prima di parlare.

 

rağoniér sm. (inv.) ragioniere. Rağoniér žènža reśón chi ha un titolo di studio, ma dimostra di essere incompetente in quel campo.

 

raipèra sf. (pl. raipère) prato o scarpata incolti, disordine, accozzaglia, fig. stanza mal tenuta e in disordine. N te l tabià de to nòno e dùta na raipèra, no se riése a čatà mài nùia il fienile di tuo nonno è in disordine, non si riesce mai a trovare nulla.

 

ràit sm. (inv.) anello di filo di ferro attorcigliato che d'inverno si mette sotto la slitta per frenare. Tòle su l ràit parkè a veñì dó da Kuóilo e n póče de kìpe ke te salùdo prendi il ràit perché tornando, scendendo dalla loc. Kuóilo si devono affrontare tratti di discesa molto ripidi.

 

ràita sf. (pl. ràite) razzia, furto, bottino. Fèi ràita de dùto fare razzia di tutto, rubare tutto; e pasòu i žìnger e i a fàto ràita de dùto sono passati gli zingari e hanno fatto razzia di ogni cosa.

 

raità vb. trans. (raitéo; raitèo; raitòu) rubare, far bottino, raccogliere cianfrusaglie. L a raitòu su dùto ha rubato ogni cosa, ha fatto man bassa di tutto.

 

raitèr, raitón agg. (pl. raitèr, f. raitèra, pl. raitère) chi accumula e non getta nulla, chi va in cerca di oggetti abbandonati, persona che raccoglie cose che altri gettano. Kél òn la e sènpre stòu n raitèr quell'uomo non ha mai buttato nulla, ha sempre accumulato.

 

ràkola sf. (pl. ràkole) girino (zool. Hyla arborea, raganella, o infante di rana, (varie specie), fig. persona debole, esile, mingherlina. Kel požaràko e pién de ràkole quell'acquitrino è pieno di girini; to fìa e pròpio na ràkola tua figlia è proprio debole, malaticcia, minuta.

 

ràkola sf. (pl. ràkole) Strumento in legno che viene usato il venerdì Santo per annunciare l'inizio delle funzioni religiose essendo ferme le campane. (v. bàtola, redéśena).

 

rakomandà vb. trans. (rakomàndo; rakomandèo; rakomandòu) raccomandare, ammonire, mettere una buona parola. Te rakomàndo de fèi l bón ti raccomando di comportarti bene; te rakomandarèi a ki ke sèi o dirò una buona parola a tuo favore a chi so io; l'espressione a ki ke sèi o nasconde una credibilità dubbia o non si vuol far conoscere il destinatario; rakomàndete l ànema a la Madòna raccomandati l'anima alla Madonna; rakomandà l ànema al Siñór recitare le preghiere per i moribondi.

 

rakomandažión sf. (inv.) raccomandazione, consiglio, buona parola. Kon tó fiól le rakomandažión no ğóva nùia con tuo figlio i buoni consigli non servono a nulla; avaràe debeśuói de na rakomandažión avrei bisogno di un appoggio.

 

ràma sf. (pl. ràme) ramo. Il termine indica il ramo con le foglie attaccate, può essere anche di abete o altri alberi. Fèi na skóa de ràme de nośolèi fare una scopa con i rami di nocciolo; prov. òñi ràma fa la só onbrìa ogni cosa, per quanto piccola, ha la sua importanza; atènti de no molàme i ràme nti òče trattieni i rami, non lasciarli di colpo altrimenti mi colpiscono gli occhi, frase usata nell'attraversare luoghi dove i rami ostruiscono il passaggio (v. ràmo).

 

ramàda sf. (pl. ramàde) ramaglia, frasche tagliate, rami d'albero, fig. colpo dato con un ramo. Fasìne de ramàda fascine fatte con la ramaglia. Par veñìte davòi, èi čapòu na ramàda nte l òčo per seguirti mi sono preso un ramo nell'occhio .

 

ramadà vb. intr. (ramadéo; ramadèo; ramadòu) frugare, armeggiare. Ramadà ìnte pa le kasèle frugare nei cassetti; èi ramadòu dùto l di ntórno a kéla luóida par ğustàla ho armeggiato tutto il giorno attorno a quella slitta per riuscire ad aggiustarla (v. ramaià).

 

ramaià vb. intr. (ramaéo; ramaèo; ramaiòu) armeggiare, lavoricchiare, rovistare. To fiól l ramaéa ntórno a kél arlòio, va a fenì ke l lo rónpe tuo figlio smonta e rimonta l'orologio, va a finire che prima o poi lo rompe (v. ramadà).

 

ramakìa agg. (pl. ramakìe) attaccabrighe, pestifero, persona che mantiene animosità per lungo tempo. L'aggettivo si riferisce anche a chi vuole sempre avere ragione, chi si inalbera per un nonnulla. Te ses pròpio na ramakìa sei un vero attaccabrighe.

 

ranbùgo agg. (pl. ranbùge, f. ranbùga) persona debole di costituzione, albero che cresce con fatica, fig. rammollito. A fòrža de sta sènpre de ìnte, l e deventòu n ranbùgo stando sempre chiuso in casa, si è rammollito.

 

ràme sm. (inv.) rame. Séčo, kaliéra, kalderìn, kòpo de ràme secchio, paiolo, pentolino, mestolo di rame. Il paese vantava abili artigiani che modellavano le lastre di rame ricavando varia oggettistica utile per casa, paioli, tegami, pentole, secchi, vasche, scaldini per il letto ecc. La lamiera veniva riscaldata sulla fòrğa che la rendeva malleabile quindi idonea a tutte le piegature e curvature desiderate. Per certe giunture venivano adoperati i rebatìn, dello stesso metallo, pure riscaldati e fatti raffreddare sotto la cenere che li manteneva morbidi. Sfreà i ràme de čàśa lucidare gli oggetti di rame che ci sono in famiglia.

 

ràmo sm. (pl. ràme) ramo d'albero, è la parte che viene solitamente adoperata come legna da ardere. Ràme de pežuó, de làris, de pìn, de àer rami di abete, di larice, di pino, di acero; dim. ramùto, accr. ramón (v. ràma).

 

ràna  sf. (pl. ràne) rana (zool. Rana esculenta, Rana temporaria e altre simili). Mañà polènta e ràne mangiare polenta e rane; prov. kuàn ke no e pì ràne, e bòne ànke le žàte nella miseria si accetta qualsiasi cosa.

 

Ràna  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

ranèla sf. (pl. ranèle) rondella, piccolo cerchietto metallico. Rondella di metallo che viene avvitata normalmente assieme al bullone per evitare che si sviti. La pòrta se a sentòu e èi dovésto béte dóe ranèle nte i pòlis la porta si è abbassata e gratta sul pavimento per cui ho dovuto infilare due rondelle nelle cerniere.

 

rangotàn sm. (pl. rangotàne) orango, per est. scimmione, tipaccio. La se a maridòu pròpio n rangotàn si è sposata proprio un tipaccio.

 

ranğà, ranğàse vb. trans. e rifl. (me rànğo; ranğèo; ranğòu) aggiustare, accomodare, imbrogliare, rubare, arrangiarsi, fare da sè, fare alla meglio. Ranğà àlgo aggiustare, accomodare qualcosa di rotto; vàrda ke se no te stas atènti, l te rànğa guarda che se non stai attento, ti imbroglia; me èi sènpre ranğòu da me pòsta me la sono sempre cavata senza l'aiuto di nessuno; daspò ke e mòrta só màre, kél puóro tośàto l a skominžiòu a ranğàse dopo la morte di sua madre, quel ragazzo ha cominciato ad arrangiarsi, si sta rendendo indipendente; va te rànğa! vai al diavolo!; kon lùi me rànğo ió con lui me la vedo io, a lui ci penso io; vàrda ke te rànğo stai attento che ti sistemo io a dovere; son davói ranğà l tabià sto riparando il fienile; ranğà le stanže ristrutturare le stanze.

 

ranğàda sf. (pl. ranğàde) imbroglio, raggiro, frode, castigo, lezione, riparazione. Èi čapòu na bèla ranğàda mi hanno imbrogliato; kél la a debeśuói de na bèla ranğàda quello ha bisogno di una solenne lezione.

 

ranğòu agg. (pl. ranğàde, f. ranğàda) aggiustato, sistemato, ben messo, accurato, fig. ingannato, frodato. Sta luóida e stàda ranğàda polìto questa slitta è stata aggiustata bene; añó vàsto kosì ranğòu? dove vai così ben curato?; són restòu ranğòu mi hanno imbrogliato.

 

Raniéri sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

ranpìn sm. (inv) rampino, gancio. Tirà le tàe kol ranpìn trascinare i tronchi d'albero col rampino .

 

ranpinà vb. trans. (ranpinéo; ranpinèo; ranpinòu) usare i rampini, agganciare. Nkuói n Čanpeviéi avón ranpinòu tàe fin ke asèi oggi in Čanpeviéi abbiamo agganciato tronchi fin che basta.

 

ranpinàse vb. rifl. (me ranpinéo; ranpinèo; ranpinòu) arrampicarsi. Ranpinàse su pa le pàle arrampicarsi lungo i ripidi pendii del prato.

 

ranpón sm. (pl. ranpói) gancio a punta. Punte dei grìfe, cioè dei ferri che vengono messi sotto le scarpe per non scivolare sul ghiaccio, in italiano i ramponi sono i ferri da mettere sotto la scarpa, in dialetto il termine è riferito solo alle punte dei ferri da ghiaccio. Biśòña ki dàe na spižàda ài ranpói parkè i e žènža pónta devo rifare la punta ai ramponi perché si sono arrotondate.

 

ranžài sm. (inv.) respiro faticoso e catarroso, rantolo. È il respiro faticoso di chi è malato ai polmoni. Siénte ke ranžài senti che respiro affannoso.

 

ranžaià vb. intr. (ranžaéo; ranžaèo; ranžaiòu) rantolare, respirare affannosamente per la tosse. Èi ranžaiòu dùta la nuóte ho tossito tutta la notte.

 

ranžeà vb. intr. (ranžeéo; ranžeèo; ranžeòu) rantolare, tossire. Il verbo viene usato in riferimento alle persone; st invèrno pasòu èi ranžeòu par stemàne e stemàne lo scorso inverno ho tossito per intere settimane ininterrottamente (v. ranžaià).

 

ranžeàña sf. (ranžeàñe) bronchite, tosse con catarro; il tossire prolungato tipico del gran fumatore. Niére èra frédo e me èi čapòu na ranžeàña ieri era freddo e mi sono preso una bronchite.

 

rànžego agg. (solo sing.) rancido. Botìro rànžego burro rancido; savé da rànžego persona che sa di rancido. Mañà vèčo rànžego cibo avariato.

 

ranžeós agg. (pl. ranžeóśe, f. ranžeóśa) chi è pieno di tosse o catarro, chi respira a fatica. Kéla e na čàśa de ranžeóśe tutti in quella casa hanno problemi ai polmoni.

 

ràro agg. (pl. ràre, f. ràra) raro, inconsueto. Késto e n lìbro ràro questo è un libro raro; kàpita de ràro ke pióve succede raramente che piova; ràre òte rare volte, raramente; e ràro ke ka da neàutre sužiéde ste ròbe è raro che nei nostri paesi accadano cose di questo genere.

 

ràśa  sf. (pl. ràśe) resina, fig. importuno, stucchevole, attaccabrighe. La resina raccolta può essere sciolta, cotta e filtrata attraverso un setaccio di tela di sacco per essere poi masticata come fosse gomma americana. La ràśa è propriamente la resina dell'abete; quella del larice si chiama areà e quella dell'abete bianco làgremo. La resina è sempre stata ritenuta un buon medicamento, il metodo più comune per curare reumatismi, strappi, contusioni e storte o per portare a maturazione un'infezione su ferita aperta. Béte su ràśa applicare la resina sulle varie parti del corpo malate; te ses pròpio na ràśa, kuàn ke te tàke no te la fenìse pi sei davvero noioso non la smetti più; prov. la  ràśa tién dal lén ciascuno cerca di favorire i propri parenti e i propri amici (v. areà, làgremo).

 

ràśa  sf. (pl. ràśe) gomma da masticare. Se te vas n kopratìva, pòrteme dóe ràśe se vai alla cooperativa comprami della gomma da masticare.

 

raśà vb. trans. (ràśo; raśèo; raśòu) rasare, radere. Raśà i čavéi radere i capelli; kuàn ke ereóne pìžoi, èra l pàre ke ne raśèa i čavéi quando eravamo piccoli, era il papà che ci tagliava i capelli; raśà l bósko radere il bosco con un taglio massiccio .

 

rasà vb. trans. (ràso; rasèo; rasòu) raschiare, limare, lisciare. Ràsa n tin sto mànego de badì raschia, liscia un po' questo manico di badile; rasà le króste de la polènta, déi pestariéi raschiare dal fondo del paiolo le croste della polenta o della farinata.

 

raśàda sf. (pl. raśàde) rasatura, specie dei capelli. Me èi fàto da na raśàda de čavéi ke stào polìto par dói més mi son fatto radere i capelli così per due mesi sono a posto.

 

rasčà vb. trans. (ràsčo; rasčèo; rasčòu) raschiare. Rasčà le króste dèi pestariéi raschiare le croste della farinata che si formano sul fondo del paiolo (v. raspà, rasà).

rasčàda sf. (pl. rasčàde) raschiatura, levigatura. A sto mànego okóre na rasčàda questo manico deve esser levigato.

 

rasčìn sm. (inv.) raschietto. Strumento usato dal fabbro dal falegname o dall'imbianchino, con due lame ben affilate, opposte una all'altra, strette da un manico di legno, usate per raschiare non per tagliare.

 

raseñàse vb. rifl. (me raseñéo; raseñèo; raseñòu) rassegnarsi, adattarsi, arrendersi. Raseñàse a le deśgràžie rassegnarsi alle disgrazie; raséñete de partì rassegnati a partire, accetta di partire; biśòña a le òte raseñàse certe volte è necessario arrendersi.

 

raśentà vb. tr. (raśentéo; raśentèo; raśentòu) rasentare, sfiorare. Kol bòbi éi raśentòu l mùro col bob ho sfiorato il muro.

 

raśìa sf. (pl. raśìe) eresia, bestemmia, cosa incredibile, mostruosità. Evidente deformazione del termine eresia. Parkè dìsto sènpre raśìe? perché bestemmi sempre?; késta e na raśìa questa è una cosa inconcepibile, una calunnia; ma ke raśìe dìsto? ma che razza di mostruosità vai dicendo?

