Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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žakarón agg. (pl. žakarói, f. žakaróna, pl. žakaróne) pasticcione. Te ses pròpio n žakarón sei proprio un pasticcione.

 

žal sm. (solo sing.) acciaio e per similitudine duro come l'acciaio. L néve ke vién ñànte Nadàl l e dùro kóme la žal; la neve che cade prima di Natale ghiaccia e diventa dura (proprio come l'acciaio).

 

žalà vb. (žaléo; žalèo; žalòu) acciaiare;

cioè riportare a caldo un pezzo di acciaio sull'ascia consumata. Fèi žalà la manèra ke la e màsa dólže porta dal fabbro l'accetta affinché saldi a fuoco un nuovo pezzo di acciaio.

 

žalìn sm. (inv.) acciarino. Si tratta di uno strumento costituito da un piccolo cerchio di acciaio fatto a mo' di impugnatura con il manico. Lo strumento, adoperato per affilare le lame dei coltelli e delle forbici, viene anche strofinato sulla pietra focaia pèra da stéle (quarzite). Ió no son bon de dorà l žalìn non sono capace di adoperare l'acciarino (v. ažalìn).

 

žanbaión agg. (pl. žanbaiói, f. žanbaióna, pl. žanbaióne) stordito, intontito, arruffone, distratto. Detto di persona che spesso inciampa camminando o che è maldestro nell'uso degli attrezzi. Ànke se l e gràn, l e sènpre n žanbaión anche se è ormai cresciuto, rimane un intontito.

 

žànča sf. (pl. žànče) mancina, la mano sinistra. Ió no son bon de laurà ko la žànča io non sono capace di lavorare con la mano sinistra; loc. a žànča a sinistra, a mancina; kuàn ke te rùe n krośèra śvòlta a žànča quando arrivi all'incrocio volta a sinistra.

 

žančanèi, žančanèr agg. (pl. žančanèi, f. žančanèra, pl. žančanère) mancino, fig. detto di chi lavora con le mani combinando solo guai. Dùte i me fiói e žančanèi tutti i miei figli sono mancini; mài vìsto n žančanèi kóme te non ho mai visto un tipo pasticcione come te.

 

žànčo agg. (pl. žànče, f. žànča) mancino. Ànke ó son žànčo kóme me fardèl anch'io sono mancino come mio fratello; loc. di a žànča andare a sinistra, procedere a mancina.

 

žànka sf. (pl. žànke) manovella, curvatura del tubo, sifone. Curva di collegamento del tubo di scarico dell'acqua e del caminetto. Ğirà la žànka girare la manovella; netà la žànka pulire la curva del tubo del camino.

 

žànkola sf. (pl. žànkole) attrezzo usato per la produzione del burro. Consisteva in un recipiente a doghe di legno di forma cilindrica dove tramite una apertura veniva messa la panna del latte. Questo recipiente era sostenuto da un albero orizzontale passante per il centro e fissato su due appoggi. Il movimento veniva dato da una manovella posta all'estremità dell'albero. Per esteso il lemma veniva usato per tutti gli arnesi con manovella.

 

žànže sf. (solo pl.) nella loc. teñì n žànže distrarre qualcuno con le chiacchiere, tenere qualcuno sulla corda; téñelo n žànže fin ke neàutre robón i póme cerca di distrarlo con le chiacchiere finché noi gli rubiamo le mele; kuàn ke te vós àlgo, te me tién n žànže quando vuoi qualcosa, mi tieni sulla corda, sai sempre trovare le parole più adatte.

 

žanžonà vb. intr. (žanžonéo, žanžonèo, žanžonòu) amoreggiare, più precisamente avere i primi approcci.

 

žàpa sf. (pl. žàpe) orma d'uomo, impronta di animale.

 

žapà vb. trans. (žàpo; žapèo; žapòu) calpestare, lasciare impronte di piedi. Tènti a no žapà sóra i faśuói sta attento a non calpestare le pianticelle dei fagioli; al me a žapòu sul pè mi ha calpestato il piede; loc. te puós busà añó ke žàpa to màre devi essere talmente riconoscente a tua madre per quanto ha fatto per te da baciare la sua impronta (v. žapaià, žapeà).

 

žapaià vb. trans. (žapaéo; žapaèo; zapaiòu) calpestare, schiacciare. I to tośàte me a žapaiòu dùto l órto i tuoi figli mi hanno calpestato l'orto (v. žapà, žapeà).

 

žapaiàda, žapeàda sf. (pl žapeàde, žapaiàde) traccia, impronta lasciata dal piede o dalla zampa di animale quando si calpesta qualcosa. Àsto vìsto kuànte žapaiàde de ólpe? hai visto quante orme di volpe?

 

žapeà vb. trans. (žapeéo; žapeèo; žapeòu) calpestare, schiacciare. La féda e dùda nte órto, l a mañòu la salàta e la žapeòu dùte le ère la pecora è entrata nell'orto, ha mangiato l'insalata ed ha rovinato le ère calpestandole (v. žapà, žapaià).

 

žapìn sm. (inv.) zappino. Attrezzo munito di un manico di legno e di un becco di ferro ad uncino, adoperato per arpionare, trascinare e rimuovere tronchi d'albero. Tòle su l žapìn e don a strožà prendi lo zappino e andiamo a smuovere i tronchi per trascinarli fino al posto di carico .

 

žapinà vb. intr. (žapinéo; žapinèo; žapinòu) tirare, spostare tronchi adoperando il žapìn. Don a žapinà andiamo a lavorare con lo zappino.

 

žapinàda sf. (pl. žapinàde) colpo di žapìn. Al a dòu dó na žapinàda a kéla tàia ke no l èra pì bón de ğavà l žapìn ha dato un colpo di zappino talmente forte a quel tronco che non era più capace di levarlo.

 

žàpol sm. (pl. žàpoi) piccola pianta di abete o di larice del diametro di circa 12 cm ma per alcuni anche un tronco di 6 metri, sempre con diametro ridotto .

 

žàpola sf. (pl. žàpole) piede di animale, ultima parte della zampa; se l ğàto va nkóra nte le ère, i tàio le žàpole se il gatto va ancora nell'orto, gli taglio le zampe.

 

žàrčo sm. (pl. žàrče) zappetta. Piccola zappa con due denti da un lato che viene adoperata per sarchiare la terra.

 

žariéśa sf. (pl. žariéśe) ciliegia. Stan no èi nkóra mañòu žariéśe quest'anno non ho ancora mangiato le ciliege; l e deventòu ros kóme na žariéśa è arrossito violentemente; prov. na žariéśa tìra l àutra una ciliegia tira l'altra, da cosa nasce cosa, da problema nasce problema.

 

žarieśèr sm. (inv.) legno di ciliegio (bot. Prunus avium). Sta tòla e de žarieśèr questo tavolo è fatto di legno di ciliegio .

 

žarieśèra sf. (pl. žarieśère) pianta del ciliegio (bot. Prunus avium). Le me žarieśère stan le èra čareàde i miei ciliegi quest'anno hanno prodotto una gran quantità di ciliege; nte brólo èi dóe bèle žarieśère nell'orto ho due belle piante di ciliegio; vàrda ke čareàda ke e sta žarieśèra guarda quante ciliegie su questo albero .

 

žarlatàn agg. (pl. žarlatàne, f. žarlatàna) screanzato, maleducato. L e pròpio stòu n žarlatàn kon me si è comportato davvero da screanzato con me.

 

žarlatanàda sf. (pl. žarlatanàde) brutta parte, cattivo comportamento. Késta e na žarlatanàda ke no me desmentearèi pì questa è una cialtronata che non dimenticherò più.

 

žarnéğo sm. (solo sing.) testa, scriminatura dei capelli. Te dào do pal žarnéğo se te respònde mal al nòno ti picchio sulla testa se provi a rispondere male al nonno.

 

žarnì vb. trans. (žarnìso; žarnìo; žarnìu) dividere, separare ciò che è buono da ciò che è cattivo. Žarnì i faśuói da séme scegliere i fagioli destinati alla semina (v. žèrne).

