Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore
dalle note del prof. Elio del Favero - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale
prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini
Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario, è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.
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ğakéta sf. (pl. ğakéte) giacca da uomo, bolerino da donna nel costume tradizionale. Tirà su la ğakéta indossare la giacca; tiràse fòra la ğakéta levarsi la giacca; la nòna a na bèla ğakéta de velùdo la nonna ha un bel bolerino di velluto; fig. voltà o kanbià ğakéta cambiare opinione.
ğaketón sm. (pl. ğaketói) giaccone. Indumento da indossare d'inverno per ripararsi meglio dal freddo; tìrete su l ğaketón se te vós sta čàudo mettiti il giaccone se vuoi star caldo.
Ğàko sm. (nome) ipoc. di Giacomo. Fig. avé le ğànbe e i denóğe ke fa ğàko avere le gambe e le ginocchia che tremano; prov. da San Ğàko l paiàn nte sàko per il giorno di San Giacomo, il 28 novembre, il grano deve essere tutto raccolto.
ğàl sm. (pl. ğài) gallo. Èi kopòu l ğàl e l èi rostìu ho ucciso il gallo e l'ho arrostito; te sés kóme l ğàl tra le pìte vuoi comandare sempre tu; prov. òñi dì čànta l ğàl con lo stesso significato di òñi dì vién dì il gallo canta ogni giorno, ci sono cose che si ripetono sempre e non si possono cambiare; prov. kuàn ke l ğàl dóvin čànta, kél vèčo a čantòu il tempo passa e i vecchi sono costretti a lasciar posto ai giovani.
ğàl foržèl sm. (pl. ğài foržiéi) gallo forcello (zool. Lyrurus tetrix). Ki ke čàpa n foržèl sé béte la kóda su l čapèl chi cattura un gallo forcello ne mette la coda sul cappello. Secondo la tradizione un buon cacciatore si ornava il cappello con la coda variopinta del gallo che aveva ucciso a caccia (v. lauriòto, o uriòto).
ğàl grotón sm. (pl. ğài grotói) gallo cedrone, urogallo (zool. Tetrao urogallus). Bàrba Mariàno e dù a kàža e l a čapòu n bel ğàl grotón lo zio Mariano è andato a caccia e ha ucciso un bel esemplare di gallo cedrone (v. pìta grotóna).
ğalésko agg. (inv.) aggressivo, ostinato. Loc. čantà n ğalésko detto della gallina che non fa più uova e si mette a cantare come un gallo; fig. te sés n ğalésko sei aggressivo e ostinato.
Ğàna sf. (nome) soprannome di famiglia.
ğànba sf. (pl. ğànbe) gamba, gambo, picciolo, cespo, pianta. Vàrda ke ğànbe stòrte guarda che gambe storte; dàme na ğànba de salàta dammi un cespo di insalata; stan al sórgo e kresù sólo n ğànba quest'anno il granoturco è cresciuto solo nel fusto, ha fatto cioè pochi frutti e molte foglie; le ğànbe déi faśuói, del sórgo le piante dei fagioli, del mais; avé mal de ğànbe aver male alle gambe; fig. levà ko la ğànba śbaliàda svegliarsi di cattivo umore; la salàta e dùda dùta n ğànba l'insalata è cresciuta solo nel gambo; èse śvèlta de ğànba cammina in fretta; čapà sóte ğànba prendere le cose alla leggera.
ğanbàl sm. (pl. ğanbài) gamba. Il termine ğanbàl viene adoperato solo in senso scherzoso. L a n bèl pèi de ğanbài ha un bel paio di gambe, è agile; se te savése ke ğanbài ke l a se sapessi come cammina veloce (v. ğarléto).
ğanbarèla sf. (pl. ğanbarèle) sgambetto, inganno. Se te i fas la ğanbarèla, te lo fas tomà se gli fai lo sgambetto, lo fai cadere; al me a fàto la ğanbarèla mi ha ingannato.
ğànbo sf. (pl. ğànbe) gambo. Làsa là kél fóngo, no te véde ke l a dùto l ğànbo màržo non raccogliere quel fungo, non vedi che ha il gambo marcio.
ğànbuléta sf. (pl. ğànbuléte) capriola. Kuàn ke l e nte l liéto, l fa sènpre ğànbuléte quando è a letto fa sempre capriole.