 

ràśo agg. (pl. ràśe, f. ràśa) raso. ràśo tèra raso terra, molto vicino al suolo.

 

raśón sf. (inv.) ceppo familiare. Kel la e de la raśón de ki de Tèto appartiene alla famiglia Da Pra Tèto. (v. reśón)

 

ràspa sf. (pl. ràspe) raspa, lima da legno, attrezzo del falegname.

 

raspà vb. trans. (ràspo; raspèo; raspòu) raspare, razzolare, levigare con la raspa. Raspà l méskol de la polènta togliere quel po' di polenta o pestariei che si attaccava al mestolo; raspà la kaliéra raschiare le croste della polenta che si sono formate nel paiolo; raspà l kalderìn raschiare le croste nel paiolo piccolo; le pìte ràspa le galline raspano la terra; pasà ko la ràspa lavoro fatto in modo grossolano.

 

ràspo sm. (pl. ràspe) grappolo. N ràspo de ùa un grappolo di uva; indovinello scherzoso: se te ndovìne kè ke èi nte žésto, te dào n ràspo se indovini quello che ho nel cesto, te ne do un grappolo; il detto è simile a quello de ke kolór èrelo l čavàl biànko de Napoleón? di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?

 

ràta sf. (pl. ràte) rata, porzione, fig. carica di botte. Ànke nkuói èi čapòu la me ràta da la màre anche oggi ho preso la mia razione di botte dalla mamma.

 

ratatùia agg. (pl. ratatùie) debole, chi si ammala per un nonnulla. Termine di derivazione francese “ratatouille” intingolo, brodaglia, che per noi ha preso un significato diverso. Te ses pròpio na ratatùia sei davvero un individuo malandato, sei cagionevole di salute (v. tùia).

 

ràula avv. che si accompagna sempre al fòra per dirlo in senso negativo. A posto, al centro, in ordine, testa. Fòra de ràula fuori posto, fuori centro. Sta ròda e fòra de ràula questa ruota è fuori asse, è scentrata; ki a betù i arnés fòra de ràula? chi ha messo gli attrezzi fuori posto?; fig. èse fòra de ràula essere fuori centro, essere uno scriteriato; di fòra de ràula impazzire.

 

rauñà vb. intr. (rauñéo; rauñèo; rauñòu) brontolare, russare emettendo un fischio. L a rauñòu dùta la nuóte ha russato per tutta la notte; l pàre nkuói l e ntoseòu l ràuña par nùia mio padre oggi è di cattivo umore brontola per niente.

 

ràus-kebèk escl. va via. Espressione decisa che deriva dal tedesco “heraus gehe weg”.

 

ravanèl sm. (pl. ravaniéi) ravanello, dalla pasta interna gialla, ramolaccio (bot. Raphanus sativus, la radice), radice lunga e grossa come una barbabietola, fig. persona immatura, o uomo che “sa” di poco, seppur maturo come età. I ravanelli si possono mangiare lessati come le patate ed hanno un effetto diuretico. No sta mañà màsa ravaniéi, se nò te pìse nte liéto non mangiare troppi ravanelli, altrimenti farai la pipì a letto; béte dó ravaniéi seminare ravanelli; béte a kuóśe ravaniéi lessare i ravanelli.

 

ravažuói sm. (solo pl.) fogliame delle rape. Veniva seccato in soffitta e dato come cibo alle bestie durante l'inverno. Va su nte sofìta e tóle dói ravažuói par dài a le vàče vai in soffitta e prendi un po' di foglie di rapa per darle alle mucche (v. tarsói).

 

ràvo sm. (pl. ràve) rapa, dalla pasta interna bianca (bot. Brassica napus, la radice). Anche le rape vengono lessate con le patate e, come i ravanelli, venivano mangiati anche a merenda. Esistono due tipi di rape: quelle a polpa bianca ràve, che sono leggermente piccanti e si mangiano solo lesse, e quelle a polpa gialla ravaniéi, che sono più dolci e si possono mangiare anche crude (v. ròu).

 

ràža sf. (pl. ràže) razza, stirpe. Èse de bòna ràža essere di razza buona; i genitori erano di costituzione sana e sono morti a tarda età; lasà par ràža conservare per seminare, detto delle patate e dei fagioli di buona qualità che vengono conservati per essere seminati a primavera; fèi ràža mettere al mondo dei figli; béte su ràža iniziare ad allevare una nuova razza di bestiame; ràža de màte razza di matti; ràža déi Bortolìna della famiglia Del Favero Bortolina la ràža no śbàlia detto di chi imita nel bene e nel male i propri antenati; prov. la ràža no va n Komèlego la razza non va in Comelico, sottintendendo che essendo nati dei figli maschi il ceppo familiare si tramanda in loco.

 

sm. (inv.) re, sovrano, capo. Adès no avón pì l ré in Italia adesso non c'è più il re; nte sta čàśa no e nè ré nè reğìne in questa casa nessuno è un privilegiato.

 

reapè avv. al contrario. A reapè in senso contrario, all'opposto. Te fas dùto a reapè fai tutto al contrario di come si dovrebbe fare; bétese le skàrpe a reapè infilare le scarpe al contrario.

 

rebàlta sf. (pl. rebàlte) ribaltella, botola, porta orizzontale su botola o scala di cantina o soffitta. Tavoletta a muro usata per mangiare sulla panca del larìn. Attorno al larìn corrono le bànče e in ogni angolo di solito c'è un tavolo a ribalta che si appoggia all' occorrenza sul larìn con un solo piede incernierato. Bičà fòra la polènta su la rebàlta versare la polenta sulla ribaltella.

 

rebaltà, rebaltàse vb. trans. e rifl. (me rebàlto, rebaltéo; rebaltèo; rebaltòu) ribaltare, capovolgere, cadere, rovesciarsi. Rebàlta n tin sta kàsa capovolgi un po' questa cassa; vàrda de no rebaltà dùto cerca di non far cadere tutto; l e śbrisòu e l se a rebaltòu è scivolato ed è caduto a terra; vàrda ke te rebàlto stai attento che ti faccio fare un capitombolo.

 

rebaltón sm. (pl. rebaltói) confusione, caos, fig. fallimento. Ma kè élo sto rebaltón? ma cos'è questa confusione?; ka e dùto n rebaltón qui regna solo il caos; l a fàto rebaltón ha fallito, ha fatto fallimento; fig. al làte a fàto rebaltón il latte si è inacidito, è andato a male.

 

rebaltonà vb. trans. (rebàltonéo; rebaltonèo; rebaltonòu) mettere in disordine, capovolgere. Ki élo ke a rebaltonòu dùte i vestìs? chi ha messo in disordine tutti i vestiti?

 

rebàte, rebàtese vb. trans. intr. e rifl. (me rebatéo; rebatèo; rebatésto, rebatù) ribattere, contraddire. Rebàte i čòde ribattere i chiodi; no sta rebàte, se no te le čàpe non contraddirmi altrimenti le prendi; rebàtese le màn procurarsi un contraccolpo ai palmi delle mani lavorando con il martello.

 

rebatìn sm. (inv.) piccolo chiodo con l'asta ribattuta. I chiodi rebatìn sono utilizzatinel lavoro artigianale di stagnini, lattonieri e calzolai, la differenza tra chiodo e ribattino sta nel fatto che il chiodo tiene per attrito sul gambo, il ribattino invece ha due teste che stringono, e può essere lasco sul gambo. Spesso si fa confusione e vien detto ribattino quello che è invece un chiodino con gambo piegato e ribattuto. Par ğustà le skàrpe, l skarpèr a dovésto dorà n mùčo de rebatìn per aggiustare le scarpe il calzolaio ha dovuto usare molti chiodini; okóre ke dòre i rebatìn parkè l stài no tàka devo usare i rebatìn perché lo stagno non aderisce.

 

rebatùda sf. (pl. rebatùde) contraccolpo prodotto dall'uso maldestro di attrezzi, dolore ai palmi delle mani o alle piante dei piedi. A spakà n perón kol mažòto, me èi čapòu na rebatùda per spaccare un sasso col martello mi sono preso un doloroso contraccolpo; son sautòu do da l'armadùra e me èi čapòu na rebatùda sóte i pès son saltato a terra dall'impalcatura e mi son procurato un doloroso contraccolpo alla pianta dei piedi (v. rebàtese).

 

rebégol agg. (pl. rebégoi, f. rebégola, pl. rebégole) irrequieto, vivace, sfacciato, petulante. Te ses pròpio n rebégol sei davvero uno sfacciato.

 

rebekàse vb. rifl. (me rebekéo; rebekèo; rebekòu) litigare, bisticciare, offendersi. Ki dói se rebekéa n kontinuažión quei due non fanno che bisticciare; te sés sólo bón de rebekà con le tue parole sei capace solo di offendere.

 

rèbo agg. (pl. rèbe, f. rèba) avaro, tirchio. Va la ke te ses na bòna rèba va là che sei davvero una tirchia.

 

rébol agg. (pl. réboi, f. rébola, pl. rébole) debole, delicato. L e sènpre stòu pitòsto rébol è sempre stato un tipo piuttosto malaticcio.

 

rebòto sm. (pl. rebòte) rinforzo al calcagno delle scarpe. Le to skàrpe e dùde do de rebòto alle tue scarpe si è consumato il sostegno del calcagno.

 

rebòtole sf. (solo pl.) capriole involontarie. Di a rebòtole scivolare rotolando lungo un pendio, rotolare, fig. andare in rovina, fallire.

 

rečìn sm. (inv.) orecchino. Añó àsto konpròu ki biéi rečìn? dove hai comperato quei begli orecchini? (v. bùkola).

 

rečòto sm. (pl. rečòte) piccola parte, angolino di prato, di campo o di bosco. N rečòto de pra, de čànpo, de bósko un piccolo pezzo di prato, di campo o di bosco; me rèsta da sapà nkóra n rečòto mi rimane da zappare ancora un angolo del campo.

 

réde sf. (inv.) rete, parola arcaica. I pés se li čàpa ko la réde i pesci si catturano con la rete; al va a čapà aužiéi ko la réde va a caccia di uccelli con la rete.

 

Rède sf. (nome) soprannome di famiglia. Ki de la Rède.

 

rédena sf. (pl. rédene) redine, briglia, fig. guida, disciplina. Tìra le rédene se te vos ke l čavàl se fèrme tira le redini se vuoi che il cavallo si fermi; kél tośàto avaràe debeśuói de le rédene quel ragazzo avrebbe bisogno di un po' di disciplina (v. brédene).

 

redenžión, redènžio sf. (solo sing.) redenzione. Ka no e redenžión oppure ka no e redènžio qui non c'è via di scampo.

 

redéśena sf. (pl. redéśene) raganella, fig. chiacchierone. Strumento sonoro in legno costituito da una ruota dentata e un lungo manico di legno. La ruota della redéśena viene fatta girare, così mette in movimento una sottile assicella che produce un fragoroso gracidio. Come la bàtola e la ràkola questo strumento viene usato durante la Settimana Santa, quando le campane sono ferme e quindi, per annunziare l'inizio delle funzioni religiose, i ragazzi andavano in giro per il paese con la redéśena. Di ko la redéśena andare in giro per il paese a suonare la raganella; te ses kóme na redéśena sei come una raganella, non finisci mai di ciarlare.

 

redetà  vb. trans. (redetéo; redetèo; redetòu) ereditare. Kè àsto redetòu da tó nòno? che cosa hai ereditato da tuo nonno?

 

redetà  sf. (inv.) eredità. Na bèla redetà una grossa eredità.

 

redìkol agg. (pl. redìkoi, f. redìkola, pl. redìkole) ridicolo. Èse redìkol essere ridicolo, essere lo zimbello di qualcuno; no sta fèi l redìkol non fare il pagliaccio, non fare lo stupido; ròba redìkola cosa buffa.

 

redós  agg. (pl. redóśe, f. redóśa) testardo, intrattabile, scontroso. Tó pàre èra n redós tuo padre era un tipo scontroso; no sta èse kosì redós non fare il bastian contrario.

 

redós  sm. (solo sing.) rovescio. L e redós é al rovescio; al redós de la ğakéta, al redós de la čaméśa il rovescio della giacca, il rovescio della camicia; l dréto e l redós il dritto e il rovescio di una maglia, di un tessuto o simili; fèi n dréto e n redós fare un punto diritto e un punto rovescio, detto del lavoro a maglia. Nei maglioni, lavorati a mano, la fascia attorno alla vita (stivèla), i polsini e il girocollo, vengono eseguiti con due punti diritti e due rovesci (dói dréte e dói redós) oppure uno più uno. Ciò permetteva un'aderenza elastica e forte alle parti del corpo e nel tempo mantiene queste caratteristiche anche dopo varie lavature. Inoltre limita l'usura proprio delle parti che ne sono più soggette. Il resto della maglia (corpo e braccia), a seconda del disegno, normalmente si fanno punti diritti all'andata e rovesci al ritorno. I gambali dei calzini, dovendo aderire alla gamba, hanno la stessa lavorazione dei polsini, fascie e girocollo della maglia.

 

redośà vb. trans. (redośéo; redośèo; redośòu) rivoltare un ve stito, una camicia o simili. La màre a redośòu l vestì del pàre, la lo a adatòu a mi ke lo èi tiròu su a di a la vìśita mia madre ha rivoltato il vestito di mio padre e l'ho indossato per la visita di leva; fig. vàrda ke te redośéo sta attento che ti picchio.

 

redòśola sf. (pl. redòśole) strega. Si tratta di uno dei personaggi fantastici che si potevano trovare nelle fiabe. La nòna me a kontòu dóe stòrie de le redòśole la nonna mi ha raccontato due fiabe sulle streghe.

 

redùśe vb. trans. (reduśéo; reduśèo; reduśésto) ridurre, diminuire, fig. convertire, alternare le coltivazioni nei prati, nei campi e nei boschi. Ka se se vo di navànte, okóre redùśe le spéśe se si vuole che le cose vadano avanti, è necessario diminuire le spese; redùśe n bósko eliminare gli alberi di un bosco per lasciare posto a prati o campi; redùśe na vàra convertire la coltivazione di un prato da erba a campo di patate o di granoturco; loc. te as n mùśo da redùśe hai una faccia smorta.