 

žàrnol sm. (pl. žàrnoi) cinghia che unisce la màža alla madèrla del batadói. Se a spakòu l žàrnol del batadói si è rotta la cinghia del correggiato.

 

žàrpa sf. (pl. žàrpe) vinaccia, fig. rimasuglio, ciarpame. Quanto avanza dalla spremitura dell'uva o delle bacche di sambuco per ottenere il vino o la mostàrda. Sta žàrpa e bòna par fèi sñàpa questa vinaccia è adatta per ricavarne grappa; késta e žàrpa da bičà vìa questo è ciarpame da gettare.

 

žarpì vb. trans. (žarpìso; žarpìo; žarpìu) tarpare le ali, potare le siepi, togliere i rami dagli alberi. Okóre žarpì ste žiéśe è necessario potare queste siepi; žarpì le àle a le pìte tarpare le ali alle galline; l'operazione veniva fatta per evitare che le galline volando si allontanassero troppo superando steccati e recinti. Verbo usato solo da poche persone, invece de tondì, cioè tosare le pecore con la forbice.

 

žarvèl sm. (pl. žarviéi) cervello. Te ses n òn žènza žarvèl sei un uomo senza cervello, sei sconsiderato; tu si te as žarvèl tu si hai cervello, tu si che sai ragionare; me son ronpésto l žarvèl, ma no èi kapìu nùia per quanto abbia pensato non ho capito nulla; l e du a śbàte e l se a spakòu l žarvèl è andato a sbattere e si è rotto la testa; loc. žarvèl de pìta cervello di gallina, detto a persona di scarsa intelligenza.

 

žarvèla sm. (pl. žarvèle) cervella. A disnà màño žarvèle de vedèl a pranzo mangio cervella di vitello.

 

Žarvèra, Žervèra (top.) Kòl Žarvèra. Luogo particolarmente panoramico da dove si domina l'intera vallata del Centro Cadore e parte della Val d'Ansiei con una visione di 360° su tutte le catene montuose circostanti. Per la sua posizione strategica prima della guerra 1915-18 i militari vi costruirono un osservatorio (strutturalmente uguale all'attuale rifugio Čaréido) purtroppo andato distrutto da un incendio. È il colle più alto dei tre che sovrastano la frana di Mižói, ai suoi piedi corre la strada militare che proviene da Sórakrépa e prosegue verso i forti di Kòl Vidàl. La vegetazione arborea è composta quasi esclusivamente dal pino mugo, tra le erbe invece le genziane e gli anemoni alpini. È l' habitat ideale per il gallo forcello.

 

žàta  sf. (pl. žàte) zampa, mano La kòka se a ronpésto na žàta la chioccia si è rotta una zampa; loc. sta tènti a le žàte attento alle mani; sta attento a non farti male alle mani; avé le žàte lònge avere le mani lunghe, rubare; vàrda ke se te ròbe nkóra i me sośìn, te tàio le žàte stai attento che se mi rubi ancora le susine, ti taglio le mani; era questa la minaccia che veniva fatta a chi rubava la frutta dagli orti; loc. avé žàta essere abile in un lavoro; loc. śvèlto de žàta svelto di mano, manesco o ladro.

 

žàta  sf. (pl. žàte) ferro per frenare, zattera. Pezzo di ferro che si mette sotto le ruote dei carri per frenare la corsa in discesa; vengono impiegati soprattutto quando il fondo stradale è coperto di neve o ghiaccio. Béte la žàta sóte le ròde del čàr metti il freno sotto le ruote del carro. Da Pararuó n do i dèa ko le žàte; da Perarolo partivano le zattere sul fiume Piave.

 

žatàda sf. (pl. žatàde) zampata, orma lasciata dagli animali. L ğàto me a dòu na žatàda e l me a ğatonòu il gatto mi ha dato una zampata e mi ha graffiato; késte e žatàde de ólpe queste sono orme di volpe.

 

žatèr sm. (inv.) zattiere, operaio addetto alla costruzione o conduzione delle zattere. Il trasporto del legname per fluitazione lungo i corsi d'acqua veniva seguito da maestranze che operavano con competenze diverse: lo žatèr, traduciamo con zattiere, è colui che sa costruire una zattera, sa condurla e si occupa del trasporto del legname o altre mercanzie che venivano caricate sulla zattera, il menadàs si occupa di tronchi non legati, segue il legname lungo la corrente del fiume mentre i tronchi d'albero fluitavano a valle, sia per disincagliarlo come pure per guidarlo dal fiume dentro la rosta, alla segheria (v. menadàs).

 

žavarià, žavariàse vb. intr. rifl. (me žavariéo; žavarièo; žavariòu) smaniare, farneticare, dire spropositi, preoccuparsi, temere. Òñi tànto to fardèl žavariéa ogni tanto tuo fratello farnetica, dice spropositi; kel tośàto me fa žavarià quel bambino mi preoccupa, mi da dei dispiaceri; no žavariàse non temere, non preoccuparsi, non avere paura; ió no me žavariéo se kàlke òta le ròbe va stòrte non mi preoccupo se qualche volta le cose vanno storte; no sta žavariàte, a lùi pénso ió non preoccuparti, a lui ci penso io (v. savanà).

 

žavàta sf. (pl. žavàte) ciabatta, pantofola, fig. persona malandata, poco pulita, mano grande, mano poco pulita. Me èi konpròu n pèi de žavàte mi sono comperato un paio di pantofole; e óra ke te bìče vìa kéle žavàte butta via quelle pantofole, quelle scarpacce che sono ormai consunte; kéla la e na žavàta quella è una donna poco pulita; prov. de na bèla skàrpa rèsta sènpre na bèla žavàta quando qualcuno è bello da giovane, rimane tale anche quando diventa vecchio; l a n pèi de žavàte kóme dói badì ha due mani grandi come badili; loc. lasà le žavàte morire; l a bèlo lasòu le žavàte è morto giovane; loc. lavàse le žavàte lavarsi le mani.

 

žavatà vb. intr. (žavatéo; žavatèo; žavatòu) ciabattare, fare i lavori senza garbo, lavare schizzando molta acqua e sporcando tutt'intorno. Àsto fenìu de žavatà par čàśa? hai finito di ciabattare per casa, di camminare strisciando le ciabatte?; kuàn ke la làva, la žavatéa dapardùto quando fa il bucato, schizza acqua dappertutto; no l e bon da fèi nùia žènža žavatà non è capace di fare niente senza sporcare.

 

žavatàda sf. (pl. žavatàde) lavoro fatto senza buon senso, sberla, manata. E óra ke te fenìse ko le to žavatàde è ora che tu finisca di fare questi lavori senza né capo né coda; ko na žavatàda l èi śbragažòu con una manata l'ho steso per terra.

 

žavatèi agg. (pl. žavatèi, f. žavatèra, pl. žavatère) pasticcione. Žavatèi de n žavatèi pasticcione che non sei altro.

 

žavàtol biànko sm. (pl. žavàtoi biànke) fringuello alpino (zool. Monti fringilla nivalis). No e pì žavàtoi biànke n ğìro non si vedono più fringuelli alpini in giro.

 

žavàtol da kròda sm. (pl. žavàtoi da kròda) fringuello di monte (zool. Fringilla montifringilla). Par véde n žavàtol da kròda okóre di su par la Mónte per riuscire a vedere un fringuello di monte bisogna salire a Pian dei Buoi.

 

žavàtol fìnko sm. (pl. žavàtoi) fringuello comune (zool. Fringilla coelebs). Se te vos ke l to žavàtol čànte, śgòrbelo se vuoi che il tuo fringuello canti bene devi accecarlo; il detto ricorda l'uso crudele di accecare i fringuelli in gabbia perché cantassero meglio; i fringuelli dovevano poi servire da richiamo per la caccia di uccelli di passo con reti o vischio.

 

žavatón agg. (pl. žavatói, f. žavatóna, pl. žavatóne) sporcaccione, pasticcione. To suó e na žavatóna tua sorella è una pasticciona, una donna poco pulita.

 

žéa sf. (pl. zée) sopracciglio, ciglio dell'occhio. Par èse pì bèla la se nbeletéa le žée déi òče per essere più bella si imbelletta le ciglia degli occhi; kéle dóe žée i da na fruśomìa da trìsto quelle sopracciglia così folte gli danno uno sguardo da cattivo.