ğandàrmo sm. (pl. ğandàrme) gendarme, carabiniere, fig. persona autoritaria. Àsto vedù i ğandàrme? hai visto i carabinieri?; to màre e sènpre stàda n ğandàrmo kon veàutre fiói tua madre è sempre stata autoritaria con voi figli.
ğanğài sm. (inv.) confusione. Termine onomatopeico usato solo nella loc. daspò kéla deśgràžia a Lóže e dùto n ğanğài dopo la disgrazia che è capitata, a Lozzo è tutto un chiacchierare.
Ğàni sm. (nome) ipoc. di Giovanni o Gianni.
ğanìa sf. (pl. ğanìe) gentaglia. Ke brùta ğanìa che brutta gentaglia; fig. ke ğanìa de n tośàto che piccola peste quel ragazzino.
ğàra sf. (pl. ğàre) ghiaia. Bìča n tìn de ğàra davànte la pòrta de stàla spargi un po' di ghiaia davanti alla porta della stalla; fèi skèi kóme ğàra arricchirsi molto e in poco tempo.
ğardenì sm. (inv.) cardine. Si tratta del palo di legno che veniva usato come cardine sulle porte dei fienili e dei cancelli. La pòrta de tabià e tomàda dó e la se a spakòu, parkè l ğardenì èra dùto karolòu la porta del fienile è caduta e si è rotta perché il cardine era tarlato.
ğarìn sm. (inv.) ghiaia minuta. Il ğarìn si spargeva sulle strade ghiacciate per evitare di scivolare, oggi alla ghiaia viene aggiunto del sale per facilitare lo scioglimento della neve. Són śbrisòu sul ğarìn e me son róto na konóğa sono scivolato sulla ghiaia e mi sono rotto un polso.
ğarìna sf. (pl. ğarìne) piccola pietra, pietruzza. Èi na ğarìna nte l skarpón ho un sassolino nello scarpone.
ğarléto sm. (pl. ğarléte) gamba, zampa. Okoraràe avé i ğarléte kóme i kauré bisognerebbe avere le gambe agili come i capretti; muóve ki ğarléte sbrigati, muoviti un po' più in fretta; fig. tirà i ğarléte morire.
ğarón sm. (pl. ğarói) ghiaione. La vedèla no puó èse pasàda par kél ğarón, žerkónla da n àutra parte la vitella non può esser passata per quel ghiaione, cerchiamola da un'altra parte; sta vàra e dùto n ğarón questo prato è tutto un ghiaione e non si riesce a falciare.
ğàśona sf. (pl. ğàśone) mirtillo (bot. Vaccinus myrtillus). Nkuói són dù a ğàśone e èi čatòu na séğa kólmena oggi sono andato in cerca di mirtilli e ne ho raccolto un secchio pieno; la màre béte sènpre dóe ğàśone sóte sñàpa la mamma mette sempre i mirtilli sotto grappa. D'inverno, quando si ritornava a casa dal lavoro tutti infreddoliti, se ne beveva sempre un bicchierino; l a i òče négre kóme le ğàśone ha gli occhi neri come mirtilli.
ğaśonèi sm. (inv.) cespuglio di mirtilli (bot. Vaccinus myrtillus). Vàrda kuànte ğaśonèi guarda quanti cespugli di mirtilli.
ğastelìn sm. (inv.) mirtillo rosso (bot. Rubus saxatilis). Pianticella simile al mirtillo nero, che produce frutti rossi, grandi come granelli di pepe, aciduli e perciò dissetanti; se te as séide, màñete dói ğastelìn se hai sete mangia dei mirtilli rossi.
Ğastelìn sm. (top.) montagna a nordest di Lozzo (v. Častelìn).
Ğàta sf. (nome) soprannome di famiglia.
ğàta sf. (pl. ğàte) gatta.
ğàto sm. (pl. ğàte) gatto. Al mè ğàto čàpa òñi dì na sorìža il mio gatto ogni giorno cattura un topo; dugà a ğàta òrba giocare a mosca cieca; loc. fiól de na ğàta òrba chi non vede materialmente a un palmo dal naso; prov. de nuóte dùte i ğàte e grìs se non c'è chiarezza nelle cose, è facile dare giudizi sbagliati; dim. ğatolìn; vezz. ğatùto; accr. ğatón; dispr. ğatàto.
ğatonà vb. trans. (ğatonéo; ğatonèo; ğatonòu) graffiare. Vàrda ke kél ğàto ğatonéa stai attento perché quel gatto graffia; béte le manéže a kel pùpo, se nò l se ğatonéa metti i guantini a quel piccolo, altrimenti si graffia da solo (v. strionà).