 

refàbriko sm. (pl. refàbrike) rifabbrico, piano di ricostruzione dei paesi incendiati di metà Ottocento. Il termine refàbriko indicava in origine il fabbisogno di legname che ogni regoliere traeva dai boschi della Regola per la costruzione o per le migliorie della propria casa di abitazione. Sotto il nome di “rifabbrico” si deve intendere quindi una azione pianificata di ricostruzione dei paesi incendiati, sostituendo le antiche costruzioni in legno con case murate fino al tetto. Il movente di questo fenomeno rivoluzionario che ha investito gran parte dei paesi del Cadore è stata una “Circolare Delegatizia” del 15 maggio 1845 indirizzata ai commissari distrettuali di Pieve di Cadore e di Auronzo, organi periferici dell'imperial Regio Governo di Venezia. In essa, appunto, per prevenire gli incendi nei villaggi, era prescritto che tutte le case sia nuove che quelle da rifabbricarsi per incendio e vetustà, dovevano essere ricostruite completamente in muro. Immediata applicazione di queste norme si ha con la ricostruzione di Padola (distrutta dall'incendio del 22 ottobre 1845), con il piano di rifabbrico a firma dell'arch. Giusepe Segusini. Il termine è documentato e trae origine dal piano di ricostruzione del paese di Lozzo di Cadore, dopo l'incendio del 15 settembre 1867, redatto dall'ing. Simeone Zanetti, seguito poi da una revisione dello stesso ad opera dell'ing. Osvaldo Palatini.

In questo piano le case da ricostruire erano previste in 4 tipi differenti a seconda delle necessità familiari, era prevista inoltre una nuova viabilità la nuova ubicazione della chiesa e del Municipio. Detto piano non venne completamente rispettato in quanto molte persone vollero ricostruire le case sui ruderi di quelle preesistenti, in dispregio alle norme prestabilite e perciò perdendo il diritto agli aiuti comunali. L'opera di ricostruzione fu possibile grazie ai sacrifici cui si sottoposero Comune e privati, aiutati dai contributi di numerosi paesi d'Italia, dagli emigrati e dalla solidarietà dei paesi vicini.

 

refèi, refèise vb. trans. e rifl. (me refàžo; refaśèo; refàto, refaśésto) rifare, rifarsi, rimettersi in sesto, fig. vendicarsi. Refèi l liéto rifare il letto; refèise de i dàne recuperare per danni subiti; me òn adès l se a refàto mio marito adesso si è rimesso in salute.

 

refilà vb. trans. (refiléo; refilèo; refilòu) rifilare, allineare con la sega circolare i profili delle assi. È un lavoro che viene fatto in segheria, si tratta della rifilatura delle assi e dell'eliminazione degli scarti (v. rìsče).

 

refiladùra sf. (pl. refiladùre) scarto risultante dalla rifilatura delle assi. Fèi fuóu ko le refiladùre fare fuoco con gli scarti di segheria (v. rìsča).

 

refónde vb. trans. (refóndo; refondèo; refondésto) rifondere, risarcire, rimborsare le spese o i danni. Io te èi dòu i skèi, adès biśòña ke te me li refónde ti ho dato i soldi ora devi restituirmeli. Refónde i dàne risarcire i danni.

 

refudàme sm. (pl. refudàme) vestiario usato. A mi me tóča portà sènpre i refudàme de i me fardiéi pì vèče a me tocca portare sempre il vestiario usato e scartato dai miei fratelli più anziani.

 

refùdo sm. (inv.) piacere, compiacimento, giovamento, gioia. Védese refùdo sentirsi appagato, essere avvantaggiato, provare giovamento, avere profitto; me èi vedù pròpio refùdo ho trovato davvero un grande giovamento; èi ğavòu refùdo de avéte ka ho provato un gran piacere di averti visto.

 

refùğo sm. (pl. refùğe) rifugio. Su a Monte e dói refùğe a Pian dei Buoi ci sono due rifugi; loc. ka e l refùğo n pekatòrum questa casa è frequentata da gente di ogni risma.

 

regadìn sm. (inv.) rigatino. Tessuto che viene adoperato per confezionare indumenti. Da Venèžia èi portòu al konpàre na čaméśa de regadìn ho portato al mio testimone di nozze una camicia di rigatino da Venezia; n garmàl de regadìn un grembiule di rigatino.

 

reğèla sf. (pl. reğèle) risvolto del berretto, del mantello, copriorecchie, bavero. Parte del berretto che serve per riparare le orecchie dal freddo. Piccola bretella del mantello che lo chiudeva al collo. No te siénte ke frédo, tìra do le reğèle abbassa i risvolti del berretto e riparati le orecchie dal freddo.

 

reğìro sm. (solo sing.) traffico automobilistico, traffico di persone. Àsto vedù ke reğìro? hai visto che grosso traffico?

 

règola  sf. (pl. règole) regola, norma. Èse n règola essere in regola; par tó règola per tua norma.

 

Règola  sf. (pl. règole) Regola, antica forma di proprietà comune del territorio, in uso in Cadore e in altre zone delle Alpi. Con lo stesso termine viene chiamata la comunità dei fuochi e il patrimonio di tale comunità. Le Regole vengono abolite dagli statuti napoleonici e dalle leggi del Regno Sabaudo che trasferiscono proprietà e gestione ai nuovi istituti, i Comuni. Nella confusione degli eventi, disposizioni comunitarie napoleoniche, restaurazione asburgica nel giro di pochi anni, nuove norme del Regno Sabaudo, alcune disposizioni vengono rispettate, altre no: in generale il territorio resta in uso ai regolieri che lo coltivavano a inizio Ottocento. Norme successive, negli anni '30, restituiscono in alcune valli i diritti di proprietà alle Regole, per cui, sia per la sovrapposizione di disposizioni contraddittorie, a volte per carenza dei documenti scritti, altre volte per l'incostituzionalità di alcune delle norme che si vorrebbero restaurare, esistono non poche controversie su chi siano oggi i regolieri aventi diritto e con quali diritti. La Regola dunque era una comunità di fuochi, erano regolieri tutti gli appartenenti alla comunità, anche se alle riunioni, la fàula o règola, solo i capofamiglia erano chiamati a rispondere ciascuno per il proprio fuoco. Alcuni incarichi all'interno della Regola erano elettivi, altri invece si dovevano semplicemente assumere a turno e non era possibile esimersi. I regolieri sono comproprietari del patrimonio, del territorio, di quanto cresce sopra il suolo e di quel che è sotto terra, lo amministrano lo difendono e ne sfruttano tutte le risorse in comune. Proprio per questa appartenenza comunitaria, il territorio della Regola non è alienabile, la gestione della Regola è disciplinata da uno statuto che viene chiamato Làudo. In generale le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, anzi dire che erano trattate da serve è dir poco, ma questo era il modo di vivere di quei tempi, per altri versi una donna poteva anche essere capofamiglia. Il territorio del Cadore era gestito da Regole diverse, anche i Laudi erano tra loro diversi, anche se non di molto. Alcune parti del territorio regoliero erano destinate in permanenza al singolo fuoco, altre parti erano di uso comune o destinate a turno, a sorte. Par veñì a stà a Lóže biśoñèa ke la règola dìge de si un tempo per trasferirsi da un paese all'altro, era necessario il benestare ufficiale della Regola.

 

regolà, regolàse vb. trans. e rifl. (me regoléo; regolèo; regolòu) regolare, riparare, aggiustare, moderarsi, procedere con giudizio, mantenere la misura nelle cose. Regolà l arlòio regolare l'orologio; regolà l kuèrto, l karéto, la luóida riparare, aggiustare il tetto, il carretto, la slitta; vàrda de regolàte nte l béve cerca di moderarti nel bere.

 

regolàda sf. (pl. regolàde) regolamento, riparazione, fig. castigo, rimprovero, lezione. Dài n tin na regolàda a sto kuèrto vedi di riparare un po' questo tetto; tó fiól avaràe debeśuói de na bòna regolàda tuo figlio avrebbe bisogno di una buona lezione, di un rimprovero severo.

 

regoliér sm. (inv.) regoliere o appartenente alla Regola. La Regola o comunione familiare è un'antica associazione alla quale appartengono i capifamiglia che vivono in un determinato territorio. La regola provvede all'amministrazione del patrimonio silvo-pastorale con l'osservanza delle norme contenute nel “Laudo” e delle consuetudini locali.

Regoliere è il discendente diretto in linea paterna dai Regolieri originari che risiede nel territorio della Regola ed ha costituito un nucleo familiare autonomo (fuoco separato). I Regolieri usufruiscono del patrimonio, che è proprietà collettiva delle famiglie regoliere, sia mediante godimenti diretti, sia mediante la costruzione e manutenzione delle opere di pubblica utilità.

Con la caduta della Repubblica di Venezia e l'instaurazione dello Stato secondo le leggi napoleoniche, le Regole furono soppresse e sostituite dai comuni.

La lìsta de i regoliér de la règola de Sovèrña e n te l Làudo l'elenco dei regolieri della Regola di Sovergna è riportato nel Laudo; regoliér žènža Règola regolieri privi della Regola, cioè regolieri espropriati della proprietà passata ai Comuni con le leggi Napoleoniche.

 

reguardà, reguardàse vb. trans. e rifl. (me reguàrdo; reguardèo; reguardòu) riguardare, interessare, riguardarsi, aver cura della propria salute. Sta ròba reguàrda dùte questa cosa interessa tutti; reguàrdete n tin de pi riguardati un po' di più, abbi un po' più cura della tua salute.

 

reguàrdo sm. (pl. reguàrde) riguardo, cautela, soggezione. Avé reguàrdo par kalkedùn essere deferente verso qualcuno; àbie reguàrdo kói piàte cerca di non rompere i piatti; èi reguàrdo de tó màre ho soggezione di tua madre; no avé reguàrdo a non badare a; màña žènža reguàrdo mangia pure liberamente senza soggezione; a késto reguàrdo a questo proposito; reguàrdo a quanto a; na parsóna de reguàrdo una persona di una certa importanza; vàrda de avé reguàrdo pa la to salùte devi aver cura della tua salute.

 

réğa  sf. (pl. réğe) orecchio. Mal de réğe mal di orecchi; fèi réğe da mastèl fingere di non sentire e perciò non replicare; èse dùro de réğa essere duro di orecchio, cioè udire poco, ma anche non voler capire; me va ìnte pa na réğa e fòra par kelàutra quello che dici è come non l'avessi sentito, entra per un'orecchio e esce dall'altro; de sta réğa no siénto la proposta non mi piace, il ragionamento non mi persuade; al portaràe àga ko le réğe farebbe di tutto per accontentare una persona; pàrla piàn ke i mùre a le réğe parla sottovoce perché i muri hanno orecchi, qualche vicino potrebbe ascoltare; prov. ki ke no vo sientì, se strópe le réğe chi non vuole sentire, si tappi pure le orecchie.

 

Réğa  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

reğón agg. (pl. reğói, f. reğóna, pl. reğóne) chi ha orecchie lunghe, orecchiuto. Kéla e na faméa de reğói in quella famiglia hanno tutti le orecchie grandi.

 

rèkia  sf. (pl. rèkie) pace, riposo, tranquillità. Termine che deriva dal latino “Requiem”. No èi rèkie non ho pace; no čàto rèkie non trovo pace; la se a betù a di su dóe rèkie si è messa a recitare preghiere pei defunti.

 

rèkia  escl. di certo, perdio. To pàre, rèkia, e sènpre stòu n čanèi kói so fiói tuo padre, che Dio l'abbia in gloria, è sempre stato molto duro con i suoi figli.

 

rekiére vb. imp. (rekiére; rekierèa; rekieròu) piacere, garbare, desiderare, gradire. No me rekiére mañà non ho voglia di mangiare, non mi va di mangiare; te rekiérelo n tin de kafè? gradiresti un po' di caffè?; nkuói no me rekiére nùia oggi non mi va nulla, oggi non sto bene.

 

rekočà vb. trans. (rekočéo; rekočèo; rekočòu) rinfacciare, ricordare. No se a da rekočà l bén ke se fa rammenta che il bene che si è fatto non devi ricordarlo pretendendo che in qualche modo ti venga ricambiato.

 

rekočón agg. (pl. rekočói, f. rekočóna, pl. rekočóne) chi fa un piacere pensando che dovrà essere ricambiato. Te ses pròpio n rekočón sei proprio una persona che non fa che rinfacciare il bene che ha fatto.

 

rekoñóse vb. trans. (rekoñóso; rekoñosèo, rekoñosù) riconoscere, confessare. Te èi rekoñosù alòlo ti ho riconosciuto subito; rekoñóso i mé tòrte riconosco i miei torti, i miei errori.

 

rekordà, rekordàse vb. trans. e rifl. (me rekòrdo; rekordèo; rekordòu) ricordare, ricordarsi. Rekòrdete de rèndeme l restèl ke te èi nprestòu da na stemàna ricordati di restituirmi il rastrello che ti ho prestato una settimana fa; no rekordàse dal nas a la bóča dimenticare le cose facilmente.

 

rekòrdo sm. (pl. rekòrde) ricordo. Vìve de rekòrde vivere di ricordi; lasà n bón, n brùto rekòrdo lasciare un ricordo buono, cattivo.

 

rekuiśì vb. trans. (rekuiśìso; rekuiśisèo; rekuiśìu) requisire, fare incetta. N tènpo de guèra i rekuiśìse dùto in tempo di guerra ogni cosa viene requisita; se no te stas bón, te rekuiśìso dùte le nìne se non stai buono ti porto via tutti i giocattoli.

 

rekùpera sf. (solo sing.) riserve, avere, patrimonio. Te te màñe ànke la rekùpera dilapidi tutto il tuo avere.

 

reliğón sf. (inv.) religione. Ka no e pì reliğón qui non c'è più rispetto pei principi morali, tutto sta andando a rotoli.

 

relìkia sf. (pl. relìkie) reliquia. Teñì kóme na relìkia riservare un affetto scrupoloso per qualcuno, riservare con particolare affetto qualche oggetto o ricordo di un defunto parente o amico.

 

remandèl sf. (pl. remandiéi) grimaldello. Vèrde la pòrta kól remandèl aprire la porta con il grimaldello.

 

remedà vb. trans. (remedéo; remedèo; remedòu) l'azione atta a levare, spianare il tutto. Domàn remedéo l órto ñànte de sapàlo domani spiano il terreno dell'orto prima di zapparlo.