 

žèdola sf. (pl. žèdole) cedola, ricevuta, fig. banconota. Késta e la žèdola del mè dèbito questa è la ricevuta del mio debito.

 

žéi sm. (inv.) ciglio della strada, pendio, limite, fig. cipiglio, ceffo. Kamìna vìa pal žéi de la stràda cammina lungo il ciglio della strada; su pal žéi, de lòngo l žéi lungo il pendio, lungo il limite del baratro; loc. kon kel žéi a ki krédesto de fèi paùra? a chi credi di far paura con quel ceffo ?; vàrda ke žéi guarda che truce cipiglio. No okóre batufà i fiói par korèğeli, bàsta mostrài l žéi non serve picchiare i figli per una efficace correzione, ma all'occorrenza, basta mostrare il cipiglio severo. Anche come toponimo che sta ad indicare il ciglio o un burrone, accostato ai toponimi già descritti dà luogo a Žéi de Navói, Žéi de Valzalìna, Žéi dele Vàle.

 

žékola sf. (pl. žékole) piccolo pezzo, scheggia, spicchio. Il termine si riferisce alla patata tagliata a spicchi e utilizzata per la semina. Per garantire l'efficacia della semina è necessario vi siano almeno due o tre germogli su ciascun pezzo. Okóre tòle nkóra dóe žékole par semenà per completare la semina servono ancora alcune žékole. Dàme na žékola de formài dammi un piccolo pezzo di formaggio. Loc. fažo žékole de te ti riduco in schegge a furia di botte (v. žéśa).

 

žèla sf. (pl. žèle) cella, prigione, per est. cantina. Se no te stas bon, te sèro nte žèla se non stai buono ti chiudo in cantina.

 

želebrà vb. trans. (želebréo; želebrèo; želebròu) celebrare, fig. esaltare, magnificare. Želebrà Mésa celebrare la Messa; kel la se žèlebra polìto par kel tin ke l fa quello sa magnificare bene quel poco che fa. Loc. se no te stas bon stasiéra no te žèlebre se non stai buono stasera ti faccio saltare la cena.

 

žélega sf. (pl. žélege) passera mattugia (zool. Passer montanus). È facile vedere questo tipo di passero attraversare il cielo del Cadore soprattutto in autunno e in inverno.

 

želèi sm. (inv.) ripostiglio per il formaggio, cantina. Èi l želèi pién de pèže de formài ho la cantina piena di forme di formaggio.

 

želèste  agg. (inv.) celeste, azzurro. L a i òče želèste ha gli occhi azzurri; na čaméśa želèste una camicia celeste.

 

Želèste  sm. (nome) ipoc. di Celeste.

 

žèlis sm. (inv.) felci (bot. Phegopteris vulgaris, Dryopteris filix mas, Athyrium filix foem. e altre dello stesso gruppo). Le felci venivano adoperate in casa per lucidare gli oggetti di rame. Al bósko e pién de žèlis il bosco è coperto di felci.

 

žéna sf. (pl. žéne) cena. Dì a žéna andare a cena; restà žènza žéna restare senza cena, digiunare; prov. ki ke va a dormì žènža žéna, dùta la nuóte se reména chi va a letto senza cena difficilmente riesce a prendere sonno.

 

ženà vb. intr. (žéno; ženèo; ženòu) cenare. Àsto bèlo ženòu? hai già cenato?; loc. se te vos deventà vèčo, žéna kon puóčo se vuoi mantenerti in salute fino alla vecchiaia, non eccedere nel mangiare alla sera.

 

žénder sm. (inv.) cenere. No sta bičà vìa l žénder parkè èi da doràlo a fèi lesìva non buttare via la cenere perché devo adoperarla per fare il bucato; l e deventòu biànko kóme l žénder è diventato bianco come la cenere, è impallidito. Loc. kè vósto ke fàže kel puóro vèčo, l pòrta ìnte léñe e l pòrta fòra žénder la persona avanti con l'età accudisce solo al fuoco.

 

Žéndri sf. (solo pl.) Le Ceneri. Si tratta del mercoledì delle Ceneri che corrisponde al primo giorno della Quaresima. A Le Žéndri finìse l karnavàl e vién la Karéśema. Con le Ceneri finisce il carnevale e inizia la Quaresima.

 

žénğa  sf. (pl. žénğe) cengia. Sporto naturale lungo una parete, che risulta dall'alternarsi degli strati rocciosi. Son sufficienti anche pochi centimetri per permettere ai camosci di superare strapiombi vertiginosi. Kuàn ke te kamìne vìa pa la žénğa, vàrda de no śbrisà quando cammini lungo la cengia, stai attento a non scivolare (v. nženğàse).

 

Žénğa  (top.) Kròda de la Žénğa rocce che si trovano sopra la località chiamata le Čaučère, ad est del Ğòu del Valón sul sentiero che da Loréto porta in Kukàña. La vegetazione composta da qualche faggio e dal pino silvestre, dà al paesaggio un aspetto selvaggio, bellissimo il panorama dalla Kròda de la Žénğa.

 

ženòčo sm. (pl. ženòče) finocchio, (bot. Foeniculum vulgare). Èi mañòu ženòče n salàta ho mangiato finocchi in insalata.

 

ženòčo salvàrego sm. (pl. ženòče salvàrege) anice selvatico (bot. Pimpinella anisium). Tòle su n tin de ženòčo salvàrego da béte nte la sñàpa raccogli un po' di finocchio selvatico da mettere nella grappa.

 

ženpedón  sm. (pl. ženpedói) arconcello, bilanciere di legno ricurvo. Tòle su l ženpedón e va a tòle àga kói séče prendi l'arconcello e va ad attingere acqua con i secchi.

 

ženpedón  agg. (pl. ženpedói, f. ženpedóna, pl. ženpedóne) maldestro sul lavoro e nel gioco, buono a nulla. No èi mài vìsto n ženpedón kóme te non ho mai visto un buono a nulla come te.

 

žentenàro sm. (pl. žentenàre) centenaro.1 Si chiamava žentenàro una delle dieci parti in cui un tempo era suddiviso il Cadore. Il žentenàro era formato da più “vicinìe” e queste a loro volta da una o più Règole. Lozzo apparteneva al centenaro di Domegge. Žentenàro era chiamato anche colui che comandava cento uomini d'armi (žèrnida), e in Cadore ce n'erano dieci, corrispondenti ciascuna ad una Centena. In caso di bisogno, il centenaro doveva mettere a disposizione cento uomini armati e un ufficiale.

 

žentenèr sm. (solo sing.) centinaio. Kel la e parón de n žentenèr de féde quello è padrone di un centinaio di pecore.

 

žentèśimo sm. (pl. žentèśime) centesimo. Se te avése n žentèśimo de la so salùte, te sararàe n siór se tu avessi solo un centesimo della sua salute, saresti un signore; loc. la va a žentèśime va a centesimi, sta per finire (v. skèo).

 

žènto agg. num. (inv.) cento. Nprésteme žènto frànke prestami cento lire; na kàrta da žènto una banconota da cento lire; loc. žènto òte cento volte, continuamente, un'infinità; ànke se te dìgo žènto òte, no te kapìse nùia anche se te lo ripeto cento volte non capisci, non lo vuoi capire.

 

žèntopèže sm. (inv.) centopelli, omaso. Lo stomaco dei ruminanti, specie quello dei bovini che, cotto e macinato, viene utilizzato per preparare le lugànege de trìpe oppure, viene tagliato a listerelle e cotto in umido per preparare la famosa trippa.

 

žentùra sf. (pl. žentùre) cintura, cinghia per pantaloni. Loc. strénde la žentùra stringere la cintura, patire la fame; dim. ženturìn; acc. ženturón.

 

ženturèla sf. (pl. ženturèle) cintura. La piccola fascia di tessuto che unisce alla vita le due parti della gonna. La ženturèla è anche la fascia posta all'estremità dei pantaloni alla zuava per chiuderli sotto il ginocchio. Èi ronpésto la ženturèla de le bràge ho rotto il cinturino dei pantaloni.

