Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore
dalle note del prof. Elio del Favero - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale
prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini
Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario, è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.
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I GIOCHI E DIVERTIMENTI
- kridà la nòže
Gridare di gioia. Il detto krída la nòže si riferisce a quando, durante lo sfalcio in alta montagna, alla sera, prima di andare a dormire sul fieno, ragazzi e ragazze gridavano allegri; a loro rispondeva un altro gruppo di ragazzi da un prato lontano, e quindi un terzo e poi un altro ancora; era l'espressione della gioia della gioventù e una maniera di divertirsi in modo semplice tenendosi compagnia.
- audetàse, dì a ślisàse
Fino agli anni '50 era il divertimento tipico della stagione invernale. Era praticato con audéte, kòče (qualche bòbi o luóida). Le strade del paese, ripide, ben innevate e senza traffico, erano il luogo ideale per questo sport di massa. Particolare attenzione doveva essere riservata ai pedoni e ai carri agricoli trainati da cavalli. Il grido "fòra, fòra" (scostatevi) costringeva i passanti a mettersi in disparte. Mentre durante il giorno c'erano numerosi bambini, nelle ore serali la via principale che attraversa da nord (S. Rocco) a sud (piazza IV Novembre) il paese, era percorsa da adulti che sfrecciavano a notevole velocità sul percorso ghiacciato. Per rallentare o fermarsi, gli equipaggi frenavano con il piede o alzando la audéta.
- dugà a bàle de néve
Gioco semplice in cui due o più persone si rincorrevano lanciandosi palle di neve.
- dugà a balón
Giocare una partita di calcio non regolamentare; infatti la squadra era composta da un numero variabile di giocatori e avveniva in campi di grandezza diversa rispetto alla norma, spesso con una porta sola (chiamato ambrosiana) segnata da due sassi. Il pallone era spesso confezionato con gli stracci ed il campo di gioco ricavato in uno spiazzo nelle contrade.
- dugà a le bàle e balotói
Il gioco consisteva nel lanciare la pallina da una buca ad un'altra distante almeno due o tre metri. La pallina doveva essere lanciata con una sola mano, con un colpo particolare del pollice e indice. A ciascun tiro era concesso sollevare la mano, rimanendo però appoggiati a terra col mignolo, e si doveva raggiungere col minor numero possibile di tiri l'altra buca. Chi raggiungeva per primo la buca faceva un punto. Si ripartiva poi dalla nuova buca e si continuava così fino a dieci punti.
- dugà a barkéte
I bambini costruivano piccole barche, ottenute modellando con la brìtola un ramoscello o qualche pezzo di legno. Mentre gli adulti erano impegnati nello sfalcio, i piccoli giocavano con le barchette sui corsi d'acqua limitrofi ai prati. Talvolta il ruscello veniva attrezzato con dighe e trasformato in laghetto.
- bàte pòrta
Il gioco è una variante di kùko tàna. I partecipanti, dopo aver sorteggiato il guardiano della porta, si nascondevano nei dintorni. Il guardiano iniziava a contare (fino al 21 o 31) con il viso rivolto verso un portone. Terminata la conta cercava di individuare i compagni di gioco al grido di un, dói, tre seguito dal nome. Il primo che veniva trovato e quindi chiamato ripeteva il rito della conta. Nel caso in cui il guardiano fosse stato preceduto nel battere la porta da uno dei partecipanti, sarebbe stato costretto a ripetere la conta.
- dugà a brìtola
Gioco col coltellino. Gara di abilità tipicamente maschile. Avé la brìtola nte skarsèla era il primo simbolo di virilità per i ragazzi. È una serie di prove, sempre più difficili, di lancio del coltello. Il temperino deve sempre rimanere piantato per terra con la coda del manico distante almeno due dita da terra. La posizione di partenza del lancio del temperino varia nel susseguirsi delle varie prove. Era dichiarato vincitore colui che riusciva ad effettuare correttamente tutti i lanci.
- kórese davòi
Prendersi. È il gioco più semplice per i bambini; a turno un giocatore deve rincorrere gli altri, che lo schivano e lo sberleffano. Se chi è di turno riesce a toccare un altro, gli passa la pena ed è quest'ultimo ora a rincorrere gli altri.