 

remedià vb. trans. (remediéo; remedièo; remediòu) rimediare, riparare. Remèdia n tin sto restèl vedi di aggiustare un po' questo rastrello; prov. a dùto se remèdia, fòra ke a la mòrte si rimedia a tutto fuorché alla morte.

 

remèdio sm. (pl. remèdie) rimedio, palliativo. Ka okóre čatà remèdio qui bisogna trovare un rimedio, una via d'uscita; pa sto mal no e remèdio a questo male non c'è rimedio.

 

rémedo sm. (pl. rémede) parte del terreno o del prato con gibbosità quindi difficile da sfalciare bene. Anche la striscia di terreno che separa il campo dal prato. Su sto tarén rémedo no se puó seà polìto su questo terreno così gibboso è impossibile sfalciare con uniformità.

 

remenà, remenàse vb. trans. e rifl. (me remenéo; remenèo; remenòu) rimescolare, agitare, dimenarsi, vibrare, essere irrequieto, fig. darsi da fare. Remenéa n tin la polènta mescola un po' la polenta; parkè te remenéesto tànto? perché ti dimeni, ti agiti tanto?; prov. ki ke va nte liéto žènža žéna, dùta la nuóte se reména chi va a dormire a digiuno, poi si agita per tutta la notte; a sto móndo okóre remenàse a questo mondo è necessario darsi da fare. L teremòto a remenòu dùta la čàśa il terremoto ha fatto vibrare tutta la casa.

 

remenàda sf. (pl. remenàde) infortunio, malanno, fig. dare botte per correggere. Daspò de kéla remenàda, no son pì stòu polìto dopo quel malanno, non mi sono più rimesso; i à avésto na bèla remenàda hanno subito una disgrazia terribile; ko te rùe a pède te dào na remenàda ke te te rekòrde pa n pèžo quando mi arrivi vicino ti do una legnata che ricorderai per molto tempo.

 

remenàto sm. (pl. remenàte) modesto architrave di legno, della porta o della finestra. Èi pikòu la ğakéta su l čòdo de l remenàto ho appeso la giacca sull'architrave.

 

reméngo sm. (pl. reménge) rovina, fallimento. L e du a reméngo ha fatto fallimento; nte késta čàśa va dùto a reméngo in questa casa va tutto in rovina; va a reméngo va al diavolo (v. raméngo).

remerità vb. trans. (remeritéo; remeritèo; remeritòu) ricompensare. Ke l Siñór te remèrite che Dio ricompensi il tuo buon cuore.

 

remisión sf. (inv.) compassione, perdono, pietà. Ka no e remisión par nisùn qui non c'è pietà per nessuno.

 

remétese vb. rifl. (reméto; remetèo; remetù) guarire. Daspò ke e dùda dò la fióra me son remetù alòlo passata la febbre mi sono rimesso in breve tempo.

réna sf. (pl. réne) crosta, pellicola dell'uovo. Addensamento dovuto al raffreddamento della superficie di latte, minestra, farinata e altro. La réna del làte, de la menèstra, déi pestariéi l'assodamento della superficie del latte dopo la bollitura, della minestra, della farinata; al làgo a fàto la réna la superficie del lago ha una leggera crosta di ghiaccio.

 

renboskà vb. trans. e intr. (renboskéo; renboskèo; renboskòu) rimboschire. Destinare un terreno prativo a bosco di abeti e larici. L pàre e du a renboskà su a Vialóna mio padre è andato a rimboschire il prato a Vialóna .

 

rénde vb. intr. (réndo; rendèo; rendù) piagnucolare, frignare, soffrire, stringere i denti per il dolore. No l vo fèi véde ke l a mal, ma l rénde anche se non si esprime si vede dalla faccia che soffre; al rénde par nùia piagnucola, frigna per un nonnulla.

 

rènde vb. trans. (rèndo; rendèo; rendésto, rendù) restituire, ridare. Te rèndo kél ke te me as nprestòu ti restituisco ciò che mi hai prestato.

 

renforžà-rinforžà vb. trans. (renforžéo; renforžèo; renforžòu) rinforzare. Sto tràvo va renforžòu questa trave deve essere rinforzata.

 

renfòržo sm. (pl. renfòrže) rinforzo, sostegno, aiuto. Ka okóre renfòržo qui c'è bisogno di un rinforzo, di aiuto.

 

renfreskà, renfreskàse vb. imp. trans. e rifl. (me renfreskéo; renfreskèo; renfreskòu) rinfrescare, ritinteggiare, purgarsi. Al tènpo se a renfreskòu l'aria si è rinfrescata, la temperatura si è fatta più fresca; kel tin de pióva a bèlo renfreskòu quel po' di pioggia ha già rinfrescato l'aria; renfreskà i fiór cambiare l'acqua ai fiori; renfreskà i vestìs togliere i vestiti dall'armadio ed esporli all'aria perché si riprendano; renfreskà i mùre ritoccare, ritinteggiare le pareti di una stanza; èi debeśuói de me renfreskà devo prendere la purga.

 

renfreskàda sf. (pl. renfreskàde) rinfrescata, ritinteggiatura, rassettatura. Sta pióva a portòu na bèla renfreskàda questa pioggia ha portato una bella rinfrescata; dài na renfreskàda a ste pòrte ritinteggia queste porte; sti vestìs a debeśuói de na renfreskàda questi vestiti hanno bisogno di essere rassettati; dàse na renfreskàda darsi una rinfrescata, lavarsi con l'acqua fresca per ristorarsi durante la calura estiva.

 

renfrésko sm. (pl. renfréske) rinfresco. Il termine va riferito solo al servizio di bevande e dolci in occasione di matrimoni, battesimi e simili; kuàn ke i se a maridòu, i a fàto pròpio n bèl renfrésko quando si sono sposati hanno fatto un rinfresco ricco di bevande e dolci.

 

rénga sf. (pl. rénge) aringa affumicata. Mañà polénta e rénga mangiare polenta e aringa (v. skopetón).

 

rengražià vb. trans. (rengražiéo, rengràžio; rengražièo; rengražiòu) ringraziare, essere grato. Rengràžia l Siñór se la te e dùda polìto ringrazia Dio se ti è andata bene; rengràžia tó màre se te ses kosì sii grato a tua madre se oggi ti trovi in queste condizioni; prov. rengràžia l Siñór kon dùte i čavéi ke te as su la tèsta ringrazia Dio tante volte quanti capelli hai in testa, detto di colui che ha superato un ostacolo che pareva insormontabile o che è riuscito ad ottenere qualcosa che poteva sembrare irraggiungibile.

 

renkonèla sf. (pl. renkonèle) roncola. Ha la forma di un falcetto ma si usa per tagliare rami o pianticelle legnose, ma è soprattutto preziosa per scortecciare i rami degli alberi perché secchino meglio. Tòle su la renkonèla e va a fèi fòra brùse prendi la roncola e va a tagliare le siepi; tòle la renkonèla e va a taià n tin i nośolèi prendi la roncola e vai a tagliare i cespugli di nocciolo (v. brùsa).

 

renkrése vb. imp. (renkrése; renkresèa; renkresésto) rincrescere, provare dispiacere. Me renkrése par lùi mi dispiace per lui; se no ve renkrése tòlo su dóe légñe sul vòstro se non vi dispiace, per piacere, detto come forma di cortesia, raccolgo un po' di legna prendendola dal vostro bosco.

 

renkurà vb. trans. e rifl. (me renkuréo; renkurèo; renkuròu) raccogliere, andare a cercare, riunire, procurarsi, custodire, provvedere. Renkurà alkuànte léñe andare a raccogliere un po' di legna da ardere; renkùra dói radìče vai nel prato in cerca di un po' di radicchio; renkurà i tośàte sorvegliare i bambini; ko sto frédo me èi renkuròu la tóse con questo freddo mi è venuta la tosse; renkùra n tin ki tośàte bada un po' di più ai tuoi figlioli; renkurà i vèče provvedere a quanto è necessario agli anziani che vivono in casa.

 

rènte avv. vicino, presso. Rènte la čéśa e l kanpanì vicino alla chiesa c'è il campanile; kamìna a rènte l mùro cammina vicino al muro (v. arénte).

 

renunžià vb. intr. (renùnžio; renunžièo; renunžiòu) rinunciare. So màre a točòu renunžià a tànte ròbe par tirà avànti sua madre ha dovuto rinunciare a tante cose per riuscire a campare.

 

reñà vb. intr. (réño; reñèo; reñòu) regnare. Ka no réña mài pas qui non c'è mai pace; se te fas kosì te réñe póčo se vai avanti così rischi di perdere il posto di lavoro.

 

repelì, repelìse vb. trans. e rifl. (me repelìso; repelìo; repelìu) scovare, trovare qualcosa di indispensabile, riaversi, riprendersi da una malattia. Èi debeśuói de repelì àlgo de skèi ho bisogno di farmi prestare un po' di soldi; al fa fadìa a repelìse fa fatica a riprendersi, a rimettersi in sesto.

 

repète vb. trans. (repetéo; repetèo; repetésto, repetù) ripetere, rifare. Repète le oražión ripetere le preghiere; repètelo, se te vos čapàle fallo un'altra volta, se vuoi buscarle.

 

repiegà vb. trans. e intr. (repiegéo, repiegèo; repiegòu) ripiegare, sostituire, adattarsi. Èi repiegòu n tin de farìna nostràna mi son procurato un po' di farina macinata in loco; no avèo pan e alóra èi repiegòu ko n tin de polènta non avevo il pane, allora sono ricorso ad un po' di polenta.

 

repiégo sm. (pl. repiége) ripiego, espediente, via d'uscita. Čatà n repiégo trovare un ripiego, una via d'uscita; ròba de repiégo roba di ripiego.

 

repìka sm. (pl. repìke) ripicca, dispetto, puntiglio. Késto e par repìka questo è un dispetto; fèi le ròbe par repìka fare le cose per ripicca (v. pika)

 

reportà vb. trans. (repòrto; reportèo; reportòu) riportare, riferire, raccontare. No sta parlà, parkè kéla repòrta dùto non parlare perché quella va a spettegolare tutto in giro.

 

reputažión sf. (inv.) reputazione, stima, apprezzamento. Avé bòna/brùta reputažión avere una buona o una cattiva reputazione.

 

resčarà, resčaràse vb. intr. (resčàro; resčarèo; resčaròu) rischiarare, rimettersi al bello. Si dice soprattutto del tempo meteorologico. Daspò kel spiovažón, se a resčaròu dopo quel temporale il tempo si è schiarito (v. sčarì).

 

reśentà vb. trans. (reśentéo; reśentèo; reśentòu) risciacquare. Reśentà la biankarìa risciacquare la biancheria.

 

reśentàda sf. (pl. reśentàde) risciacquata, fig. bevuta. Sta ròba a debeśuói de na reśentàda questi panni hanno bisogno di una risciacquata; fig. niére te te as dòu na gran reśentàda ieri hai fatto una bevuta esagerata.

 

resientì, resientìse vb. trans., intr. e rifl. (me resiénto; resientìo; resientìu) risentire, risentirsi, aversela a male, offendersi, fig. riprendersi, ammollirsi, rigonfiarsi. No sta dìli nùia, ke l se resiénte alòlo non dirgli nulla perché si risente subito; resiénto nkóra de la fióra de sti di pasàde risento ancora della febbre dei giorni scorsi; al se a resientìu derèto de kel ke ti as dìto si è subito offeso per quello che gli hai detto (v. reveñì).

 

reśìpola sf. (pl. reśìpole) erisipela. Malattia infettiva della pelle che si manifesta con arrossamenti. Kuàn ke l e tornòu da Leśinpón, l avèa la reśìpola quando è ritornato dall'estero aveva l'erisipela.

 

reśìste, resìste vb. intr. (reśìsto; reśistìo; reśistìu) resistere, sopportare. Reśìste a le fadìe resistere alle fatiche, sopportare la fatica.

 

reskàldo sm. (pl. reskàlde) riscaldo, infiammazione, malessere dovuto a fatica, ad abuso di alcool o di cibi troppo piccanti. Se te as reskàldo, tòlete n tin de òio de rižino o de sal de kanàl se hai riscaldo, prendi un po' di olio ricino o di sale inglese.

 

resolà vb. trans. (resoléo; resolèo; resolòu) risuolare. Resolà le skàrpe, i skarpéte risuolare le scarpe, le pantofole (v. soletà).

 

resoladùra sf. (pl. resoladùre) risuolatura. Fèi la resoladùra rifare la suola alle scarpe.

 

reśón  sf. (inv.) ragione. Sta òta èi reśón ió stavolta ho ragione io; l e du navànte e ndavòi par fèi valé le só reśón si è dato da fare in tutti i modi per far valere le proprie ragioni; no kapì reśón intestardirsi.

 

reśón  sf. (inv.) ceppo familiare, stirpe, origine. De ke reśón élo kel la? di che origine, di che famiglia è quello?; l e de la reśón de ki de Bortolìna è della famiglia dei Bortolina.

 

respetà vb. trans. (respèto, respetéo; respetèo; respetòu) rispettare. Respèta n tin de pì tó màre abbi un po' più di rispetto per tua madre; faśéve respetà fatevi rispettare; respetà l čan pa l parón rispettare il cane per il padrone ovvero rispettare qualcuno per l'autorità o l'influenza su un loro congiunto, amico o capoclan.

 

respèto sm. (pl. respète) rispetto, deferenza. Okóre avé respèto pài vèče bisogna avere rispetto dei vecchi; no portà respèto par nisùn non portare rispetto per nessuno; ko bon respèto parlàndo con rispetto parlando, cioè metto avanti questa frase perché il proseguo è tuttaltro che rispettoso; i mé respète i miei rispetti, formula di saluto; respèto a... in confronto, a paragone di...; respèto a ti són diéśe òte pì brào in confronto a te sono molto più bravo.

 

respònde vb. intr. (respòndo; respondèo; respondésto, respondù) rispondere, garantire, rintuzzare, obiettare. Respònde a na létra, a na kartolìna rispondere ad una lettera, ad una cartolina; respònde par kalkedùn garantire per qualcuno; parkè respòndesto kosì a tó màre? perché sei così maleducato quando parli con tua madre?; respònde nkóra n òta, ke te dào vìa n śbagadènte ribatti ancora che ti arriva un ceffone.

 

reśultà vb. intr. (reśùlto; reśultèo; reśultòu) risultare, derivare. Me reśùlta ke te ses n bón tośàto mi risulta, so che sei un bravo ragazzo; reśùlta čàro risulta chiaro, è evidente; ròba de reśùlta materiale di scavo.