 

žentùria sf. (pl. žentùrie) centuria. Corrisponde al žentenàro o anche all'università, termini che si riferiscono tutti all'intera comunità della Regola.

 

žènža avv. prep. senza. Žènža skèi senza soldi, poverissimo. Žènža čaméśa senza camicia, nudo, senza niente; žènža skàrpe senza scarpe, scalzo; žènža sal senza sale, insipido, poco saporito; žènža tànte konpleménte in modo spiccio e rude; žènža tànte čàčere senza tante chiacchiere, in modo schietto; žènžàutro senz'altro; restà žènža restare senza; son restòu žènža n bóro sono rimasto senza un quattrino.

 

žéra sf. (pl. žére) cera, cerume. Cera ricavata dalle api. Žéra de àve cera vergine d'ape; žéra da kandéle cera per candele; žéra da skàrpe lucido da scarpe; biànko kóme la žéra bianco come la cera, smorto; loc. èse n òn de žéra essere un marito che in casa vale molto poco.

 

Žeràia sm. (top.) località a sud ovest del paese in prossimità di S. Anna.

 

žerànte sm. (inv.) verdone (zool. Loxia chloris).

 

žèrbo agg. (pl. žèrbe) acerbo. Sti póme e žèrbe queste mele sono acerbe, non sono ancora mature. Žèrbo veniva così definito anche un terreno molto magro (v. gàrbo).

 

žerčà vb. trans. (žèrčo; žerčèo; žerčòu) assaggiare, provare, sperimentare. Žerčà la menèstra assaggiare la minestra per sentire se manca di sale; te dis ke no te piàśe, žènža ñànke žerčà dici che il cibo non ti piace senza neanche assaggiarlo; i èi fàto žerčà la vìska gli ho fatto provare la frusta, sono stato costretto a picchiarlo.

 

žérčo  sm. (pl. žérče) cerchio. I žérče de la kośìna i cerchi della cucina economica; tìra vìa i žérče e béte su la kaliéra de la polènta leva i cerchi della cucina e mettici il paiolo della polenta; i žérče del mastèl, de la barìža, de la ròda de l čar i cerchi in ferro del mastello, della botticella, della ruota del carro; di kol žérčo giocare con il cerchio della cucina economica; il gioco consisteva nel far rotolare uno dei cerchi della cucina economica, spingendolo con il ferro da cucina (feréto), l'arnese usato per togliere e rimettere i cerchi; acc. žerčón cerchione della ruota. Anche con il cerchione della bicicletta si giocava nel modo sopra descritto, ma per guidarlo, al posto del ferro, si usava un bastone o meglio un pezzo di manico di scopa.

 

Žérčo  sm. (top) località nei pressi del paese, un tempo zona agricola ora periferia edificata vicino alle attuali scuole medie. Si ipotizza che il toponimo sia derivato dalla conformazione del terreno che gira attorno ad un piccolo colle.

 

žèrega sf. (pl. zèrege) chierica, tonsura dei preti. To fiól se péla, l a la žèrega kóme l prèe tuo figlio perde i capelli, ha la chierica come il prete.

 

žerimònia sf. (pl. žerimònie) cerimonia. Son du a nòže de Tìta: i a fàto pròpio na bèla žerimònia sono andato alle nozze di Giobatta, è stata proprio una bella cerimonia. Loc. no sta fèi žerimònie non fare cerimonie, non fare complimenti.

 

žèrio sm. (pl. žèrie) cero pasquale. Il cero pasquale viene acceso al momento del Gloria il giorno di Pasqua e si spegne il giorno dell'Ascensione. Al Glòria i npìža l žèrio al canto del Gloria del Sabato Santo si accende il cero pasquale.

 

žérka sf. (solo sing.) cerca. Di n žérka de andare in cerca di. No sta di n žérka de òñe non andare in cerca di baggianate.

 

žerkà vb. trans. (žérko; žerkèo; žerkòu) cercare. Ìdeme a žerkà l botón de la čaméśa ke l e tomòu do bas aiutami a cercare il bottone della camicia che è caduto a terra. To suó žérka sènpre kàlke skùśa tua sorella cerca sempre qualche scusa.

 

žèrla sf. (pl. žèrle) frangia. Ke bèl al to siàl ko le žèrle che bello il tuo scialle con le frange.

 

žèrne vb. trans. (žèrno; žernèo; žernésto) scegliere, fare la cernita. Il verbo si riferisce anche alla selezione del bestiame che veniva mandato all'alpeggio o al pascolo di piano (v. žarnì).

 

žèrnida sf. (pl. žèrnide) milizia paesana istituita in Cadore dalla Repubblica di Venezia a difesa del territorio cadorino (G. Fabbiani, Breve storia del Cadore 1992).

 

žéro sm. (pl. žére) cero. Se la te va dréta npìža alòlo n žéro davànte la Madòna se questa volta la passerai liscia, accendi un cero davanti alla Madonna (v. žèrio).

 

žeròto sm. (pl. žeròte) cerotto. kuàn ke te as lavòu polìto l tài, béte su n tin de žeròto dopo aver ben lavato la ferita, metti un cerotto.

 

žèrte pron. (solo pl.) certi, alcuni, certuni. Kel di èra dùte ke laurèa: žèrte portèa léñe, àutre le seèa e àutre nkóra le ntasèa quel giorno tutti lavoravano: alcuni portavano la legna, altri la segavano, altri ancora la accatastavano.

 

žèrto  avv. o escl. certo, certamente. De žèrto, par žèrto di certo, certamente. Ma sésto segùro ke i te pàge? žèrto sei sicuro che ti paghino? certo.

 

žèrto  agg. (pl. žèrte, f. žèrta) certo, sicuro. Késta e na ròba žèrta questa è una cosa sicura; e žèrto ke domàn piovarà è certo che domani pioverà; èi vìsto n žèrto ke skanpèa ho visto un tale che scappava; žèrto ke véño certo che vengo, vengo certamente; loc. sientì n žèrto kè sentire un certo che, un certo malessere, avere un certo presentimento.

 

Žèrve  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Žèrve  sm. (top.) Piccola borgata del paese, la più antica, che ha preso il nome dal soprannome omonimo. È locata a nord-ovest vicino al Rio Rin, dirimpetto ai Krépe Rós, spuntone di roccia di color rossiccio ultima propaggine verso nord del monte Revìs. Gli abitanti della borgata venivano meglio identificati come ki déi Krépe Rós.

 

žèrvo sm. (pl. žèrve) cervo (zool. Cervus elaphus). Ànke ka da neàutre e i žèrve i cervi vivono anche qui da noi; prov. o sèrve kóme n sèrvo, o skanpà kóme n žèrvo o un servo si adatta ad obbedire oppure è meglio che se ne vada.

 

žérža sf. (pl. žérže) ritorta. Corda fatta con un giunco o con un ramoscello di nocciolo ben ritorto. Loc. fèi žérže sminuzzare, fare a pezzi, distruggere; se no te stas bon, fàžo žérže de te se non stai buono ti torchio per bene; avvertimento serioso che le mamme facevano ai loro figli quand'erano disubbidienti; fig. al pan fa žérža il pane è vecchio e gommoso e ha perso friabilità (v. tòrta).

 

žerženà vb. (žerženéo; žerženèo; žerženòu) incidere con un taglio profondo un albero tutto attorno. Žerženón sta piànta kosì ndebolisón la teñésta incidiamo questa pianta in modo da renderla debole .

 

žésa sf. (pl. žéśe) fettina, piccolo pezzo. Basta na žéśa de formài par teñìlo n pè basta una fettina di formaggio per tenerlo in piedi, cioè basta nutrirlo appena per tenerlo in vita.

 

žésta sf. (pl. žéste) cesta, canestro, paniere. La žésta era costituita di solito da un grosso paniere di vimini che veniva utilizzato come contenitore e per il trasporto. Èi ğenpù na žésta de póme ho riempito una cesta di mele; loc. volé la žésta e ànke la màntia non essere mai contento e appagato.