ğatonàda sf. (pl. ğatonàde) graffio, graffiata. Son pién de ğatonàde sono pieno di graffi.
ğavà vb. trans. (ğàvo; ğavèo; ğavòu) cavare, togliere, levare, raccogliere. Don a ğavà patàte andiamo a raccogliere patate; ğàva kéla màn leva quella mano; fig. ğavà do la pèl dal mùśo comportarsi da strozzini; ğavà fòra estorcere, cavare fuori, far parlare; ka no se ğàva fòra n skèo qui non si ricava neppure una lira; se ti ğàve fòra na paròla, te ses brào se riesci a cavargli una parola di bocca, sei bravo; fig. ğavà refùdo avere soddisfazione.
ğavàse vb. rifl. (me ğàvo; ğavèo; ğavòu) cavarsi, togliersi. Me son ğavòu n maselà mi sono fatto togliere un molare; ğàvete fòra se no te vos avé brìge stai da parte, se non vuoi aver noie; no son pì bón de ğavàme fòra i pès non sono più capace di tirarmi fuori, di liberarmi, di sbrogliarmi; ğavàse via andarsene.
ğaviòn sm. (solo sing.) erba d'alta montagna dura e difficile da falciare. Par seà sto ğaviòn, èi dovésto gužà la fàu n bar de òte per falciare quella poca erba, ho dovuto affilare la falce diverse volte (v. èrba stalì).
ğàvo sm. (pl. ğàve) canalone, impluvio, valle incisa da un torrente lungo un costone montuoso. Tòle su la barìža e va dó nte ğàvo a ğenpìla de àga prendi la botticella e vai giù nel ğàvo a riempirla d'acqua; acc. ğavón (v. ğòu).
Ğavón sm. (top.) canalone a nordest di Lozzo, sul versante che da Čanpeviéi scende ad Auronzo - Villapiccola. È un ğòu che veniva sfruttato per calare a valle il legname di Čanpeviéi verso l'Ansiei. La parte a monte si trova nel territorio di Lozzo, la parte a valle in quello di Auronzo.
ğàža sf. (pl. ğàže) ghiaccio. Le stràde e piéne de ğàža le strade sono coperte di ghiaccio; kóme éle le ğàže su pa la Pòrta? come sono le strade in località la Porta?
ğažà vb. trans. (ğàžo; ğažèo; ğažòu) gelare, ghiacciare. Se no l nevéa pì, domàn sararà dùto ğažòu se non nevica più, domani sarà tutto gelato.
ğažàda sf. (pl. ğažàde) gelata, ghiacciata. Ei čapòu na ğažàda móstra mi sono preso una terribile infreddatura.
ğažàse vb. rifl. (me ğàžo; ğažèo; ğažòu) gelarsi, ghiacciarsi. Me son ğažòu dùto mi sono gelato completamente; se se ğàža le stràde, se va a rìsčo de śbrìsà se le strade si ghiacciano, si rischia di scivolare; ğažàse l sàngo rabbrividire.
ğažèra sf. (pl. ğažère) ghiacciaia, ambiente molto freddo. Sta kànbra e na ğažèra questa camera è molto fredda; siénte ke ğažère senti quanto freddo fa.
ğažìn sm. (inv.) chiodo appuntito. Di solito si applicavano due chiodi sui tacchi delle scarpe o quattro sugli zoccoli, le dàlmede, due sul tacco e due in punta, per non scivolare sul ghiaccio. Ka, se no se a i ğažìn, se śbrìsa qui se non ci sono i ğažìn sotto le scarpe, si scivola; su pa sta pàla okoraràe i ğažìn per camminare su questo prato ripido, bisognerebbe avere i ğažìn (v. ferète).
ğažìn sm. (inv.) gracchio alpino.
Ğažìn3 sm. (nome) soprannome di famiglia.
ğažón sm. (pl. ğažói) vasta distesa coperta di ghiaccio. Késto no e pì n čànpo, ma n ğažón questo non è più un campo, ma è diventata una distesa di ghiaccio.
ğažòu agg. (pl. ğažàde, f. ğažàda) gelato, freddo. Són ruòu dùto ğažòu sono arrivato completamente gelato; loc. ğažòu nperìu oppure ğažàda nperìda gelato impietrito; fig. e ğažòu l kòrvo n žìma l pežuó si è gelato il corvo in cima all'abete, detto ironicamente a chi si lamenta di un freddo eccessivo che in realtà non c'è (v. nperòu).