- dugà a le bùśe
I partecipanti giocavano nelle contrade o in piccoli spiazzi. Venivano scavate delle buche da assegnare a ciascun giocatore. I contendenti a turno cercavano di far rotolare la palla nella buca degli avversari. Il proprietario della buca, raccolta la palla, la lanciava contro gli altri che nel frattempo si allontanavano di corsa. Se non colpiva nessuno, nella sua buca veniva messo un sassolino, in caso contrario, in quella di chi era stato colpito. Chi raggiungeva il numero di cinque sassolini veniva eliminato.
- dugà a delìbera
È il classico gioco di "guardie e ladri".
- diéśe fardiéi
Giocare a palla sul muro. Consiste in dieci esercizi sempre più difficili da superare. Nella prima prova la palla viene lanciata verso il muro e ripresa prima che cada per terra, ripetendo il tiro dieci volte. Nella seconda prova la palla lanciata viene fatta rimbalzare, ripetendo il tiro 9 volte. La terza prova, da eseguire otto volte prevede il lancio della palla contro il muro, che successivamente viene respinta con le mani unite a coltello. La quarta, da ripetere sette volte, è come la prima a cui è aggiunto un giro su se stessi prima di riprendere la palla. La quinta prova consiste nel lanciare la palla in aria, farla rimbalzare a terra e lanciarla contro il muro con le mani a coltello (si ripete per sei volte). Nella sesta prova, per cinque volte, con una sola mano si lancia la palla contro il muro passandola sotto una gamba e riprendendola con una sola mano. Nella settima bisogna lanciare la palla sul muro per 4 volte stando seduti per terra e riprenderla dopo averla lasciata rimbalzare una sola volta, senza spostarsi. L'ottava, la nona e la decima, identiche alla precedente, sono da ripetere rispettivamente per 3, 2, 1 volta. Chi sbaglia una prova deve ricominciare dall'inizio.
- fèi fuóge
Per tradizione, in occasione della festa della Madonna del Rosario nel mese di ottobre, venivano accesi dei fuochi sulla sommità di Revis, ben visibili la sera dal centro abitato. Tali fuochi venivano accesi per una settimana. Nasceva così una competizione tra i ragazzi delle borgate di Pròu e di Lagùna che gareggiavano nel farli più grandi e più belli.
- fèi i làge
I bambini, approfittando del disgelo, costruivano piccoli sbarramenti che formavano delle dighe. Il divertimento consisteva nel creare cascatelle e rigagnoli in modo da far confluire nello sbarramento una quantità di acqua più grande possibile. Il gioco terminava con la rottura della diga più alta, che travolgeva quelle sottostanti.
- dugà a la fiónda
Fionda, attrezzo usato dai ragazzi. É uno status symbol, non solo una rudimentale arma per colpire gli uccelli. Per costruirla si prende una forcella di nocciolo o di frassino, la si scorteccia e alle estremità della forcella si praticano degli intagli per poter legare bene gli elastici. Gli elastici più comuni erano di strisce di camera d'aria rossa o nera, quella nera era più rigida ma più potente. I più raffinati usavano elastici di sezione quadrata venduti appositamente al negozio di ferramenta. Gli elastici venivano avvolti alle estremità della forcella, tirati e legati stretti con spago sottile; spesso con lo spago si facevano anche alcuni giri a copertura dell'elastico. Un elemento importante era il pezzo di koramèla (generalmente di cuoio) dove si poneva il sasso, alle cui estremità venivano praticati i fori, nei quali passavano gli elastici. Oltre ad andare a caccia di uccelli, i bambini giocavano a gare di tiro al bersaglio a vasi di latta o bottiglie di vetro. Spesso però per errore si colpivano i vetri delle finestre delle abitazioni, ed allora erano guai seri.
- fèi subiòte
I ragazzi, in primavera, quando gli alberi hanno linfa abbondante, costruivano con il temperino dei fischietti con il legno del frassino, salice e talvolta anche con il nocciolo.
- dugà a fažoléto o pìo-péto
È il noto gioco "ruba bandiera".
- dugà a la guèra
Gioco di tutte le generazioni. In passato era organizzato sotto forma di attacco a una roccaforte (catasta di legna, masso, collina, recinto) da espugnare con assalti condotti con il lancio di pigne. Il gioco diventava pericoloso se condotto con il lancio di pietre o ancor peggio con fionde o con arco munito di frecce. Il gioco si trasformava in contesa permanente tra bande rivali quando i bòče formavano gruppi che si rifugiavano in posti ritenuti di loro esclusiva proprietà. Qualsiasi penetrazione in zona altrui era considerata una violazione e veniva punita. Sono note le battaglie tra ragazzi delle borgate di Pròu, Lagùna, Ğòuda e Bróilo.