 

žésto sm. (pl. žéste) cesto. Anche il žésto, come la žésta, è in vimini e può avere dimensioni grandi o piccole. Contrariamente alla žésta però, l žésto ha un manico arcuato e un coperchio sempre in vimini e veniva usato come spòrta. L žésto se dòra a portà króstoi, lugànege, vuóve il cesto viene adoperato per portare crostoli, salsiccie e uova; kuàn ke nàse n pùpo, i pòrta a so màre n žésto de pan konžòu quando nasce un bimbo, portano alla puerpera un cesto di pane condito; loc. tòle pal žésto prendere in giro; dim. žestèl cestello, cestino. Prov. ki ke no se kontènta de l onèsto pèrde la màntia e ànke l žésto a quanti vogliono strafare, non sentendosi mai appagati, va a finire che perdono tutto.

 

žéula sf. (pl. žéule) cipolla (bot. Allium cepa), e più in generale qualsiasi bulbo o tubero. Mañà polènta e žéula mangiare polenta e cipolla, essere ridotti alla miseria; desfrìto ko la žéula soffritto fatto con la cipolla; la žéula me fa lagremà la cipolla mi fa lacrimare; le žéule de le dàlie i bulbi delle dalie; fig. sto arlòio e na žéula questo orologio è grosso, ma soprattutto non funziona bene; prov. le žéule a da sentì le čanpàne le cipolle non devono essere piantate molto in profondità, ma quasi in superficie.

 

Ževidàne, Žividàne (top.) località che si trova ai piedi della Val Sandolés sul sentiero che dalla Poiàta porta a Čanpeviéi. Un tempo anche questa zona veniva sfalciata, infatti ci sono ancora alcuni tabiàs fortunatamente ben conservati. L kostón a est della Val Sandolés è chiamato appunto Kòsta de Žividàne, mentre gli antri sotto le rocce in cima al costone vengono denominati Làndre de Žividàne.

 

ževìl, živìl agg. (pl. živìi, f. živìla, pl. živìle) civile, educato, di bell'aspetto. Adès ke te te a śbarbòu te ses n tin pì ževìl. Adesso che ti sei tagliato la barba hai un aspetto più civile.

 

Žiàn sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Žianèlo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

židèla sf. (pl. židèle) cerchio di legno forato attaccato al tarnanžón della péña, attrezzo per fare il burro. Il movimento a stantuffo della židèla fatto manualmente attraverso il tarnanžón faceva si che la panna messa nel recipiente (péña) si trasformasse in burro.

 

žìdol sm. (pl. žìdoi) cidolo. Era il punto di arrivo dove venivano ammassate le tàe fluitate lungo il fiume Piave con le diverse menàde che partivano a monte. Il cidolo più importante e più noto era quello di Perarolo, ma un žìdol c'era anche vicino a Lozzo, a Campopiano. Dal žìdol di Lozzo le tàe venivano mandate avanti con una menàda apposita fino a Perarolo. Alla partenza le tàe venivano separate in base al segno di proprietà inciso su ciascun tronco, alcune venivano legate in zattere, destinate a Venezia, altre venivano liberate lungo la corrente del Piave, venivano poi raccolte al loro passaggio dalle ròste, e alla fine destinate alle segherie .

 

žiéde vb. trans. intr. (žiédo; žiedèo; žiedésto o žiedù) cedere, cessare, rinunciare. Ió no puói žiéde io non posso rinunciare; te žiédo dùta la me ròba ti cedo, ti regalo tutta la mia roba; te àlo žiedésto l mal de skéna? ti è passato il male di schiena?; te žiédo l mè pósto ti lascio il mio posto.

 

žiél, žiélo sm. (pl. žiél, žiéle) cielo, volta celeste. Prov. fin ke te vàrde l žiél, no te màñe finché guardi il cielo, cioè stai in ozio non ti guadagni di che vivere; no èi mài vìsto n žiél kosì bèl sarén mai visto un cielo tanto sereno; prov. la tèra dùte la žapaéa, l žiélo nisùn lo tóča è facile prendersela con la povera gente, difficile è prendersela coi potenti. Inoltre era una risposta data dai piccoli di statura a quanti ironizzavano su di loro.

 

žiélo sm. Nella loc. te as žiélo e ròba hai molte cose, sei un grosso possidente.

 

žiéra sf. (pl. žiére) cera, viso, aspetto. Avé na bèla žiéra avere una bella cera, un bell'aspetto; avé na brùta žiéra avere una brutta cera, un cattivo aspetto; te as na žiéra da mòrto hai una cera da morto, hai una faccia pallidissima; loc. fèi bòna žiéra accogliere qualcuno cortesemente; žèrte òte okóre fèi bòna žiéra ànke žènža vòia a volte è necessario fare buona accoglienza alle persone anche se non se ne ha voglia; žiéra da puìna cereo in volto; loc. avé na žiéra da deprofùndis avere un colorito cadaverico; avé na žieràta avere una brutta cera.

 

žiéśa sf. (pl. žiéśe) siepe, cespuglio, delimitazione della proprietà. Le siepi lungo le strade erano allestite e mantenute soprattutto per evitare che le bestie al pascolo entrassero nei luoghi coltivati. Potevano essere di varietà diverse dal carpino al fiore di lillà al nocciolo ecc. Èi žarpìu dùte le žiéśe ntórno l čànpo ho potato tutte le siepi attorno al campo; la ólpe a fàto n bus nte la žiéśa de l órto la volpe ha fatto un buco nella siepe che circonda l'orto; loc. sta n pó la žiéśa rimanere nascosto in attesa di quel che deve succedere.

 

Žiéta sf. (nome) ipoc. e dim. di Lucia.

 

žigà vb. intr. (žìgo; žigèo; žigòu) piangere, gridare, strillare. Kel bòča žìga par nùia quel bambino piange per nulla; kéla puóra bèstia no la fa ke žigà quella povera bestia non fa altro che lamentarsi; no sta žigà, fèite koràğo non piangere, fatti coraggio; parkè žìgesto tànto? pàrla pì bas perché urli tanto?, parla con tono pacato; loc. pitòsto de sientì žigà, vàdo a tòleme na kàrega de léñe piuttosto di sentire urlare sono disposto a fare qualsiasi lavoro. Loc. me vién da žigà àuto avrei voglia di gridare la mia disperazione.

 

žigàda sf. (pl. žigàde) pianto, urlo. Daspò kéla žigàda, me son sientùda mèo dopo quello sfogo di pianto mi sono sentita meglio; òñi tànto la màre me dà na žigàda ogni tanto la mamma mi sgrida urlando (v. piandésta).

 

žigàina agg. (pl. žigàine) zingara. Il termine veniva usato anche per definire le donne malvestite che piagnucolano o che strillano. Àsto vìsto la žigàina? hai visto la zingara?; sta bon, se no la žigàina te pòrta vìa stai buono altrimenti la zingara ti porta via; minaccia che le mamme facevano ai loro bambini per spaventarli; e ruàde i žigàine sono arrivati gli zingari (v. žìnger, stròlega).

 

žìgaro sm. (pl. žìgare) sigaro, sigaro toscano. Fumà l žìgaro fumare il sigaro.

 

žìgo sm. (pl. žìge) grido di dolore, urlo, strillo. Nte kéla čàśa e dùto n žìgo in quella casa strillano tutti; èi sientù n žìgo e son korésto ho sentito un urlo e sono accorso.

 

žigolà vb. intr. (žigoléo; žigolèo; žigolòu) cigolare, scricchiolare. Ka e dùto ke žigoléa qui tutto cigola, qui tutto è ridotto male; prov. la ròda ke žigoléa e kéla ke dovaràe tàśe de pi la persona più loquace è proprio quella che dovrebbe tacere.

 

žikiñòla, žinkiñòla sf. (pl. žikiñòle) carrucola di legno, puleggia. Èi tiròu su l fién ko la žinkiñòla ho issato il fieno con la carrucola; loc. tìrete su le bràge o àsto debeśuói de la žinkiñòla non vedi che hai i pantaloni sempre abbassati, hai forse bisogno della carrucola per tirarli su?

 

žikòria sf. (solo sing.) cicoria (bot. Cichorium intybus). La sua radice viene adoperata per ricavare un surrogato del caffè. La parola žikòria veniva usata solo per il surrogato, la foglia veniva semplicemente chiamata radìčo. La cicoria veniva miscelata al caffè macinato per poter così risparmiare sulla spesa. Fèi kafè ko la žikòria fare il caffè con la polvere della cicoria.