 

rèsta sf. (pl. rèste) una testa di aglio, un bulbo. Na rèsta de ài un bulbo d'aglio intero.

 

restà vb. intr. (rèsto; restèo; restòu) restare, rimanere, restare meravigliato o mortificato. Restà a čàśa restare a casa; restà sólo rimanere solo; son restòu a véde kéle ròbe sono rimasto meravigliato/mortificato nel vedere quelle cose; restà de stùko rimanere di stucco, rimanere allibito; restà séko rimanere secco, morire sul colpo; fèi restà mortificare; parkè me fàsto sènpre restà? perché mi fai sempre rimanere male, perché mi mortifichi sempre?; rèsta póčo o nùia ne resta poco o nulla; rèsto! sono meravigliato.

 

restèl sm. (pl. restiéi) rastrello, cancello. Queste sono alcune parti del rastrello: i dènte i denti, l mànego il manico, la petenèla il regolo; tòle su l restèl e va a rodolà prendi il rastrello e va a spargere l'erba appena falciata; restèl da fién, da kurà rastrello da fieno e quello a denti radi per togliere dai prati le frasche (kurà); restèl de fèr rastrello di ferro per la ghiaia; restèl da semenà, par fèi le rìge nte i čàmpe rastrello da semina, per far le righe nei campi, pel sorgo da 160 cm per le patate da 80 cm tra dente e dente; restèl da ğ&àśone rastrello per raccogliere mirtilli; al restèl de le čanàs la grata di sbarramento lungo le condotte d'acqua per mulino o segheria; grosso rastrello in legno o ferro utilizzato per fermare e gettare a lato della condotta stecchi e detriti trasportati dall'acqua.

 

restelà vb. trans. (resteléo; restelèo; restelòu) rastrellare, raccogliere col rastrello. Restelà su l fién rastrellare il fieno; restelà i perói, i fùfe ammucchiare sassi e ciuffi d'erba con il rastrello; di a restelà andare a rastrellare, a raccogliere il fieno.

 

restelàda sf. (pl. restelàde) rastrellata. Nkóra dóe restelàde e avón fenìu ancora alcune rastrellate ed abbiamo finito di raccogliere il fieno.

 

restiér agg. (pl. restiére, f. restiéra) restio, ombroso. L'aggettivo va riferito soprattutto al cavallo. N čavàl restiér un cavallo ombroso.

 

rèsto sm. (pl. rèste) resto, rimanenza. Dàme l rèsto dammi il resto; màña pùra l rèsto mangia pure quello che rimane; de rèsto inoltre, tuttavia.

 

restuói agg. (pl. restuói, f. restuóña, pl. restuóñe) poco denso, acquoso, rado, poco fitto. Menèstra restuóña minestra poco densa, acquosa; dènte restuói denti radi, distanti fra di loro; bósko restuói bosco poco fitto; stan l èrba e restuóña quest'anno c'è poca erba.

 

restuoñà vb. trans. (restuoñéo; restuoñèo; restuoñòu) diradare, rendere meno denso. Kuàn ke te sarìse, restuóña l sórgo quando sarchi il campo dirada le pianticelle di granoturco; l'operazione viene fatta a primavera anche per diverse verdure che si seminano nell'orto; restuoñà la menèstra rendere meno densa la minestra aggiungendo un po' di latte o di acqua (v. da tèra).

 

rèta sf. (solo sing.) retta. Da rèta dare retta, badare, ascoltare e ubbidire. Dài n òta rèta a to pàre ntànto ke l te pàrla ascolta tuo papà mentre ti sta parlando

 

réta sf. (pl. réte) anello matrimoniale. Me son tànto deśmagràda ke no puói pì portà la réta se nò la pèrdo sono talmente dimagrita che non posso più portare la fede matrimoniale altrimenti rischio di perderla (v. véra).

 

retaià vb. trans. (retàio; retaèo; retaiòu) ritagliare. Retaià l sóra déi skarpéte ritagliare le tomaie delle pantofole.

 

retài sm. (inv.) ritaglio, avanzo di stoffa. Ko sti retài, kònžo le čàuže con questi ritagli di stoffa, rinforzo le calze (v. konžà).

retegà vb. intr. (retegéo; retegèo; retegòu) litigare, bisticciare. Tó fiól a sènpre vòia de retegà tuo figlio ha sempre voglia di bisticciare.

 

retegàda sf. (pl. retegàde) bisticcio, litigio. Kéla e stàda na retegàda ke ge volèa quello è stato uno scontro verbale che ci voleva.

 

retegós agg. (pl. retegós, f. retegóśa, pl. retegóśe) litigioso. No èi mài vedù n retegós kóme te non ho mai conosciuto un uomo litigioso come te.

 

reteñì, reteñìse vb. trans. e rifl. (me retéño; reteñèo; reteñìu, reteñésto) ritenere, supporre, credere, trattenersi, ritenersi. Te èi sènpre reteñésto na parsóna polìto ti ho sempre ritenuto una persona perbene, onesta; retéño ke te àbie śbaliòu credo che tu abbia sbagliato; no l e stòu bón de reteñìse e l se a betù a piànde non è stato capace di trattenersi e si è messo a piangere; al se retién de èse ki sa ki ritiene di essere chi sa chi, si sopravvaluta.

 

retikolàto sm. (pl. retikolàte) reticolato, filo spinato. Sta atènti ài retikolàte sta attento al filo spinato.

 

retočà vb. trans. (retočéo; retočèo; retočòu) ritoccare, rifinire l'imbiancatura. L čantón e nkóra négro, daspò kóñe retočàlo polìto l'angolo è ancora nero, dopo dovrò ritoccarlo per bene (v. ritokà).

 

rèumo sm. (pl. rèume) reuma, dolore reumatico. Èi sudòu e me èi čapòu n rèumo nte la spàla ho sudato e mi è venuto un dolore reumatico ad una spalla; kuàn ke pióve siénto i rèume quando piove, mi vengono i dolori reumatici.

 

reusì vb. intr. (riéso; reusìo; reusìu) riuscire, spuntarla. Son reusìu a fèi dùto sono riuscito, sono stato capace di fare tutto il lavoro; ànke sta òta son reusìda anche questa volta l'ho spuntata, ce l'ho fatta.

 

reusìda sf. (pl. reusìde) riuscita, risultato, esito. Fèi na bòna reusìda fare una buona riuscita, ottenere un buon risultato; fèi na brùta reusìda fare una cattiva riuscita, avere un esito negativo.

 

revédese vb. rifl. (me revédo; revedèo; revedù) rivedersi, pentirsi. Kuàn ke l se a revedù l e tornòu a čàśa quando si è pentito è ritornato a casa.

 

revedìbile- reviśìbile agg. (inv.) rivedibile. L'esito negativo della visita medica militare. I me a fàto revedìbile avarèi da tornà n àutro an alla visita medica militare mi hanno dichiarato rivedibile, dovrò ritornare l'anno prossimo.

 

revèl agg. (pl. reviéi, f. revèla, pl. revèle) storto, sinistro, per est. mal fatto. Késto e n mànego revèl questo è un manico storto, un'impugnatura mal fatta.

 

revelì, revelìse vb. trans. e rifl. (me revelìso; revelìo; revelìu) bruciacchiare, bruciacchiarsi, fig. ribattere i chiodi che oltrepassano la tavola di legno. Al fèr da sopresà a revelìu la čaméśa il ferro da stiro ha bruciacchiato la camicia.

 

revelìu agg. (pl. revelìde, f. revelìda) leggera bruciatura lasciata sui tessuti dal ferro da stiro. Ste bràge e dùte revelìde questi pantaloni si sono tutti bruciacchiati durante la stiratura.

 

reveñì  vb. intr. (reveñìso; reveñìo; reveñù) rinvenire, riaversi da un malore, ammollirsi e rigonfiarsi di oggetti secchi che vengono immersi nell'acqua. La a čapòu mal, ma la e bèlo reveñùda è stata colta da un malore, ma si è già ripresa; ñànte de sopresà le čaméśe, okóre fèile reveñì prima di stirare le camicie bisogna inumidirle; ko n tin de àga sti fiór i e bèlo reveñùde questi fiori, ormai quasi appassiti, con un po' d'acqua si sono già ripresi; èi betù a čapà l ària l vestì de nòže e l e bèlo reveñù ho appeso all'aria il vestito da nozze ed è tornato bello come una volta.

 

reveñì  vb. tr. (reveñìse; reveñìa; reveñù) addolcire sulla forgia l'acciaio da una tempera troppo dura. A la manèra sàuta vìa i tòke, okóre fèila reveñì dalla mannaia si stanno staccando dei pezzettini, bisogna farla rinvenire.

 

reverì vb. trans. (reverìso; reverìo; reverìu) riverire, ossequiare. Reverìso, siór pioàn riverisco, signor pievano; e ğùsto ke i te reverìse è giusto che ti rendano gli onori.

 

reverìsko sm. (pl. reverìske) riverente complimento. Fèi le ròbe žènža tànte reverìske fare le cose con decisione, senza attendere suggerimenti altrui, senza fare tanti complimenti, senza rivolgere tanti ossequi ai superiori.

 

Rèvin sm. (top.) loc. a nord del paese. tra Le Vàle e Fontàna e a sud di Sómakuóilo. Zona molto ripida servita da una mulattiera che raggiunge un gruppo di tabiàs.

 

Revìs sm. (top.) evidente crepa rocciosa e gessosa che una volta incombeva da ovest sul paese di Lozzo, recentemente ridotto a spallone digradante sul Rin. Prov. Lóže, Ložàto, se no fóse kel sasàto l sararàe n Trevìśo fàto se su Lozzo non incombesse la minacciosa presenza di Revìs, sarebbe un paese assai bello.

 

revoltà vb. trans. (revòlto, revoltéo; revoltèo; revoltòu) rivoltare, mettere sottosopra. Revòlta la fortàia rivoltare la frittata; parkè revòltesto su dùto? perché metti tutto sottosopra?

 

revoltèla sf. (pl. revoltèle) rivoltella. Al a śbaròu ko la revoltèla ha sparato con la rivoltella.

 

revoltìn sm. (pl. revoltine) risvolto del vestito. Al revoltìn de la ğakéta il risvolto della giacca.

 

revoltón sm. (pl. revoltói) sconvolgimento, caos, confusione, fig. azione del caglio, inacidire. Fèi dùto n revoltón mettere tutto sottosopra.

 

režepìs sm. (inv.) ricevuta. La ricevuta veniva compilata per un prestito di denaro, l'invio o la consegna di un documento. N tin de režepìs no va mài mal è sempre utile farsi fare una ricevuta di quello che si è prestato.

 

režerkà vb. trans. (režerkéo; režerkèo; režerkòu) ricercare, cercare di sapere. Èi režerkòu, ma no èi čatòu nùia ho fatto delle ricerche, ma non ho trovato nulla; èi režerkòu, ma no èi savésto nùia ho fatto delle indagini, ma non ho scoperto nulla.

 

ričàmo sm. (pl. ričàme) richiamo, attrazione. Aužiéi da ričàmo uccelli da richiamo.

 

ridačà vb. intr. (ridačéo; ridačèo; ridačòu) ridacchiare, deridere. Te as póčo da ridačà prima di deridere, ridacchiando, pensaci su.

 

rìde vb. intr. (rìdo; ridèo; ridésto) ridere. Rìde davòi, rìde davòi de dùte prendere in giro, deridere, irridere di tutti, alle spalle di tutti; rìde ìnte pal mùśo ridere in faccia, motteggiare; rìde àuto sghignazzare; fèi da rìde giocare; no sta fèime rìde non farmi ridere; daspò l rìde vién al frìde dopo il bello viene il brutto.

 

rìdesela vb. rifl. (me la rìdo; ridèo; ridésta) ridersela, ostentare sicurezza. L se la rìde lùi, no l a fiói ke i da da pensà se la ride lui, perché non ha figli che gli danno preoccupazioni.

ridésta sf. (pl. ridéste) risata, riso. Me èi fàto pròpio na ridésta de gùsto mi son fatto proprio una risata di gusto.

 

ridužà vb. intr. (ridužéo; ridužèo; ridužòu) ridacchiare con ironia o malizia. Dùte piandèa e lùi ridužèa tutti piangevano, lui invece ridacchiava.

 

riése vb. intr. (riéso; riusìo; riusìu) riuscire. Ki ke riése e brào chi riesce è bravo.

 

rìfa onom. in qualche modo. Usata nella loc. o de rìfa o de ràfa in un modo o nell'altro si deve risolvere il problema.

 

rìgin sm. (inv.) fune di canapa, canapo. Leà i fas de fién kói rìgin legare i fasci di fieno con grosse funi; prov. ki ke no a funàže, dòra rìgin chi non possiede nulla, è costretto ad accontentarsi di ciò che è mediocre; fig. la veñìa dó a rìgin pioveva a dirotto.

 

rikàmo sm. (pl. rikàme) ricamo, arabesco. Laurà a rikàmo lavorare a ricamo, ricamare; d invèrno le fenèstre e dùto n rikàmo d'inverno il ghiaccio sulle finestre forma un bellissimo arabesco.

 

rikòvero sm. (pl. rikòvere) ricovero, rifugio, per antonomasia casa di riposo per anziani. Il rifugio Ciaréido, ai piedi del monte omonimo era in precedenza utilizzato come ricovero in quanto costruito per ospitare i militari; di al rikòvero essere ospitato alla casa di riposo per anziani.

 

rimésa sf. (pl. rimése) sprone, rimessa. È la parte dell'indumento che copre la spalla e scende di 10 cm sia davanti che di dietro. La rimésa de la čaméśa lo sprone della camicia; i a vivésto dùte ko le rimése de so pàre tutta la famiglia ha potuto campare grazie all'invio di denaro da parte del padre emigrato.

 

rimesà vb. trans. (rimeséo; rimesèo; rimesòu) impiallacciare. Ricoprire legno di qualità scadente con uno strato sottile di legno pregiato. Chi non conosce il legno non se ne accorge. Késto no e fàto dùto de kučèra, ma l e rimesòu questo non è tutto legno massiccio di noce, ma è stato impiallacciato superficialmente solo con uno strato sottile.

 

riméso sm. (pl. rimése) impiallacciatura. Ko la se a maridòu l avèa la kànbra de riméso quando si è sposata aveva la camera impiallacciata, cioè mobilia di poco valore.