Ğè, Ğèo sm. (nome) ipoc. di Giosuè.
ğèi sm. (solo sing.) terreno a campi presso l'abitato. Termine che deriva con probabilità dal longobardo “Gayum”; si tratta della campagna che si trovava vicino al paese e che veniva delimitata con steccati, muretti o siepi che servivano per proteggere le coltivazioni. Ogni paese aveva il suo ğèi. Stan nte ğèi e veñésto su n grùmo de faśuói quest'anno nel campo i fagioli sono stati abbondanti.
ğèi sm. (solo sing.) rancore, odio. L a n ğèi kon te ce l'ha con te.
Ğèi3 sm. (top.) località e borgata di Lozzo.
ğèida sf. (pl. ğèide) grembo, grembiulata. Èi la ğèida piéna de patàte ho il grembiule pieno di patate; no sta dài pì de na ğèida de fién a la vàča non dare più di una grembiulata di fieno alla vacca; tòle su nte ğèida raccogliere da terra e trasportare qualcosa servendosi del grembiule; dormì nte ğèida de so màre dormire tra le braccia della propria madre; l a tolésto su l tùto e la se lo a portòu a čàśa nte ğèida ha preso il suo piccolo e l'ha tenuto in grembo portandolo a casa.
ğelatiéra sf. (pl. ğelatiére) giarrettiera. Al dì de nkuói le tóśe no dòra pì le leànde par teñìse su le čàuže, ma le ğelatiére al giorno d'oggi le ragazze non adoperano più i legacci per sostenere le calze, ma le giarrettiere.
ğelós agg. (pl. ğelóśe, f. ğelóśa) geloso. L e ğelós dei sò atréže è geloso dei suoi attrezzi.
ğèmo sm. (pl. ğème) gomitolo. N ğèmo de làna un gomitolo di lana; n ğèmo de spàgo o de fìlo da pontidà un gomitolo di filo per cucire le solette delle pantofole; no son bón de čatà l kàvo de sto ğèmo non sono capace di trovare il capo di questo gomitolo.
ğenàro sm. (solo sing.) gennaio. Nelle locuzioni si trova più spesso denèi. Sant'Antòne de denèi Sant'Antonio di gennaio (17 gennaio), cioè S. Antonio abate, protettore degli animali, santo un tempo molto venerato; prov. se a ğenàro ğóža, strénde la bóča cioè se la neve si scioglie a gennaio preparati a fare un magro raccolto.
ğèndis sm. (inv.) pidocchio. Àsto vardòu kuànte ğèndis ke l a su l čòu? hai visto quanti pidocchi ha sulla testa? (v. lèndis).
Ğènio sm. (nome) ipoc. di Eugenio.
ğenpì vb. trans. (ğénpo; ğenpìo; ğenpìu, ğenpù) riempire. Ğénpe l sàko de segadìžo e de bauśìe pa nvidà l fuóu riempi il sacco di segatura e di trucioli per accender il fuoco.
ğerànio sm. (pl. ğerànie) geranio. I tò ğerànie e un pì bèl de kelàutro i tuoi gerani sono uno più bello dell'altro; ğerànio salvàrego (pl. ğerànie salvàrege).
ğéśia (raro) sf. (pl. ğéśie) chiesa (v. čéśa).
ğèso sm. (pl. ğèse) gesso, gessetto da lavagna. Kuàn ke l skrìve kol ğèso, me vién la pèl de pìta quando scrive con il gessetto mi fa venire la pelle d'oca.
Ğìğa, Ğìğéta, Ğiğùta sf. (nome) ipoc. di Luigia.
ğìği sm. (inv.) piagnucolone, frignone. No sta fèi l ğìği! non fare il piagnucolone.
Ğìğo, Ğìğéto, Ğiğùto sm. (nome) ipoc. di Luigi.
ğìğo agg. partitivo (inv.) un poco. Dàme n ğìğo de formài dammi una fettina di formaggio; bàsta n ğìğo de tènpo basta solo un po' di tempo, bastano pochi minuti.
ğilè sm. (inv.) gilè, panciotto, corpetto da donna nel costume tradizionale. Àsto vedù ke bèl ğilè ke a la nòna? hai visto che bel corpetto ha indossato la nonna?; al pàre tién i skèi nte l skarselìn del ğilè mio padre porta gli spiccioli nel taschino del gilè.