 

žìma sf. (pl. žìme) cima, vetta, fig. cima dell'albero di misure stabilite. La žìma del Tudàio la vetta del Tudaio; ruà n žìma arrivare in cima; nevéa su pa le žìme nevica sulle cime dei monti, in alta montagna; l e na žìma è una cima, è una persona molto intelligente; loc. da žìma n do dall'alto verso il basso; da žìma n ka dall'alto verso di noi; da žìma n la dall'alto in là; da žìma n vìa lungo la parte alta; loc. avéla n žìma avere estrema urgenza di evacuare o di orinare, avere molta fame; le tré žìme de Lavarédo le Tre Cime di Lavaredo (top.). Le čàure a mañòu dùte le žìme déi pežoriéi le capre hanno mangiato le cime dei giovani abeti.

 

žimà  sm. (pl. zimàs) la parte terminale di una conifera. Una volta abbattuto l'albero, l žimà veniva utilizzato come legnatico o per cartiera. Kói žimàs ntin gròs se puó tirà fòra kàlke travùto con le cime un po' grosse si possono ricavare dei travetti .

 

žimà  vb (žiméo; žimèo; žimòu) tagliare la cima di un albero. Quando la neve cade fuori stagione è solitamente sciroccosa e molto pesante per cui le cime degli alberi si spezzano con facilità. Al néve a žimòu dùte i pežuós la neve ha spezzato la punta degli abeti.

 

žimentà, žimentàse vb. trans. rifl. (me žiménto; žiméntéo; žimentèo; žimentòu) provocare, spingere ad atti inconsulti, attentarsi, arrischiare, osare. No sta žimentàte, se nò te le čàpe non provocarmi altrimenti le prendi; no sta pì žimentàte de fèi ste ròbe non azzardarti, guai a te se fai queste cose. Žiméntete se te ses bùlo provaci se hai coraggio.

 

žiménto sm. nella loc. tirà žiménto provocare, stuzzicare. To fiól me tìra žiménto tuo figlio mi provoca, mi stuzzica.

 

žìmes sm. (inv.) cimice. Sta letiéra e piéna de žìmes questo letto è pieno di cimici.

 

žimiér sm. (inv.) cipiglio, muso duro, ceffo. E pasòu su alkuànte ko n žimiér ke faśèa paùra sono passati alcuni brutti tipi con un cipiglio da mettere paura.

 

žimitèro sm. (pl. žimitère) cimitero, camposanto. Vàdo a portà dói fiór n žimitèro vado a portare alcuni fiori in cimitero; loc. fèi n žimitèro fare un'ecatombe, distruggere tutto; kuàn ke l e čòko, l fa n žimitèro de dùto kel ke l čàta quando è ubriaco, distrugge tutto quello che gli capita fra le mani (v. porteà).

 

žimolà vb. trans. (žimoléo; žimolèo; žimolòu) spuntare, tagliare la cima. Okóre žimolà dùte sti ğerànie bisogna tagliare la punta a tutti questi gerani. Žimolà l sórgo togliere la punta alle canne del granoturco. questa operazione aveva una triplice funzione: provocava l'ingrossamento della pannocchia e favoriva la sua essicazione, infine le punte dopo una breve essicatura venivano date alle mucche.

 

žimòu agg. (pl. žimàde, f. žimàda) tagliata, senza cima. I pežuós e dùte žimàde gli abeti sono tutti senza la punta.

 

žìnger sm. (pl. žìnger, f. žìngera) zingaro, nomade, per est. vagabondo, straccione. E ruòu i žìnger sono arrivati gli zingari; parkè fàsto sènpre l žìnger? perché fai sempre il vagabondo? perché non ti metti a lavorare?; te vas n ğìro kóme n žìnger vai in giro come uno zingaro, sei sempre mal vestito (v. žigàino).

 

žìnke agg. num. (inv.) cinque. L a bèlo žìnke àne ha già cinque anni; loc. mostrà i žìnke avere le calze rotte, per est. essere veramente povero. Loc. žìnke skèi de koión nte skarsèla è conveniente per l'offeso o bistrattato non dar retta o rispondere a angherie o sfuriate. Dì dài žìnke n do deperire (v. tab. numeri).

 

žinkežènto agg. num. (inv.) cinquecento. Me npréstesto žinkežènto frànke? mi presti cinquecento lire? (v. tab numeri).

 

Žinkolìn (top.) località che si trova ad una quota di 1700 m sulla strada detta “della montagna” che porta a Pian dei Buoi attraverso Kuóilo e Pian d'Adamo in un tratto pianeggiante prima che la stessa compia un secco tornante nei pressi di Navói. Da Žinkolìn si può dire che ha inizio il ğàvo de Stamižói che va poi a confluire nella Val Sandolés. Era una zona un tempo prativa ed ora è fitta di vegetazione arborea.

 

žinkuànta agg. num. (inv.) cinquanta (v. tab. numeri).

 

žinkuantanà vb. intr. (žinkuantanéo; žinkuantanèo; žinkuantanòu) tergiversare, tirare le cose per le lunghe. Nvéži de žinkuantanà, rùa al dùnkue invece di tergiversare, cerca di arrivare al sodo.

 

žinkuanténa sf. (pl. žinkuanténe) cinquantina. Ànke ió son bèlo su la žinkuanténa anch'io ho quasi raggiunto i cinquant'anni.

 

žinkuantìn sm (inv.) cinquantino. Vuóu žinkuantìn uovo molto piccolo che, secondo la credenza popolare, le galline depongono dopo quarantanove normali. Sórgo, faśuói žinkuantìn tipo di mais o di fagioli che raggiungono la maturazione dopo cinquanta giorni dalla semina, hanno cioè una maturazione precoce.

 

žiñotà vb. intr. (žiñotéo; žiñotèo; žiñotòu) ammiccare. Strizzare l'occhio, per est. fare l'occhiolino. Òñi tànto to fìa me žiñotéa ogni tanto tua figlia mi fa l'occhiolino; kuàn ke l èi vìsto žiñotà, èi kapìu ke èra n skèržo quando l'ho visto strizzare l'occhio, ho capito che si trattava di una burla.

 

žiñotàda sf. (pl. žiñotàde) strizzatina l'occhio. Da na žiñotàda èi kapìu dùto da una strizzatina d'occhio, ho capito tutto; da na žiñotàda ammiccare, strizzare l'occhio.

 

žìnžola sf. (pl. žìnžole) altalena. Ko n funàžo e na sàndola,èi fàto nte tabià na žìnžola par ki tośàte con una fune ed un assicella ho costruito nel fienile un'altalena per i bambini.

 

žinžolàse vb. rifl. (me žinžoléo; žinžolèo; žinžolòu) dondolarsi sull'altalena, gingillarsi. Me èi žinžolòu dùto l daspò medodì sono andato sull'altalena tutto il pomeriggio; to fardèl no l fa ke žinžolàse dùto l sànto dì tuo fratello non fa che gingillarsi tutto il santo giorno, non combina niente dalla mattina alla sera.

 

žinžolón  agg. (pl. žinžolói, f. žinžolóna, pl. žinžolóne) chi si gingilla dalla mattina alla sera, fig. bonaccione. Detto di una persona che non combina mai niente di buono, che cincischia tutto il giorno. Te ses l sòlito žinžolón sei il solito ciondolone.

 

žinžolón  avv. in bilico. (èse) de žinžolón rimanere (essere) in bilico, ciondolare. Ke bèl sta n žinžolón com'è bello lasciarsi dondolare, oscillare (v. pendolón).

 

žìria sf. (pl. žìrie) rondine (zool. Hirundo rustica). E bèlo Pàska, ma no se véde nkóra le žìrie è già Pasqua, ma non si vedono ancora le rondini, cioè siamo in primavera, ma fa ancora molto freddo; sóte l àla del kuèrto e na kóa de žìrie sotto l'ala del tetto c'è un nido di rondini. Liégro kóme na žìria allegro come una rondine, festoso, gioioso; il detto nasce forse dal fatto che l'arrivo delle rondini porta gioia perché preannuncia la buona stagione dopo il freddo e la neve dell'inverno. Prov. kuàn ke le žìrie se ngrùma, l autóno se vižìna quando le rondini si radunano vuol dire che l'autunno è alle porte ed è imminente la partenza verso le zone temperate.