 

rìn sm. (inv.) ruscello, torrente. Il termine rin è molto comune nella toponomastica locale, ad esempio Rin de Čanpeviéi, de Velèža, de Varsàlega. Il più importante di tutti è comunque il Rìo Rin, nell ‘800 alcuni documenti lo citano come il Rio di Lozzo. Il torrente percorre la Val Lonğiarìn e scende da ovest verso il paese di Lozzo, dove muoveva le ruote dei mulini, del follo, delle segherie, delle officine e di molte altre attività che usufruivano della forza idraulica. Passa a lato delle case costruite durante il rifabbrico e lambisce la croda di Revìs infine si getta nella Piave. Il rio dunque era molto utile per le diverse attività che si svolgevano in paese, ma sovente le sue piene davano grosse preoccupazioni, avendo assunto, in alcuni casi, dimensioni catastrofiche. Le più dannose che vengono ricordate sono state le piene del 1882, che distrussero il ponte che collega Lozzo a Domegge, e del 1966 quando le acque procurarono notevoli danni ad abitazioni, al patrimonio forestale nonché crearono solchi profondi, vere ferite all'ambiente.

 

risčà, risčàse vb. trans., intr. e rifl. (me rìsčo; risčèo; risčòu) rischiare, compromettere, azzardarsi, avere il coraggio. Risčà dùto rischiare tutto, mettere a repentaglio ogni cosa; èi risčòu de taiàme i déide ho corso il rischio di tagliarmi le dita; no me rìsčo non mi azzardo, non ho il coraggio; risčà l pì pal mànko rischiare di fare qualcosa di sproporzionato rispetto alle possibilità che si hanno.

 

rìsča sf. (pl. rìsče) scheggia di legno, legnetto secco per accendere il fuoco. Per accendere il fuoco di solito si usano scarti secchi di segheria dati dalle rifilature delle tavole, oppure quel che si scarta dalla squadratura delle travi. Tòle su dóe rìsče e nvìda fuóu prendi un po' di legna sottile e accendi il fuoco; fèi rìsče rompere la legna a piccoli pezzi, frantumare tutto quello che si ha in mano; fig. avé na rìsča avere una fidanzatina (non ufficiale) detto in tono malizioso; čapàse na rìsča pungersi con ritenzione con una scheggia di legno o una spina di rovo (v. mateà).

 

rìsčo sm. (pl. rìsče) rischio, incertezza, pericolo. Ka e l rìsčo de pèrde dùto qui si rischia di perdere tutto; va la ke e stòu n bèl rìsčo va là che hai corso un bel rischio, una brutta avventura.

 

rìśina sf. (pl. rìśine) canale artificiale per scaricare il legname a valle. La rìśina è un canale fatto con i tronchi, un lavinà artificiale costruito dove manca quello naturale. Lo scivolo permette ai tronchi di superare a sbalzo i canali trasversali o di discendere notevoli dislivelli senza eccessive rotture, quindi di evitare danni al legname e allo stesso tempo di accelerarne il trasporto. Cessato lo scopo i tronchi che la componevano venivano rimossi e lasciati cadere a valle partendo, ovviamente, da quelli posti più in alto. Al giorno d'oggi la rìśina è sostituita dalle teleferiche. N òta la rìśina i la faśèa su n Val Lonğarìn un tempo la rìśina veniva costruita in Val Lonğarìn .

 

rìśo sm. (pl. rìśe) riso. Menèstra de rìśe minestra con il riso al posto della pasta; prov. i rìśe nàse nte l àga, ma muóre nte l vin il riso a tavola non va mai accompagnato con l'acqua, ma col vino.

 

ritokà vb. trans (ritóko; ritokèo; ritokòu) ritoccare. Dàto ke te as nkolorìu i skùre te dovaràe ritokà ànke i telerìn giacché hai tinteggiato le imposte esterne, dovresti ritoccare anche le intelaiature.

 

ritòrta sf. (pl. ritòrte) ritorta, stoffa grezza o tela ritorta. Con la vermena, ramoscelli di salice o nocciolo, ancora verdi, ritorti e snervati, si possono legare fastelli, fascine e altro. Èi konpròu n tin de ritòrta ho comperato un po' di tela ritorta; léa sta fasìna ko na ritòrta lega questa fascina con una ritorta.

 

ritràto sm. (pl. ritràte) ritratto, fotografia. Fèise l ritràto farsi fare il ritratto, farsi fotografare; l e l ritràto de so pàre è il ritratto di suo padre, assomiglia molto a suo padre (v. litràto).

 

rìva  sf. (pl. rìve) pendio ripido, sponda di torrente, erta, strada o sentiero in salita. Termine entrato nella toponomastica locale; Rìva de Brodevìn che attraversa la borgata omonima; Rìva de le Vàče che inizia al ponte sulla strada statale e raggiunge l'attuale strada di Anteazze; Rìva del Sabión tratto di mulattiera che sale a Pian dei Buoi dal versante di Kuóilo; Rìva de la Pàusa breve tratto della mulattiera che sale a Pian dei Buoi dal versante di Laržéde.

 

Rìva  sf. (top.) località del paese che si trova sopra la Soravìa-Kapitèl. Località soleggiata ora prativa, un tempo coltivata a patate, fagioli e granoturco. È collocata sul costone a sud di Sórasàle. È attraversata da un sentiero (Trói de Kòsta) che collega la borgata di Brodevìn con la mulattiera che porta a Kuóilo e Pian dei Buoi in prossimità di Sórasàle.

 

Rìva de i Gòti sf. (top.) strada interna al paese, ripida e stretta, che dalla fontana della borgata Danèla porta a Pròu salendo a sinistra.

 

Rìva dei Pelegrìni sf. (top.) breve tratto di strada al centro del paese che collega la nazionale e via Padre Marino fiancheggiando l'omonimo Palazzo.

 

Rìva del Bósko sf. (top.) località in Val Lonğarìn. Lungo la strada oltre Vialóna, più in alto dei Foržiéi. Costone boscoso alla sinistra orografica del Ğòu Gran dove lo stesso confluisce nel Rio Rin nei pressi del Perón dei Foržiéi. Da questa località partono i sentieri che portano ai Làndre e a Piàn de Maśón.

 

Rìva de le Père sf. (top.) località che si trova sulla strada che conduce alla Kaśèra de le Vàče nel pascolo di Pian dei Buoi. È locata nelle vicinanze dei ruderi della Kaśèra de le Féde, all'inizio del bacino del Rio Čanpeviéi. È tuttora zona di pascolo dove passa anche il sentiero detto dele Bùrče che collega appunto la Kaśèra de le Vàče con i resti di quella delle Féde.

 

Rìva del Ğèso sf. (top.) località che si trova nella parte alta della Val da Rin nella direzione che dal Kaśón di Valdažéne porta verso la Kòsta de Pomadòna. Si può localizzarla nelle vicinanze della Gràva Bianka sopra Piàn de Selasé.

 

Rìva de la Kalònega sf. (top.) strada. È quella strada ripida e stretta che dal Paveón e quindi dalla vecchia chiesa parrocchiale porta alla canonica, da qui il toponimo di Rìva dela Kalònega ora via Arcidiacono Monti.

 

Rìva de l Paveón sf. (top.) breve salita che dalla strada Nazionale porta in Piàža Vèča nel cuore del paese. All'inizio di questa breve salita sorgeva anticamente l'edificio chiamato Paveón dove si tenevano le assemblee dei regolieri o Fàule, di qui il toponimo di Rìva de l Paveón. Prima dell'incendio del 1867 era sede della strada principale che attraversava la Piàža Vèča e proseguiva poi verso Auronzo. Con il rifabbrico la strada principale è stata fatta passare nella sede attuale della nazionale. La Rìva de l Paveón è rimasta una via interna del centro urbano.

 

Rìva de Siór Piéro sf. (top.) località in Val Lonğarìn lungo l'attuale strada che porta a Vialóna. È uno dei punti più ripidi del percorso e la zona si può meglio localizzare nel tratto che precede il ponte di Vialóna.

 

Rìve, Le sf. (top.) località a sudovest di Lozzo tra Filuói e Daò, in ripida discesa verso la sponda del lago.

 

rivòlo avv. a zonzo. Usato solo nella loc. di de rìvòlo andare in giro senza meta, senza far niente, bighellonare.

 

riž sm. (pl. rìže) riccio, ricciolo. L a i čavéi ke e dùto n riž ha i capelli ricci; i riž de le ónğe le pellicole che si formano sotto le unghie (v. rižòto).

 

rižà vb. trans. (rìžo; rižèo; rižòu) arricciare. Rižà l nas arricciare il naso, fare lo schizzinoso.

 

rižàda sf. (pl. rìžàde) palizzata di protezione sulla curva della rìśina. Vien posta per impedire ai tronchi, che scendono in velocità lungo la rìśina, di saltare fuori in curva durante la calata a valle. Kéla tàia a spakòu dó la rižàda quel tronco ha demolito la palizzata alla curva della rìśina .

 

rižéve vb. trans. (rižévo; riževèo; riževésto, riževù) ricevere, solo nel senso di accogliere. Rižéve l sìndako, l véskovo andare incontro per fare gli onori al sindaco o al vescovo.

 

rìžino sm. (solo sing.) ricino, pianta erbacea dai cui semi oleosi si estrae il famoso olio usato in medicina. Tòle l òio de rìžino prendere l'olio di ricino, usare l'olio di ricino come purgante o come rinfrescante.

 

rižòto agg. (pl. rižòte, f. rižòta) ricciuto, riccioluto. Nte kéla čàśa i e dùte rižòte in quella famiglia sono tutti ricciuti, hanno tutti i capelli crespi; fèise i rižòte arricciarsi i capelli.

 

róa sf. (pl. róe) frana, scoscendimento sassoso del terreno. Dùte kéle pióve no a fàto àutro ke róe tutte quelle piogge hanno prodotto diverse frane (v. ruóiba).

 

roàn agg. (pl. roàne, f. roàna) livido, paonazzo. L èra dùto roàn pal frédo era diventato completamente paonazzo per il freddo; la màn e roàna parkè me éi čapòu na pàka ho un livido sulla mano perché mi sono preso una colpo.

 

ròba sf. (pl. ròbe) cosa, roba, stoffa, proprietà. Èi da dìte na ròba devo dirti una cosa; làva la ròba lava la biancheria; kónpra n tin de ròba da fèime na karpéta compera un po'di stoffa per farmi una sottana; fèi ròba accumulare molti averi; avé le só ròbe avere le mestruazioni, avere preoccupazioni e quindi di conseguenza essere irritato, essere di malumore; ròba fa ròba di solito chi è già ricco aumenta le sue ricchezze; prov. òñi ròba pa la só stràda ogni cosa ha un proprio destino; prov. n dùte le ròbe, la ròba de mèdo e la mèo in tutte le cose la virtù sta nel mezzo; prov. ròba fàta par fòrža, no val na skòrža ciò che si fa per forza, cioè controvoglia non vale proprio nulla; ròba robàda no a duràda chi ruba non godrà a lungo della refurtiva; ki ke no ròba no fa ròba chi non ruba non si arricchisce; la ròba skònde la gòba il denaro riesce a far cancellare i difetti dell'uomo; la ròba e l àga a da di pa la só stràda la roba e l'acqua devono seguire ciascuna un loro prestabilito percorso; prov. tré ròbe no se a da fèi: spalà néve, śgorlà kučère e kopà òmin ci sono delle azioni che non si dovrebbero mai compiere perché inutili: la neve si scioglie, le noci mature cadono da sole e le persone son destinate a morire.

 

robà vb. trans. (ròbo; robèo; robòu) rubare. Robà léñe, fién, patàte rubare legna, fieno, patate; robà sul péśo imbrogliare nella pesatura delle merci; robà l mestiér imparare il mestiere astutamente carpendolo in tutte le sfumature, cioè anche i segreti che l'artigiano geloso teneva per sè. Tale detto calza alla perfezione su chi lavorando presso qualcuno, dopo aver imparato per bene il mestiere, si mette in proprio; robà l pan ke se màña detto del lavoratore che non svolge correttamente il proprio lavoro; prov. a robà póko se va n preśón, a robà n grùmo se čàpa na madàia chi ruba poco va in prigione, chi ruba molto viene premiato. Nel gergo giovanile si usava dire fèi la fòia ài póme o ad altra frutta, indicando con ciò la ruberia negli orti o frutteti.

 

robàta sf. (pl. robàte) robaccia, fig. poco di buono, essere intrattabile. Ma kè élo sta robàta? ma che cos'è questa robaccia?; te ses pròpio na robàta sei davvero un poco di buono, un mascalzone, un attaccabrighe.

 

ròča, ròka sf. (pl. ròče) rocca per filare. È l'attrezzo utilizzato per filare a mano, formato da una cannuccia attorno alla cui cima ingrossata si avvolge la massa di ciò che si vuole filare. Veniva anche posta in verticale sull'arcolaio e serviva per metterci la lana da filare. Okóre refèi la ròča parkè se a spakòu dóe pónte bisogna rifare la rocca perché si sono spaccate due punte (v. fùs).

 

ròča sf. (pl. ròče) roccia, fig. ostacolo insormontabile. L a kredù de fèi kel ke l volèa ma la čatòu ròča credeva di poter imporre la sua forza o la sua volontà ma qualcuno lo ha bloccato; su n Čaréido e póke piànte parkè e dùto ròča su a Čaréido ci sono poche piante, perché il terreno è roccioso.

 

ročàda sf. (pl. ročàde) quantità di lana o di canapa che si può mettere sulla rocca. Te as parečòu na ročàda màsa grànda hai preparato una quantità esagerata di lana.

 

ròda sf. (pl. ròde) ruota. La ròda del čar, del molìn la ruota del carro, del mulino; ónde le ròde del čar ungere le ruote del carro perché cigolano, ma in senso figurato anche, corrompere qualcuno.

 

rodèla  sf. (pl. rodèle) rotella, puleggia. Loc. avé na rodèla fòra de pósto avere una rotella fuori posto, essere stravagante.

 

rodèla  sf. (pl. rodèle) fascia d'erba falciata e spanta per meglio essiccarla. Le rodèle sono costituite dall'erba disposta a lunghe strisce che si raccoglie da una serie di andèi, del prato falciato. Ñànte de mañà don a voltà la rodèla prima di mangiare andiamo a rivoltare l'erba perché secchi da ambo le parti (v. andèi, rodolà, voltà).