- dugà al kànpano
È il noto gioco del campano con le sue due varianti.
- dugà a kàrte
Per i vari giochi venivano utilizzate le cosiddette carte trevisane. Ne elenchiamo qui di seguito alcuni fra i più popolari: brìscola, robamažéto, la vèča, skóa, tresète ecc.
- dugà kol karbùro
Il carburo veniva adoperato per alimentare le lampade dei minatori, i fanali dei carri o delle biciclette. Quando il carburo era consumato, ciò che rimaneva nella lampada veniva gettato, ma restava sempre qualche pezzettino del minerale che i bambini usavano per fare bòtti. Prendevano i contenitori di latta vuoti, ne levavano il fondo e sulla parte superiore praticavano un foro. Facevano poi per terra una piccola buca, vi mettevano dell'acqua con pezzettini di carburo producendo così acetilene. Sopra mettevano il vaso e con un dito tenevano tappato il buco finché si riempiva di gas. A questo punto, avvicinavano al foro un fiammifero e il vaso saltava in aria con uno scoppio fragoroso.
- sautà la kòrda
Gioco molto semplice che si faceva la sera in tutte le contrade del paese e impegnava sia i ragazzi che le ragazze. È il classico saltare con la corda che si fa ancor oggi specialmente in certi tipi di allenamenti. La corda veniva usata singolarmente o in coppie. Con una corda più lunga (corda usata per legare legna o fieno) era possibile coinvolgere un gruppo numeroso.
- fèi le bóle de saón
Fare le bolle di sapone, gioco semplicissimo. Si prende una tazza, la si riempie a metà di acqua e ci si scioglie un po' di sapone, poi si arrotola un pezzo di carta a cono, si soffia un po' nella tazza in modo che le bolle si formino già sul bordo dell'acqua. A questo punto si immerge la cannuccia nell'acqua saponata, dopo averla estratta si soffia molto dolcemente e la bolla comincia ad apparire. È un gioco che si fa alla finestra in modo da poter lasciar volare nell'aria le bolle che si staccano.
- kórsa dei sàke
Gioco comune e molto noto, dove i concorrenti devono saltellare con le gambe inserite in un sacco, chi raggiunge per primo il traguardo è il vincitore. Gioco che si fa normalmente nelle sagre paesane, a Lozzo si faceva il giorno di S. Lorenzo, patrono del paese, il 10 agosto.
- dugà a kuàtro čantói
Gioco ben noto ovunque. Si mettono quattro pietre per terra, i quattro cantoni. Uno deve stare al centro mentre gli altri stanno uno per cantone e si burlano di quello che è al centro scambiandosi di posto. Nel momento dello scambio i cantoni rimangono vuoti, quello che è al centro cerca di occupare un posto vuoto.
- dugà a kùko o kukù-sià
Gioco del nascondino per infanti. É un gioco molto semplice che si fa con i bambini più piccoli: l'adulto copre con la mano gli occhi del bimbo dicendo: kukù! il bimbo non vedendo pensa che tutto il mondo sia scomparso; si attende per pochi attimi e poi si sposta la mano dicendo: sià! e tutto torna come prima con una felice risata.
- dugà a kukotána
Gioco del nascondino. C'è un punto base, tàna, dove si fa la kónta, uno sta sotto e gli altri si nascondono, quello che sta sotto conta ad alta voce con gli occhi chiusi fino al numero prefissato, dieci per ogni giocatore, quando ha finito grida véño. Chi ha contato deve trovare quelli che si sono nascosti, gridare il nome di chi ha visto e dire dov'era, tornando di corsa alla tàna prima che quello scoperto ci arrivi. Chi è stato scoperto e arriva alla tana prima del cacciatore grida tàna méa e si libera. L'ultimo a esser scoperto può arrivare alla tàna prima del cacciatore e gridare tàna deliberéa dùte, in questo caso libera tutti e tocca al cacciatore fare la conta di nuovo, altrimenti sta sotto il primo dei trovati.