ğìra sf. (pl. ğìre) ghiro (zool. Glis glis). Sta nuóte la ğìra a mañòu dùto l formài stanotte il ghiro ha mangiato tutto il formaggio. Il ghiro si trova comunemente nei fienili di montagna; di solito si nutre di nocciole e di bacche.
ğirà vb. trans. (ğìro; ğirèo; ğiròu) girare, andare in giro, fig. emigrare. Ğìra kéla ròda fai girare quella ruota; to nòno a ğiròu dùto l móndo tuo nonno è emigrato in diversi paesi; finìsela de ğiràte smettila di muoverti.
ğirabakìn sm. (inv.) chiave a manovella per bulloni. Il trapano a mano è detto mànega. L a tiròu kosì dùro fin ke l a ronpésto l ğirabakìn ha sforzato tanto fino a rompere la chiave per i bulloni.
ğìro sm. (pl. ğìre) giro. Nkóra n ğìro e pò tornón a čàśa ancora due passi e poi ritorniamo a casa; parkè me ménesto sènpre n ğìro? perché mi prendi sempre in giro? i to fiói e dùto l dì n ğìro i tuoi figli sono tutto il giorno a spasso, perdono tempo; kontà n ğìro le ròbe de kiàutre divulgare i fatti altrui.
ğirondolà vb. intr. (ğirondoléo; ğirondolèo; ğirondolòu) gironzolare, vagabondare. Àsto finìu de ğirondolà? l'hai finita di vagabondare?
Ğoakìn sm. (nome) ipoc. di Gioacchino. Il nome stava anche ad indicare una persona povera di spirito; te ses pròpio n puóro Ğoakìn! sei davvero senza spirito, sei un povero scemo!
Ğoàna sf. (nome) Giovanna.
Ğoàni sm. (nome) Giovanni.
Ğoanùta, Ğuanùta sf. (nome) ipoc. di Giovanna.
ğòba sf. (pl. ğòbe) lavoro, impiego, fig. buona fortuna. Si tratta probabilmente di un inglesismo importato dagli emigranti; ei čatòu na bòna ğòba ho trovato un buon lavoro; te as vu pròpio na bèla ğòba hai avuto davvero una bella fortuna.
ğolà vb. intr. (ğólo; ğolèo; ğolòu) volare. Kuàn ke i a sentù l rumór, dùte i aužièi e ğolàde via quando hanno sentito rumore, tutti gli uccelli sono volati via; adès me par de ğolà ora mi pare di volare, non mi sembra vero.
ğolàda sf. (pl. ğolàde) volo. Àsto vedésto ke ğolàda ke se a fàto kél žavàtol? hai visto che volo ha fatto quel fringuello?
ğolatà vb. intr. (ğolatéo; ğolatèo; ğolatòu) tentare di volare, volare in modo maldestro. Le perùžole a skominžiòu a ğolatà fòra de kóa le cinciallegre hanno cominciato a volare fuori dal nido.
Ğòna sm. (solo sing.) Giona, fig. dormiglione. Come si legge sulla Bibbia, il profeta Giona dormì per tre giorni di seguito nel corpo di una balena; desédete, Ğòna! svegliati, dormiglione!
ğornàl sm. (pl. ğornài) giornale. Dàme i očài ke èi da liéde l ğornàl passami gli occhiali, devo leggere il giornale.
ğòu sm. (inv.) valle lunga e stretta incisa da un torrente lungo le ripide coste della montagna, impluvio. Nte i ğòu se pàra dó le tae nei ğòu si avvallano i tronchi abbattuti. Sono numerosi in territorio di Lozzo i toponimi che hanno come prefisso il termine ğòu, ne elenchiamo alcuni: Ğòu Sàuto de l Čavàl, Ğòu Gran, Ğòu de Sparaviér, Ğòu Skùro, Ğòu de le Tàpe, Ğòu de la Pòrta, Ğòu de le Žòte, Ğòu de la Petorìna, Ğòu Pònte de Bernardìn, Ğòu Foržèla Bàsa, Ğòu Palù skùro, Ğòu de le Mòle, Ğòu de Patèrna, Ğòu Kóda Možìna, Ğòu Pian de le Àste, Ğòu Fontànabòna, Ğòu dei Penìže, Ğòu Maèstro, Ğòu de Valsàlega (v. ğàvo).