 

žiribèkol agg. (pl. žiribèkoi, f. žiribèkola, pl. žiribèkole) sfacciato, impudente, sfrontato. Kéla tóśa e na žiribèkola quella ragazza è una sfrontata (v. fèfo).

 

žiriòto sm. (pl. žiriòte) rondinotto, pulcino di rondine (zool. Hirundo rustica). Nte kóa e dói žiriòte nel nido ci sono due rondinotti.

 

žìrka avv. circa, pressappoco. L a žìrka nonànta àne ha circa novant'anni, è vecchissimo.

 

žìrkol sm. (pl. žìrkoi) circolo, cerchio. Fèi žìrkol fare cerchio; sta n žìrkol stare in cerchio.

 

žìrmol sm. (pl. žìrmoi) cirmolo, cembro (bot. Pinus cembra). Albero simile al pino il cui legno, molto tenero, viene impiegato per la fabbricazione di mobili, cornici, statue e altro; na soàda de žìrmol una cornice di cirmolo .

 

žità  sf. (inv.) città. Se véde ke l vién da la žità si vede che è un cittadino.

 

žità  vb. trans. (žitéo; žitèo; žitòu) citare davanti al giudice. L me a žitòu pa sta ròba da nùia mi hanno citato, denunciato per questa cosa da nulla.

 

žìto agg. (pl. žìte, f. žìta) zitto. Loc. stà žìto stare zitto, fare silenzio; escl. žìto zitto, acqua in bocca.

 

živéta sf. (pl. živéte) civetta (zool. Athene Noctua), fig. donna che si mette in mostra. La živéta a mañòu dùte i auželùte de la kóa la civetta ha mangiato tutti gli uccellini del nido; àsto fenìu de fèi la živéta? hai finito di fare la civetta?, hai finito di civettare? (v. žuìta).

 

živetà vb. intr. (živetéo; živetèo; živetòu) civettare. Il verbo va riferito al comportamento delle donne o in generale di qualcuno che fa qualsiasi cosa pur di mettersi in mostra, esibirsi. Ànke to neóda skomìnžia a živetà n piàža kói dovanòte anche tua nipote ha cominciato a fare la civetta in piazza con i giovanotti.

 

žòk sm. (pl. žòk, žòke) ritaglio del tronco d'albero risultante dall'intestatura dei tronchi e usato come legna da ardere. Quando un albero viene abbattuto, viene ridotto in tàe di una lunghezza regolare di m 4.20; in segheria poi vengono pilonate e ridotte esattamente a m 4,05; dalla pilonatura un tempo fatta col siegón, si ottengono i žòk. Vàdo a tòleme dói žòk par st invèrno vado in segheria a prendere un po' di žòk per il prossimo inverno .

 

žòka sf. (pl. žòke) ceppaia, piede d'albero, ceppo su cui si sminuzza la legna da ardere. Un tempo ogni famiglia disponeva di uno o più ceppi per spaccare la legna da ardere. Okóre ğavà ste žòke se te vos ke i noviéi krése bisogna liberare il bosco da queste ceppaie se si vuole permettere alle piccole piante di crescere; va a pestà su dóe léñe su la žòka vai sul ceppo a tagliare un po' di legna da ardere .

 

žòkol sm. (pl. žòkoi) zoccolo. Zoccolo di legno da mettere ai piedi, unghia del cavallo, base di un piedistallo, di un muro. Me èi konpròu n pèi de žòkoi nuóve mi sono comperato un paio di zoccoli nuovi; al čavàl se a ronpésto l žòkol il cavallo si è rotto lo zoccolo; al žòkol del mùro il basamento del muro; loc. na skàrpa e n žòkol due cose spaiate, completamente diverse; késta e na skàrpa e n žòkol mi presenti due cose completamente discordanti tra loro; voltà i žòkoi tirare le cuoia, morire.

 

žòkola sf. (pl. žòkole) stampella, gruccia, impugnatura del manico della falce (faučà) fig. donna disordinata. Al se a ronpésto na ğànba e i tóča di ko le žòkole si è rotta una gamba ed è costretto a camminare con le stampelle.

 

žokolà vb. intr. (žokoléo; žokolèo; žokolòu) rumore del camminare con gli zoccoli. Àsto fenìu de žokolà? hai finito di fare tanto rumore quando cammini?

 

žokolàda sf. (pl. žokolàde) colpo di zoccolo o di stampella. La vàča i a dòu na žokolàda la mucca gli ha tirato un calcio; tàśe se nò te dào na žokolàda taci, altrimenti ti dò un colpo con la stampella.

 

žòkole sf. (solo pl.) trampoli. Di su le žòkole camminare sui trampoli.

 

žokolèi agg. (pl. žokolèi, f. žokolèra, pl. žokolère) zoccolone. Detto di chi porta sempre gli zoccoli e non calza quasi mai le scarpe o le pantofole; chi cammina rumorosamente; fig. grossolano, sgraziato. To madòna e na žokolèra tua suocera ha un camminare rumoroso e sgraziato; kéla e na faméa de žokolèi quella è una famiglia di gente grossolana (v. dalmedèi).

 

žoldàn sm. (top.) Palù Žoldàn zona paludosa nei pressi di Pian dei Buoi.

 

Žoldàna sf. (nome) soprannome di famiglia, senza dubbio dovuto ad un'antica provenienza da Zoldo.

 

žončà vb. trans. (žónčo; žončèo; žončòu) troncare, tranciare, fig. smetterla. Žončà l fìlo de fèr tranciare il filo di ferro; žončà le ónğe a la vàča tagliare, accorciare le unghie alla mucca; loc. žónčela ke e óra smettila, è ora di finirla.

 

žonpìto agg. (pl. žonpìte, f. žonpìta) maldestro sul lavoro. Malaccorto nell'agire e nel comportarsi, un po' tonto.

 

žónpo agg. (pl. žónpe, f. žónpa) storpio, privo di una mano, fig. maldestro. L e tornòu da la guèra žónpo è tornato storpio dalla guerra; pò sésto žónpo ma sei così maldestro nel maneggiare le cose!

 

žópa  sf. (pl. žópe) tipo di frittella. Fetta di pane bagnata in una pastella fatta di uova, latte e vari aromi, poi fritta nell'olio e infine zuccherata. Òñi tànto la màre ne faśèa dóe žópe ogni tanto la mamma ci preparava le frittelle; di solito avveniva per il giovedì e martedì grasso e per metà Quaresima. Si trattava comunque di un manicaretto molto prelibato, forse più gradito delle semplici frìtole.

 

žópa  sf. (pl. žópe) zolla di terra del prato, gleba, bracciata di fieno kuàn ke te sée, te tìre su màsa žópe quando falci l'erba sollevi troppe zolle. Questo succede quando si tiene la falce troppo raso terra e per imperizia non si riesce a seguire l'andamento del terreno gibboso per cui si taglia con l'erba anche la zolla; pòrteme ka dóe žópe de tèra portami qui due zolle di terra; žópa era pure chiamata la bracciata di fieno che viene tolta dalla méda o dal morsèl, che dopo la fermentazione è molto pressata. Le žópe agevolavano l'operazione di carico delle slitte. La žópa de la méda ripiano formato da travicelli e rami di abete che viene utilizzato per tenere sollevato il fieno da terra (v. fùfo).

 

žopèl  sm. (inv) zolla. Zolla di prato poco profonda. La messa a dimora di una piantina in un punto diverso da quello dove è stata estirpata è preferibile con la zolla di terra prelevata dal punto originale, cioè con l sò žópèl (žópa).

 

Žopèl  sm. (top.) Kròda de Žopèl. Cocuzzolo roccioso a sud di Kòl Vidàl nei pressi delle Màndre, in cima alla Kòsta dei Avedìs che nell'ultimo tratto prende il nome di Pàla de Gražióśo. Punto particolarmente panoramico che si trova ai margini dell'altipiano di Pian dei Buoi.