- dugà a la móra
Giocare alla morra. Gioco noto in tutta Italia con variazioni locali poco significative. Di solito era praticato nelle osterie, attualmente classificato tra i giochi proibiti in quanto gioco d'azzardo. Il gioco in sé non è particolarmente pericoloso o violento, il problema è che normalmente si gioca come conclusione di una cena, quando gli spiriti sono già eccitati. I giocatori si fronteggiano di fronte a un tavolo dove lanciano con velocità la mano indicando ciascuno un numero con le dita e dichiarando contemporaneamente quale sarà il totale dei due numeri. Vince un punto chi ha, in precedenza, indicato il giusto totale.
- dugà a móska čéka
Non c'è alcuna variazione rispetto al noto gioco della mosca cieca.
- tiràse i papolèi
La bardana (bot. Arctium lappa, A. minus ) è una pianta che produce frutti, i papolèi, simili al cardo i cui capolini hanno brattee ricurve e uncinate che si appiccicano con facilità ai vestiti e ai capelli per cui diventa una facile occasione di gioco per i bambini lanciarseli l'un l'altro. Tirà i papolèi lanciare i papolèi contro qualcuno.
- dugà al pìndól
Si traccia a terra un cerchio di circa cinquanta centimetri di raggio, si prende un pezzetto di legno (píndol) lungo circa dieci di centimetri con le estremità a punta, tali che battendo la punta con un bastone (màža) il píndol salta per aria roteando; chi è di turno dà un primo colpo appunto per alzarlo da terra e un secondo colpo, sempre col bastone, per mandarlo il più lontano possibile; l'avversario, con i piedi e con le mani, deve ostacolarne il volo infatti il punteggio è pari al numero dei passi della distanza raggiunta. Gli avversari possono tentare di prendere e trattenere il píndol prima che tocchi terra con le mani o con il berretto e di lanciarlo all'interno del cerchio, ostacolati in ciò dal battitore che cerca di respingerlo con il proprio corpo o con la mazza. Il battitore cede il posto quando il píndol atterra nel cerchio o se dopo tre battute non è riuscito ad alzarlo da terra. Può essere un gioco a squadre. È un po' pericoloso perché alto è il rischio di essere colpiti.
–.- dugà a reğìna reğinèla
Oh, reğina reğinèla kuànte pàs èi da fèi par ruà al tò kastèl kosì bèl? Un bambino rimaneva girato verso il muro a fare la regina, mentre tutti gli altri stavano dietro e partivano da una distanza di circa trenta metri dal muro. A turno ciascuno chiamava la regina chiedendo: Oh, reğina reğinèla kuànte pàs èi da fèi ... La regina rispondeva senza vedere, indicando il numero di passi associati a un animale per indicare anche il tipo di passo: žìnke da ğàl (piccolo salto per ciascun passo), tre da elefànte (passo massimo), due da gambero (all'indietro) dói da formìa (mettendo un piede dietro l'altro), un da strùž (salto a piedi pari). Vinceva chi arrivava al muro e sostituiva la regina. Succedeva spesso che le regine facessero preferenze riconoscendo alla voce le richieste e questo dava luogo a facili baruffe.
- dugà a sčopetìn
Si otteneva uno schiocco con i fiori di genziana e di silene, facendoli scoppiare sulla fronte o sul braccio.
- di su le skalisènde
Scivolate sul ghiaccio. D'inverno si formano dei tratti di neve battuta lungo la strada. La neve battuta è piuttosto sdrucciolevole, e pigliando la rincorsa si riesce a scivolarci sopra per un tratto abbastanza lungo. Quanto più si gioca tanto più la neve diventa scivolosa permettendo delle belle skalisènde.
- dugà a l telèfono
Telefono. Si prendono due barattoli di conserva vuoti, gli si cava il fondo e lo si sostituisce con carta oleata. Poi si piglia un filo lungo, basta anche filo da cucire, si fa un buchino nella carta oleata e si passa il filo legandolo all'interno su uno stuzzicadente o un fiammifero usato per trattenerlo. Quando si tende il filo i due barattoli-telefoni sono pronti all'uso. A questo punto ci si mette in due, uno da una parte e uno dall'altra e si comincia a parlare come fosse un telefono.