Ğòuda sf. (top.) borgata di Lozzo (v. borgàta).
ğovà vb. intr. (ğóvo; ğovèo; ğovòu) giovare, essere utile e vantaggioso. Fin ke puói, i ğóvo, daspò sararà kel ke Dio volarà finché posso lo aiuterò, poi sarà quello che Dio vorrà; sta medeśìna no me a ğovòu nùia questa medicina non mi ha recato alcun beneficio; a ğovòu dì da l dotór è stato utile andare dal medico.
ğóž sm. (inv.) goccio. Dàme n ğóž de sñàpa ke me tìre su ntìn dammi un po' di grappa così mi consolo un po'; dim. ğožùto goccetto.
ğóža sf. (pl. ğóže) goccia. Dàme na ğóža de l tò vin dammi un po' del tuo vino.
ğožà vb. intr. (ğoža; ğožèa; ğožòu) gocciolare. A ğožòu dùta la nuóte è gocciolato per tutta la notte (v. gožà, gožolà).
ğóžola sf. (pl. ğóžole) mensola di legno. Questo tipo di mensola veniva applicata alle pareti per sostenere oggetti di poco peso; npìža la kandéla e bétela su la ğóžola accendi la candela e mettila sulla mensola.
Ğuàna, Ğuanìna, Ğuanùta sf. (nome) ipoc. di Giovanna.
Ğuàni, Ğuanìn, Ğuanùto sm. (nome) ipoc. di Giovanni (v. Nàni).
ğudèo sm. (pl. ğudèi) traditore. No sta fidàte de ki là, i e dùte ğudèi non fidarti di quelli, sono tutti dei traditori; ğudèo de n ğudèo detto a una persona che sputa in faccia.
ğudìžio sm. (pl. ğudìžie) giudizio, parere, senno. Al tò ğudìžio e śbaliòu il tuo parere è sbagliato; okóre n tìn pì de ğudìžio ci vuole un po' di giudizio in più, un po' di buon senso in più; i dènte del ğudìžio i denti del giudizio; e ora ke te fàže ğudìžio è ora che tu metta la testa a posto; loc. avé pì fortùna ke ğudìžio essere più fortunati che giudiziosi.
ğùğola sf. (pl. ğùğole) pasticca, caramella. Se son bón, l nòno me dà sènpre kàlke ğùğola se mi comporto bene, il nonno mi regala sempre qualche caramellina.
ğuğolàse vb. rifl. (me ğuğoléo; ğuğolèo; ğuğolòu) trastullarsi. Tu te te ğuğolée sènpre ti diverti sempre, sprechi il tuo tempo in faccende futili.
ğurà vb. trans. (ğùro; ğurèo; ğuròu) giurare. Kél là ğùra sènpre, ma l e n nbroión quello giura sempre, ma imbroglia; ki ke ğùra l fàlso, muóre chi giura il falso muore, espressione di minaccia per intimorire e indurre a non giurare il falso.
ğùsta cong. dal momento che. Loc. ğùsta ke ... dal momento che, poiché; ğùsta ke te vas n piàža, tòleme na skàtola de furminànte dato che vai in piazza, comperami una scatola di fiammiferi.
ğustà vb. trans. (ğùsto; ğustèo; ğustòu) aggiustare, sistemare. Ğùsteme n tìn kél skài aggiustami un po' quello sgabello; l tènpo ğùsta dùto il tempo sistema ogni cosa.
ğustàse vb. rifl. (me ğùsto; ğustèo; ğustòu) aggiustarsi, sistemare i conti. Ñànte kónpro la ròba, e daspò me ğùsto prima faccio gli acquisti, e poi contratto sul prezzo; l tènpo se ğùsta il tempo si rimette al bello.
Ğustìn sm. (nome) ipoc. di Giustino.
ğustìžia sf. (solo sing.) giustizia. A sto móndo no e pì ğustìžia a questo mondo non c'è più giustizia; fenì n màn de la ğustìžia finire davanti al giudice.
ğùsto agg. (pl. ğùste, f. ğùsta) giusto, esatto. Okóre èse ğùsto par dì n paradìs bisogna comportarsi con rettitudine per andare in paradiso; vàrda ke l péso sée ğùsto sta attento che il peso sia quello giusto; prov. kàlke òta ñànke l ğùsto ğùsta a volte neppure chi è nel giusto riesce a far valere la propria opinione.
eof (ddm 02-2009)