 

žopèla sf. (pl. žopèle) zoccoletto simile alla pantofola, fig. stampella, gruccia. Tirà su le žopèle calzare gli zoccoletti; kaminà ko le žopèle camminare aiutandosi con le stampelle (v. zòkola).

 

žotà vb. intr. (žòto; žotèo; žotòu) zoppicare. Kè àsto ke te žòte? come mai zoppichi?; vàrda ke la kariéga žòta guarda che la sedia traballa; fig. to fardèl a sènpre žotòu de kéla ğànba tuo fratello ha sempre avuto una certa debolezza, che è come dire “ di quel mal che si patisce si muore”.

 

žotarñà vb. intr. (žotarñéo; žotarñèo; žotarñòu) claudicare, camminare zoppicando leggermente. Daspò de kel kólpo èi sènpre žotarñòu dopo quella botta alla gamba ho sempre camminato zoppicando un po'.

 

Žòte (top.) Ğòu de le Žòte solcatura profonda nell'alta valle da cui ha inizio il Rodolésko, esattamente a sud dei Tabià de Sórakrépa. Toponimo che deriva da žòta cioè zoppa, infatti quando la Kaśèra dele féde era ancora situata a Sórakrépa tutte le capre che non potevano pascolare causa la nàusa venivano spinte al pascolo e isolate in questa zona appunto perché zoppe. La nàusa era una malattia che colpiva le zampe di pecore e capre, causata dal lungo permanere in stalle umide e sporche e ritenuta contagiosa, da ciò l'isolamento in questa zona.

 

žotèi agg. (pl. žotèi, f. žotèra, pl. žotère) zoppicante. Prov. tre žotèi no fa n dréto tre uomini che zoppicano non valgono uno sano.

 

Žòto  sm (nome) soprannome di famiglia.

 

žòto  agg. (pl. žòte, f. žòta) zoppo, traballante. Žòto de na ğànba storpio di una gamba; kel la e nasù žòto quello è nato zoppo; vàrda ke la tòla e žòta guarda che il tavolo è traballante, ha una gamba più corta delle altre.

 

Žubiàna sf. (top.) Cibiana. Prov. bičà fòra la lénga kóme l bò da Žubiàna mettere fuori la lingua come il bue di Cibiana, desiderare ardentemente qualcosa; la locuzione si riferisce alla leggenda del bue che a Cibiana sarebbe stato issato sul campanile perché mangiasse un ciuffo d'erba. Naturalmente è arrivato in cima con la lingua penzoloni in quanto strangolato.

 

Žubianòta sf. (nome) soprannome di famiglia. Senza dubbio il soprannome indica la provenienza dal paese di Cibiana.

 

žùča sf. (pl. žùče) zucca (bot. Cucurbita pepo), fig. testone. Ñòke de žùča gnocchi di zucca; béte la n tin de žùča a kuóśese metti a cuocere un po' di zucca; la zucca veniva coltivata anche come alimento per maiali e mucche; talvolta però veniva lessata insieme alle patate oppure cotta al forno e serviva da merenda; si facevano gnocchi oppure veniva mescolata alla farina per fare il pane. Tažói de žùča semi di zucca; se betèa i tažói de žùča a sekà sóra la nàpa daspò se li kurèa, kàlke òta se i betèa su n tin de sal e se kontentèa i tośàte ke li rośeèa e i vèče ke li čučèa. I semi della zucca venivano messi a seccare sulla nàpa del camino e poi, tolta la buccia e messo sopra un po' di sale (non sempre) venivano dati di solito ai bambini e ai vecchi come intermezzo saporito ai pasti regolari. I semi di zucca venivano messi nella mosàvia come esca per le cincie che beccandoli provocavano la chiusura del coperchio; fig. te ses pròpio na žùča sei proprio uno zuccone; loc. žùča marìna testone, detto di chi non capisce proprio nulla; si tratta delle zucche che provengono dalla pianura, che sono molto più grosse di quelle di montagna e vengono adoperate per preparare gnocchi e pane; prov. kuàn ke la žùča se ngròsa, l mànego se skùrta quando la zucca si ingrossa il picciolo rimpicciolisce, fig. quando la testa cresce l'uomo perde in vigore sessuale.

 

žučón agg. (pl. žučói, f. žučóna, pl. žučóne) zuccone, testone. A skòla l e sènpre stòu n žučón a scuola è sempre stato uno zuccone (v. žukón).

 

žuìta sf. (pl. žuìte) civetta (zool. Athene Noctua). Ìnte a Loréto sta siéra èi sientù la žuìta, kè sužiedaràlo? a Loréto questa sera ho udito la civetta, cosa succederà? (v. živéta).

 

žuità vb. intr. (žuitéo; žuitèo; žuitòu) sbattere gli occhi come la civetta, svenire. Òñi tànto la žuitéa ogni tanto sbarra gli occhi e viene colta da un breve svenimento.

 

žuitàda sf. (pl. žiutàde) malore, svenimento, perdita momentanea dei sensi. kuàn ke l èi vìsto mòrto, èi čapòu na žuitàda quando l'ho visto morto, per un attimo ho perso i sensi. Élo mòrto da kè? l a čapòu na žuitàda da che cosa è morto? ha avuto un malore improvviso, un ictus cerebrale

 

žukeriéra sf. (pl. žukeriére) zuccheriera. Žukeriéra de pakofùn zuccheriera di alpacca.

 

žùkero sm. (solo sing.) zucchero. Dólže kóme l žùkero dolce come lo zucchero, dolcissimo. Bon kóme l žùkero buono come lo zucchero, buonissimo, fig. molto ubbidiente.

 

žukéto sm. (pl. žukéte) zucchina (bot. Cucurbita pepo). Le zucchine appartengono alla stessa famiglia delle zucche ma sono una varietà diversa. Èi mañòu polènta, formài e žukéte ho mangiato polenta formaggio e zucchine.

 

žùko sm. (pl. žùke) freno per carro. Pezzo di legno che si mette davanti alle ruote del carro per impedire che il mezzo si muova. Béte n žùko sóte le ròde, ke no l pàrte metti un pezzo di legno sotto le ruote perché il carro non parta da solo; dormì kóme n žùko dormire profondamente.

 

žukón agg. (pl. žukói, f. žukóna, pl. žukóne) zuccone, testone. Te èi bèlo dìto n grùmo de òte e tu žukón nkóra no te kapìse te l'ho ripetuto ormai molte volte e tu, testone, proprio non capisci, non ti entra nella testa.

 

žuliéra sf. (pl. žuliére) barella per trasportare letame o altro. Portà fòra la gràsa ko la žuliéra portare il letame dalla stalla al letamaio con la barella; portà ruói ko la žuliéra portare con la barella la terra dal fondo del campo verso la parte alta prima di procedere alla zappatura; loc. vósto ke véñe a tòlete ko la žuliéra? ti sbrighi o vuoi che venga a prenderti con la barella? (v. ruói).

 

žùrla sf. (pl. žùrle) gracchio (zool. Corvus pyrrhocrax). Su n Čaréido èra n grùmo de žùrle ntórno le kròde in Čaréido c'erano molti gracchi attorno alle rocce.

 

žùrlà vb. (žurléo; žurlèo; žurlòu) fare una cosa senza impegno, agire senza pensare troppo a quello che si fa. Kel, kuànke l laóra, l laóra kóme n žùrlo quello, quando lavora, non pensa troppo a quello che fa.

 

žùrlo agg. (pl. žùrle; f. žùrla) persona poco equilibrata che fa gesti bizzarri ma non cattivi. Vàrda ke n žùrlo guarda che persona bizzarra.

 

žùrña sf. (pl. žùrñe) testa scapigliata, fig. ingegnaccio. Ke žùrña che testa spettinata, che capelli arruffati; volaràe avé ó la so žùrña vorrei avere io la sua testa, il suo ingegno.

 

žùžà vb. (žùžo; žùžèo; žùžòu) succhiare, bere pochissimo giusto per bagnarsi le labbra. No sta žužàte l pòlis non succhiarti il pollice.

 

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)