 

rodéna sf. (pl. rodéne) lunga fila. D'invérno na òta i strasinèa dó pa l paés rodéne de tàe una volta, d'inverno, quando il terreno era coperto di neve, con i cavalli trascinavano una sfilza di tronchi lungo il paese fino al posto di raccolta che era in piazza; rodéna de lugànege treccia di salsicce.

 

rododéndro sm. (pl. rododéndre) rododendro (bot. due tipi principali Rhododendrum ferrugineum, molto profumato, vive in terreno organico poco calcareo, Rhododendrum hirsutum poco profumato vive su pietraie calcaree). Èi portòu n žimitèro dói rododéndre de mónte ho portato in cimitero dei rododendri di montagna.

 

ròdol sm. (pl. ròdoi) rotolo. N ròdol de fìlo de fèr un rotolo di filo di ferro; n ròdol de fién fieno arrotolato col rastrello sul prato per essere raccolto e quindi portato nel fienile; di a ròdoi scivolare rotolando lungo un pendio, fig. andare incontro a gravi problemi economici.

 

rodolà  vb. trans. (rodoléo; rodolèo; rodolòu) spargere sul prato, col rastrello o con la forca, l'erba appena falciata perché si secchi. L'operazione rodolà poteva avere diversi modi di svolgimento. Dove c'era molta erba, questa veniva sparsa su tutto il terreno falciato. Invece in montagna, dove questa era ovviamente meno abbondante, nello spargere si aveva l'accortezza di stringere le fasce d'erba rispetto al terreno agevolando così le operazioni successive quali l voltà e la “raccolta”. Dove poi vi fossero degli alberi si aveva cura di togliere l'erba dalle zone d'ombra altrimenti non si seccava. Inoltre se il terreno era poco esposto al sole o costantemente umido, si portava l'erba, non senza fatica, ad essiccare su altro prato libero e soleggiato. Di a rodolà andare a spargere l'erba.

 

rodolà  vb. trans. (rodoléo; rodolèo; rodolòu) arrotolare, avvolgere. Il verbo è la radice di un secondo verbo con il significato contrario, deśrodolà svolgere, srotolare. Èi rodolòu dùto l spàgo da skarpéte ke to fiól avèa deśrodolòu ho arrotolato tutto lo spago per skarpéte che tuo figlio aveva svolto (v. deśrodolà).

 

rodolànte sm. (inv.) chi esegue il ròdolo. Il rodolànte esegue il trasporto delle merci provenienti dalla pianura con il carro trainato da buoi di sua proprietà, facendo a turno con altri membri della stessa Regola. Par fèi l rodolànte volèa avé n pèi de bòs per fare il rodolante bisognava essere proprietari di una coppia di buoi (v. ròdolo).

 

rodolarésa sf. (pl. rodolarése) donna che sparge l'erba appena falciata e in generale aiuta anche in tutte le altre operazioni necessarie alla raccolta del fieno. Quando gli appezzamenti erano di notevoli dimensioni, durante il periodo di sfalcio in alta montagna, alcune donne venivano pagate per seguire i falciatori. Il rapporto era di una rodolarésa ogni tre falciatori (detti anche segantìn). Il compito principale di una rodolarésa era quello di spargere l'erba appena falciata, rodolà, ma ovviamente c'erano anche altri lavori come voltà, girare l'erba, fèi i kogolùže, fare i mucchi di fieno la sera, rastrellare e preparare i fas o caricare i lenžuós di fieno. Normalmente rodolà era un lavoro da donna, mentre seà era tipicamente maschile. Se invece gli appezzamenti erano piccoli, come nella maggior parte dei casi, il lavoro veniva svolto dalla famiglia proprietaria o affittuaria, con qualche sporadico aiuto di altre persone. La donna, non di rado, svolgeva tutto il ciclo dei lavori dal seà allo stivamento nel fienile o all'allestimento del morsèl o méda, nonché preparava il mangiare e accudiva i figli; i più grandicelli dei quali, secondo l'età, davano una mano nei lavori. I andèi va a l inkànto la rodolarésa va al mànko detto quando la donna non riesce a seguire pari pari l'opera dei falciatori.

 

Rodolésko, Rin de l sm. (top.) affluente del Rin a nordovest del paese. Gola orrida vicino a Vialóna, dove scorre l'omonimo torrente.

 

ròdolo sm. (solo sing.) turno. Si tratta del turno stabilito secondo precise regole per lo svolgimento di incarichi pubblici, ma è anche il turno di lavoro dei proprietari di buoi, e quello dei pastori al pascolo del bestiame. Di a ròdolo assolvere il proprio turno di lavoro, la propria corvée (v. rodolànte).

 

roènte agg. (inv.) rovente. Detto del ferro da stiro o del ferro arroventato nel fuoco; vàrda ke l fèr e roènte stai attento che il ferro da stiro è molto caldo (v. śbroènte).

 

roès, rovès sm. (inv.) rovescio, contrario. Al dréto e l roès il dritto e il rovescio, detto del lavoro fatto a maglia; al roès de la ğakéta il rovescio della giacca; te fas dùto roès fai tutto alla rovescia (v. redòs).

 

rogažión sf. (inv.) rogazione. Le rogazioni erano preghiere dette in processione che si facevano in primavera, andando pei campi e auspicando la benedizione di Dio sulla semina e sul raccolto. Di a le rogažión partecipare alle processioni intorno alla campagna per propiziare una buona stagione e, soprattutto, un buon raccolto (v. tavèla).

 

ròia sf. (pl. ròe) roggia, gora di mulino. Lungo la roggia corre l'acqua del torrente che viene deviata per far azionare la ruota del mulino o di altre attività che funzionavano con la forza idraulica. Canale per portare l'acqua al mulino o alla segheria. Pénsete de netà la ròia ricordati di pulire la roggia dai sassi (v. čanà, portàž, ruóia).

 

Ròke  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Ròke  sm. (nome) Rocco. La čéśa de San Ròke la chiesa di S. Rocco (v. čéśa).

 

rokèl sm. (pl. rokiéi) rocchetto. Rokèl de filo biànko, négro rocchetto di filo bianco, nero.

 

róko sm. (pl. róke) montone, ariete, (zool. Ovis aries, maschio) persona tozza e robusta. Par kél čàpo de féde fà e vànža n róko per quel gregge di pecore un montone è più che sufficiente, per quella marmaglia un solo capo è quel che basta; fig. èse n róko essere scontroso, avaro, permaloso; pi róko de kośì no se puó èse più scontroso di così non si può essere; róko spañòl molto avaro, scontroso e ostinato.

 

ròkolo sm. (pl. ròkoi) roccolo. Èi čapòu na stràge de bèkostòrte kol ròkolo ho catturato parecchi becco in croce nel roccolo (v. tènde).

 

romìto sm. (pl. romìte) eremita, solitario. Vìve kóme n romìto vivere come un eremita, vivere sempre da solo.

 

rončidà vb. intr. (rončidéo; rončidèo; rončidòu) russare. L a rončidòu dùta la nuóte ha russato per tutta la notte (v. ronžeà).

 

rònčo  sm. (pl. rònče) terreno impervio e poco produttivo. Tóča pagà le prediài ànke par ki kuàtro rònče anche per quei terreni di infimo valore si devono pagare le tasse. Dì su pài rònče salire per greppi e per i dirupi.

 

rònčo  agg. (pl. rònče, f. rònča) intrattabile, permaloso, scontroso. Te sés pròpio n rònčo sei una persona davvero intrattabile.

 

Róndoi, Kròda déi sf. (top.) dirupo roccioso a nordovest del paese. Sopra Dàsa e Vialóna.

 

róndol sm. (pl. róndoi) rondone (zool. Hirundo apus), fig. bimbo rotondo e paffutello, persona prestante. 1. Il rondone si aggrappa ai muri e alle rocce dai quali si lascia cadere ad ali aperte per il volo poiché non può camminare a terra. Oltre alla specie citata ce ne sono altre due; 2. balestruccio - róndol biànko (zool. Delichon urbica) normalmente confuso con la rondine (žìria) (zool. Hirundo rustica) 3. rondone alpino - róndol da krépa (zool. Hirundo melba). Nte sofìta déle skòle èra n grùmo de róndoi mòrte nella soffitta delle scuole c'erano molti rondoni morti; to fiól si ke e n róndol tuo figlio è una persona prestante (v. žìria).

 

ronfà vb. (ronféo; ronfèo; ronfòu) russare. L rónfa ke l fa śgorlà la letiéra russa talmente forte da far vibrare la lettiera.

 

Rònko sm. (top.) costone boscoso, a nord del paese, sopra San Rocco.

 

Rònko Sakàto sm. (top.) località a nord-ovest del paese. Bosco sopra il paese, sulla destra orografica del Rio Rin, dirimpetto alla Manadóira e a Tàmber.

 

Rònkole sf. (top.) località a nord del paese dove sono locati alcuni fienili. Si trova lungo la strada carrozzabile che porta a Pian dei Buoi (strada del Genio).

 

rónpe, rònpese vb. trans. e rifl. (me rónpo; ronpèo; ronpésto) rompere, rompersi. Rónpe i piàte rompere i piatti; ronpése n bràžo rompersi un braccio; no sta ronpéte la tèsta non caricarti la testa di troppe preoccupazioni.

 

ronžeà vb. intr. (ronžeéo; ronžeèo; ronžeòu) russare, dormire facendo rumore. Par kólpa del tò ronžeà, no èi seròu òčo per colpa del tuo russare non mi è riuscito di chiudere occhio (v. rončidà).

 

róña sf. (pl. róñe) rogna, scabbia, fig. briga fastidiosa. Sto ğàto a la róña questo gatto ha la rogna; dùte le róñe le me kàpita a mi tutte le grane capitano a me; prov. se l invìdia fóse róña, dùte se grataràe (rusaràe) l'invidia è un male così comune che, se si potesse trasformare in rogna, si gratterebbero tutti; ki ke a la róña se la gràte ciascuno deve saper affrontare le avversità della vita (v. rùfa).

 

roñàda sf. (pl. roñàde) rene, schiena, parte della schiena dove si trovano i reni. Me fa mal vìa pa la roñàda ho male alle reni.

 

roñón sm. (pl. roñói) rene. A fòrža de laurà me èi ronpésto i roñói il duro lavoro mi ha procurato dolori lombari; èi mal nte i roñói ho male alle reni, mi fa male alla schiena (v. ànče).

 

roñós agg. (pl. roñóśe, f. roñóśa) rognoso, pignolo, brontolone. Kel čan e roñós quel cane ha la rogna, è ringhioso; te ses sènpre l sòlito roñós sei una persona da evitare.

 

rós agg. (pl. róse, f. rósa) rosso. Èi n nàstro rós ho un nastro rosso; avé i čavéi rós avere i capelli rossi; véde rós vedere rosso, arrabbiarsi; prov. nùvol rós da domàn, da da siéra pantàn le nuvole rosse al mattino, promettono pioggia per la sera. Alterati: rosìto, rosìžo, rosùto rossiccio, specie per il colore dei capelli; rosàto rossaccio, detto di chi, oltre ad avere i capelli rossi, è di animo cattivo; mal rosìn peste dei maiali.

 

rośàda sf. (pl. rośàde) pioggerellina estiva di breve durata. Késta rośàda a renfreskòu n tin l ària questa pioggerellina ha rinfrescato un po' l'aria; dón a restelà, ñànte ke véñe do la rośàda andiamo a rastrellare il fieno perché minaccia di piovere; prov. daspò la rośàda, la piovàda no a duràda dopo una pioggerellina, l'acquazzone non dura a lungo. Vèla, vèla la rośàda su la tèsta tóa pelàda ecco, arriva la pioggia che cade sulla testa di un uomo calvo.

 

rosàk-rusàk-rukasàk sm. (inv.) sacco da montagna, zaino. Evidente deformazione del termine tedesco Rucksack, zaino. Tòle su l rosàk e dón a Mónte prendi il sacco in spalla e andiamo a Pian dei Buoi.

 

rośàrio sm. (pl. rośàrie) rosario. Dì su rośàrio recitare il rosario; te sés lòngo kóme l rośàrio non la finisci mai, non sei abbastanza veloce; la Madòna del Rośàrio o l di de Rośàrio la Madonna del Rosario, a Lozzo si festeggia alla prima domenica di ottobre con una solenne processione dopo la mésa grànda e, in forma ancor più solenne, la domenica successiva, l otàva de Rośàrio, con una processione pomeridiana alla quale partecipano anche fedeli dei paesi vicini. Quel giorno ha luogo un grosso mercato lungo le strade del centro e nella piazza vengono disposte numerose bancarelle della fiera; fig. al skùro no se dìs rośàrio al buio due innamorati hanno ben altro da fare che recitare il rosario.

 

ròsčo sm. (pl. ròsče) veratro (bot. Veratrum varie specie album, nigrum, viridis). Vive in prati umidi e nei pascoli di quota. Pianta con radici molto velenose, che a volte vengono confuse con quelle, invece innocue, della genziana gialla usata per aromatizzare la grappa. Il veratro si adoperava per tingere i vestiti di mezzalana, si cuoceva con l'acqua e poi vi si immergevano i tessuti nella tintura. Le pezze si coloravano di un verde pallido, grigio. Vàrda de no śbaliàte a tòle su radìs, ke no te konfónde l anžiàna ko l ròsčo guarda di non sbagliarti a raccogliere radici, rischi di confondere la genziana con il veratro.

 

rośeà vb. trans. (rośéo; rośeèo; rośeòu) rodere, rosicchiare, corrodere, smangiucchiare. Kè rośéesto de bón? cosa stai mangiando di buono?; le tàrme a rośeòu dùte le màe de làna le tarme hanno rosicchiato tutte le maglie di lana; n tin a l òta l se a rośeòu dùto un po' alla volta ha sperperato tutte le sostanze che aveva; fig. al rùdin rośéa ànke l fèr la buona volontà vince qualsiasi ostacolo.

 

rośeàda sf. (pl. rośeàde) morso, rosicatura. Kon dóe rośeàde l se a mañòu dùto l pómo con due morsi si è mangiato tutta la mela.

 

rośegòto sm. (pl. rośegòte) pezzetto. N rośegòto de pan, de formài un pezzetto di pane, un pezzetto di formaggio, più che altro avanzi. Patate tagliate a pezzi e fatte bollire con abbondante quantità di sale. La salatura dei rośegòte evitava di accompagnare le patate con companatico.