- dugà a tònbola (koi faśuói)
È il noto gioco casalingo delle ricorrenze classiche, natale, carnevale, compleanni. Gioco al quale tutti partecipano, dalla nonna ai bambini piccoli, magari con qualche aiuto. Il banditore accompagnava l'estrazione dei numeri con qualche commento ironico del tipo: un, un par om; setanataséte le ğambe de le fémene; treentasié - sie par sié trentasié; novànta la pìta čànta.
- dugà a la tròtola
Il normalissimo gioco della trottola, vinceva il concorrente che riusciva a far girare la propria trottola per un tempo maggiore degli altri.
- dugà a pedavéne
Gioco dei tappi a corona. I concorrenti si servivano di tracciati su mucchi di sabbia o percorsi su cornicioni o muretti. Il tappo (pedavéna in quanto era il tappo della bottiglia di birra dell'omonima marca) veniva lanciato con spinte delle dita o delle nocche, facendo scivolare la pedavéna lungo il tracciato prescelto. L'iniziale sorteggio stabiliva l'ordine di giocata; ogni partecipante aveva diritto ad un solo colpo alla volta. Risultava vincitore chi per primo completava il percorso senza uscire dal percorso stesso. Chi usciva dal percorso in qualunque punto doveva ripartire dall'inizio. Ognuno per distinguere la sua pedavéna la decorava incollando delle figure di ciclisti o di calciatori all'interno della corona.
- žerčo, ko la ròda de la bičikléta e kol fèr de la kośìna
Una volta i bambini si divertivano facendo rotolare lungo le strade un vecchio cerchio di bicicletta dopo averne levato i raggi ed i copertoni. Molte volte veniva usato anche il cerchio più grande della cucina. Il cerchio veniva tenuto in equilibrio, mentre rotolava lungo le ripide vie, tramite il ferro della cucina, usato dai genitori per levare i cerchi di ghisa sopra la stufa. Chi arrivava primo al traguardo senza lasciar cadere il cerchio, aveva vinto.
- dugà a spànda
Il gioco necessitava di poco spazio ed era quindi tra i primi ad essere esercitato all'aperto a cavallo tra l'inverno e la primavera. Si svolgeva davanti alle case dove appunto la neve si scioglieva per prima. Si utilizzavano le biglie di vetro o di argilla. La pallina si faceva scivolare lungo un asse inclinato alla cui base veniva posto un pallino. La direzione e la forza da imprimere alla pallina da parte del giocatore, comportava l'avvicinamento o meno al pallino. Chi si avvicinava di più dopo la misurazione fatta con la spànda (fuscello della lunghezza di circa 15-20 cm scelto di comune accordo dai contendenti) si aggiudicava la giocata e come premio guadagnava una bilia da ogni giocatore avversario.
- dugà a pìrole
Dopo aver modellato un piccolo filo di ferro (15 cm circa) ricavandone da un lato un occhiello, il gioco ha inizio. Lo scopo del gioco è di dimostrare la bravura nel conficcare la pìrola nella terra smossa o nel mucchietto di sabbia . Il lancio era effettuato trattenendola inizialmente tra i due indici; dopo una rapida capovolta, la pìrola doveva penetrare con forza nel terreno.
- dugà a l pòči
È un gioco simile al precedente per giocatori più esperti. Fatto un cerchio in terra, si pone all'interno il pòči, una pallina colorata leggermente più grossa del normale. A turno i vari giocatori lanciano la loro pallina contro un muro o una porta; rimbalzando quest'ultima deve entrare, il più vicino possibile, al pòči. Nel caso la pallina non entri nel cerchio, il lancio può essere rifatto. Si effettuano le misurazioni delle distanze con un legnetto scelto all'inizio del gioco. Il proprietario della pallina più vicina vince tutte le altre palline.
- dugà ko la górna (grondaia)
Ulteriore gioco con le palline. Cercata una casa con la górna di scarico terminante con una zànča, a turno viene lanciata, con forza, una pallina che risale la grondaia; quella che, nello scendere, si allontana maggiormente vince. Il proprietario prende tutte le palline. Il gioco non dura molto, per effettuare più partite molte volte si ricorre al prestito. Era consuetudine inizialmente, per evitare discussioni finali, scambiarsi le palline in modo che ognuno avesse un suo colore.
Autore della scheda: Marina Calligaro de le Pàule, Giustina (Giuditta) Zanella, Andrea Angelini.
eof (ddm 02-2009)