 

rośegìn sm. (inv.) bruciore, prurito, languore, fig. senso di invidia o di rivalsa. Èi vu dùto l di n rośegìn su l stómego ho avuto tutto il giorno un leggero bruciore di stomaco; siénto n rośegìn ìnte de mé provo un senso di risentimento, sento una volontà di vendetta dentro di me; èi n rośegìn, mañaràe pròpio n tin de pan e formài ho un languorino, mangerei proprio un po' di pane e formaggio.

 

rosìn sm. (solo sing.) nella loc. mal rosìn peste dei maiali. Me a točòu kopà derèto l kùčo: l avèa čapòu l mal rosìn ho dovuto uccidere immediatamente il maiale: aveva preso il mal rosìn.

 

Róso sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

rośòlio sm. (solo sing.) rosolio, liquore poco alcoolico e molto dolce. Sto pómo e dólže kóme l rośòlio questa mela è dolce come il rosolio, è dolcissima.

 

ròspo sm. (pl. ròspe) rospo, fig. individuo scontroso, avaro, cosa incresciosa. Nkuói ko la fàu èi kopòu n ròspo falciando oggi ho ucciso un rospo; fig. tó bàrba èra n ròspo tuo zio era una persona scontrosa, intollerante, avara; me a točòu mandà dó n ròspo ke no te sèi di ho dovuto tollerare una cosa talmente incresciosa che non ti so dire.

 

ròsta sf. (pl. ròste) briglia, piccola diga di bacino che fornisce l'acqua alla gora del mulino. Antico manufatto di travi di larice, incuneato con arte nella gola del Rio Rin, di altezza variabile, che provocava una piccola cascata che smorzava l'irruenza dell'acqua durante le brentàne, ma soprattutto delle alluvioni. Strutture più minuscole venivano fatte su rivoli o ğàvi per impedire che le precipitazioni torrentizie creassero danni a strade e ai boschi. Dopo l'alluvione del 1966, a cura dei servizi forestali, sono state costruite diverse briglie, lungo il Rio Rin, in cemento e sassi, che garantiscono un regolare deflusso delle acque nei periodi di piena. Nota è la Ròsta de Festòna perché l'acqua del torrente omonimo attraversa a guado la strada militare che sale a Pian dei Buoi, provocando a valle una piccola cascata. La ròsta del gèbo l'inferriata del tombino. Don su da la ròsta a goà andiamo alla ròsta a nuotare.

 

rostì vb. trans. (rostìso; rostìo; rostìu) arrostire. Rostì la kàrne, le lugànege arrostire la carne, le salcicce.

 

rósto sm. (pl. róste) arrosto. Rósto de pìta ko le patàte arrosto di pollo con le patate; bruśà l rósto bruciare l'arrosto.

 

Rosùto sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

rotà vb. intr. (ròto; rotèo; rotòu) ruttare. Te màñe e te ròte kóme n kùčo mangi e rutti come fanno i maiali; te ròte kóme n čavàl rutti rumorosamente come il nitrito di un cavallo.

 

rotàda sf. (pl. rotàde) rutto, ruttata. Na bòna rotàda e la diğestión e dùda un buon rutto e la digestione è cosa fatta.

 

róto agg. (pl. róte, f. róta) rotto, spezzato, fig. sporcaccione, vizioso. Te sés n róto sei un depravato (v. rónpe).

 

ròto sm. (pl. ròte) canto del gallo cedrone. È na beléža sientì i ròte dei ğài grotói kuànke i va n amór è bellissimo sentire il canto del gallo cedrone nella stagione degli amori.

 

ròu sm. (inv) rapa (bot. Brassica rapa). Loc. no èse bón de deskòde n ròu non saper far nulla, neanche sbucciare una rapa, cosa che per definizione risulta essere elementare.

 

roversà, roersà vb. trans. (roverséo; roversèo; roversòu) rovesciare. Roversà àga rovesciare l'acqua; roversà l vestì mettere il vestito a rovescio; dùto se rovèrsa su le me spàle tutto ricade sulle mie spalle.

 

rovèrso-rovès agg. (pl. rovèrse, f. rovèrsa) contrario. Ka va dùto rovèrso qui tutto va a rotoli, tutto va male.

 

ròž agg. (pl. ròže, f. ròža) rozzo, villano, volgare, maleducato, per est. animale vecchio e malandato, fig. avaro. A volte il termine è riferito anche a una donna vecchia e cadente. Okóre vénde sta ròža occorre vendere questa rozza, questa cavalla così malandata. Te sés pròpio na ròža sei proprio una villana.

 

rožéte agg. (solo pl.) piccole catene usate come freno per la luóida. Le catene sono costituite da anelli di forma squadrata e prima di essere montate, vengono attorcigliate agli audìn per fare più attrito e impedire così di scivolare sulla neve o sul ghiaccio (v. ràit, čadéne).

 

ruà vb. intr. (rùo; ruèo; ruòu) arrivare, giungere, finire, fig. capire. Son ruòu a čàśa sono arrivato a casa; kél kùčo no rùa al kuintàl quel maiale, ad occhio, non raggiunge il peso di un quintale; són ruòu a fèi dùto sono riuscito a finire tutto; èi ruòu dùto ho finito tutto; kuàn ke èi ruòu de seà, tórno a čàśa quando ho finito di falciare l'erba, torno a casa; ruà su le čòte arrivare all'improvviso; ruà sul fàto essere presente all'avvenimento; ruà a tìro arrivare a tiro; ió rùo fin ka io capisco questo, di più no, è troppo difficile o non mi va, non posso; no l rùa e no l strópa non arriva e non tappa, detto di ciò che è troppo corto o troppo piccolo per l'uso che se ne vuol fare; fin ka rùo ànke ó queste cose le capisco anch'io; kuàn ke rùo, rùo arrivo non appena mi è possibile, però non ti so dire quando.

 

rùdin sm. (solo sing.) ruggine. Se te vos salvà l portèl okóre tirà vìa l rùdin se vuoi che il cancello duri a lungo devi togliere la ruggine; prov. amór vèčo no fa rùdin l'amore, quello vero, anche se di vecchia data rimane vivo, lucido nella mente, non fa la ruggine.

 

rùdina sf. (pl. rùdine) bruco, ruga, larva di un qualche insetto, fig. uomo esile e pallido. Le patàte e piéne de rùdine le piante di patate sono piene di vermi; tó fiól e na rùdina tuo figlio è di costituzione esile.

 

rudinà, rudinàse vb. trans. o rifl. (rudinéo, me rudinéo; rudinèo; rudinòu) arrugginire. L àga rudinéa l fèr l'acqua fa arrugginire il ferro; l fèr se rudinìse il ferro si arrugginisce (v. rudinì).

 

rudinèi agg. (inv.) pallido, cereo, tarato. È un termine offensivo, spregiativo; te ses n rudinèi sei emaciato, bacato, tarato di famiglia.

 

rudinì, rudinìse vb. intr. o rifl. (rudinìso, me rudinìso; rudinìo; rudinìu) arrugginirsi, fig. intorpidire. I čòde e dùte rudinìde i chiodi si sono arrugginiti tutti; a sta férme se se rudinìse il non far niente fa arrugginire le articolazioni (v. nrudinìse, rudinà).

 

rudinìu, rudinòu agg. (pl. rudinìde, f. rudinìda) arrugginito, fig. pallido come un morto. Kuàn ke l fìlo de fèr e rudinìu, l se rónpe alòlo quando il filo di ferro è arrugginito si rompe subito.

 

rùfa sf. (pl. rùfe) rogna, scabbia. Kel ğàto a la rùfa quel gatto ha la rogna; ki ke no se làva čàpa la rùfa chi non si lava, rischia di prendere la scabbia (v. róña).

 

rufiàn agg. (pl. rufiàne, f. rufiàna) complimentoso, lezioso. L'aggettivo ha valore positivo se riferito a bambini espansivi tó fiól e pròpio n rufiàn tuo figlio è davvero affettuoso, carino, espansivo; èse n rufiàn de le putàne essere una persona che fa mille moine e complimenti evidentemente interessati.

 

rufianà vb. intr. (rufianéo; rufianèo; rufianòu) far moine, fare complimenti per ottenere qualcosa. No sèrve ke te rufianée, tànto no te čàpe nùia è inutile che tu faccia tante moine, tanto non ottieni niente.

 

rùfol sm. (pl. rùfoi) tozzo di pane. E vanžòu n rùfol de pan è avanzato un tozzo di pane; fig. al mè rùfol il mio caro bambino; la mé rùfola la mia cara bambina.

 

rufòu agg. (pl. rufàde, f. rufàda) arruffato. Nkuói no me èi ñànke petenòu e èi i čavéi dùte rufàde oggi non mi sono pettinato e ho i capelli tutti arruffati.

ruìna sf. (pl. ruìne) rovina, disastro, fallimento. Di n ruìna andare in rovina; mandà n ruìna mandare in rovina; ka e dùto na ruìna questa è davvero una rovina, qui è tutto un disastro.

 

ruinà, ruinàse vb. trans. e rifl. (me ruìno, ruinéo; ruinèo; ruinòu) rovinare, danneggiare irreparabilmente, fig. picchiare, rovinarsi, ridursi in miseria. La tanpèsta a ruinòu le patàte la tempesta ha danneggiato in modo irreparabile le piante di patate; al mùro e ruinòu il muro presenta delle crepe, è mal ridotto; se no te stas bón, te ruìno se non stai buono, ti picchio; kon nùia, se puó ruinàse basta un nonnulla, una leggerezza per procurarsi una infermità grave.

 

rùkola sf. (solo sing.) rucola, crescione (bot. Diplotaxis tenuifolia). Mañà salàta ko la rùkola mangiare insalata con la rucola.

 

rumià vb. intr. (rumiéo; rumièo; rumiòu) ruminare, brontolare, fig. architettare, ordire qualcosa di losco. La vàča rùmia la mucca rumina; l e sènpre la ke l rùmia non fa che brontolare; kè àsto ke te rùmie? perché brontoli a questo modo?

 

rumión agg. (pl. rumiói, f. rumióna, pl. rumióne) fig. chi borbotta, chi biascica continuamente. Te sés n rumión sei un brontolone.

 

rumolà, rumolàse vb. trans. e rifl. (me rumoléo; rumolèo; rumolòu) muovere, spostare, mettere in disordine, muoversi, spostarsi. Te as rumolòu su dùto hai spostato tutto, hai toccato ogni cosa; no sta rumolà non creare disordine; no me èi rumolòu ñànke n tin non mi sono mosso, non mi sono spostato neanche un po'.

 

ruói sm. (inv.) striscia di terreno inerbata, non coltivata, che separa un campo dall'altro. Portà ruói prendere la terra ai piedi del campo e portarla in cima, l'operazione viene fatta prima di iniziare a zappare, per estensione l ruói era anche il solco che divideva un campo dall'altro; di a ruói andare a fare l'amore all'aperto, oppure, quando ci si riferisce ad un veicolo, sbandare e uscire di strada.

 

ruóia sf. (pl. ruóie) roggia. Canale per portare l'acqua al mulino o alla segheria.

Pénsete de netà la ruóia ricordati di pulire la roggia dai sassi (v. čanà, ròia).

 

ruóiba  sf. (pl. ruóibe) smottamento del terreno. Di de ruóiba minaccia di uno smottamento; ka, se no te béte dó dói pežuós, va dùto n ruóiba qui se non pianti alcuni abeti, frana tutto.

 

Ruóiba  sf. (top.) località ad est di Lozzo, dove il monte è franato. Vicino alla Ruóiba ancora oggi si possono vedere i segni dell'antica strada che da Lozzo portava ad Auronzo e poi proseguiva per il Comelico (v. Čùśa).

 

ruóśa sf. (pl. ruóśe) rosa, il fiore (bot. Rosa, varie specie). Il nome è usato sia per le specie da giardino (bot. Rosa moschata/odorata) sia per la rosa selvatica detta ruóśa màta/salvàrega (bot. Rosa canina). Portà dóe ruóśe a la Madòna portare alcune rose davanti alla statua della Madonna; biànko e rós kóme na ruóśa bianco e rosso come una rosa, chi ha il colorito della salute.

 

ruośèr sm. (inv.) rosaio, la pianta (bot. Rosa, varie specie). Il nome è usato solo per la pianta coltivata, l'arbusto selvatico ha il nome del fiore ruóśa màta, ruóśa salvàrega. Béte do n ruośèr trapiantare un rosaio.

 

rusà  vb. trans. (rùso; rusèo; rusòu) raschiare, russare Rusà via l spórko raschiare la sporcizia.

 

rusà  vb. intr. (rùso; rusèo; rusòu) frenare coi piedi. Kuàn ke dón dó pa la rìva, vàrda de rusà pì ke te puós quando arriviamo al pendio ripido, frena coi piedi, più che puoi; par rusà polìto, okóre le skarpe da fèr per frenare bene la slitta, ci vogliono scarpe munite di appositi chiodi (v. feréto, ğažìn).

 

rusàse vb. rifl. (me rùso; rusèo; rusòu) grattarsi, sfregarsi. Kè àsto ke te te rùse? perché ti stai grattando?; fig. me la son rusàda l'ho perduta stupidamente; i me l a rusàda me l'hanno portata via con l'inganno; rusàsela su pa i komedói perdere qualcosa che si poteva trattenere co un po' più di attenzione, lasciarsi imbrogliare.

 

rusàda sf. (pl. rusàde) grattata, frenata, fig. fregatura. Késta e na rusàda de lùso questa è una frenata potente; èi čapòu na bèla rusàda ho preso una bella fregatura.

 

ruskà vb. intr. (rùsko; ruskèo; ruskòu) lavorare con tutte le forze. L a ruskòu dùta la so vita ha lavorato duramente tutta la vita; a ti no te piàśe ruskà a te non piace lavorare, eh (v. strusià).

 

rùsko sm. (inv.) lavoro. Dón a rùsko andiamo al lavoro (v. strùsio).

rùspio agg. (pl. rùspie, f. rùspia) ruvido, scabro, squamoso. Bréa rùspia asse scabra, non piallata; màn, pèl rùspia mano, pelle ruvida; parkè sésto kosì rùspio? perché sei sempre così intrattabile?

 

rùstego agg. (pl. rùstege, f. rùstega) zoticone, scontroso. Te as maridòu n òn pròpio rùstego hai sposato un uomo proprio intrattabile.

 

rùta sf. (solo sing.) ruta (bot. Ruta graveolens). Èi tólesto su n tin de rùta par béte nte la sñàpa ho preso un po' di ruta da mettere sotto grappa.

 

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)