Giornale n. 2 - Apr 1998
Sommario:
Nota: gli scritti in ladino cadorino hanno usato una scrittura semplificata, omettendo accentazione e segni utilizzati dagli specialisti linguisti. Ciò per rendere più facile la lettura, che è per molti difficoltosa essendo il ladino-cadorino una lingua parlata (e non scritta). Ci scusiamo quindi per gli errori e per la semplicità dello scrivere, che vuole però avvicinare tutta la gente alla scrittura e lettura in ladino cadorino. Lasciamo con piacere accenti e lettere strane agli studiosi: noi cerchiamo di parlare con la gente.
Un giornal par pensà e scrive dela nostra tera e dela nostra dente
Son ancora ca a parlà de la nostra dente, a tacà a scrive n dialeto, a zercà de portà avanti la voia de mantegnì chel toco de storia e de tradizion leade al nostro modo de vive de dente che sta nte le val de le Dolomiti. Credon che l dialeto che parlon, l modo de vive e de pensà sea compai nte I nostre luoghe e che, propio par salvà chel che è e è stada la nostra cultura, dovon tacà a partala nte le scole e a feila rinase nte I dovin, prima che la sparise co la television. E chesto podon feilo solo se stason unide, se riuson a pasà sora a chel modo de pensà solo par se e pal so paes: zercon de pensà che sono dute, da Cortina al Comelgo, nte la stesa situazion, che l modo de parlà e compai, con qualche diferenza, che par avé un doman meo dovon ese tacade. Se no lo fason, no riusiron a difende dute chele concuiste che avon fato ma che è sempre a ris-cio de ese giavade: come i ospedai, le scole, l pretor. La dente de montagna à da desmentease chel campanilismo che ne à ruinou fin a niere e tacà a pensà che solo laurando nsieme se può defende diriti e concuiste fate ndrio. L sentise "nostra dente" parchè se parla compai e parchè se vive e se à vivesto par ane anorum nte sti poste e n modo par defende dute nsieme le tradizion e la cultura de la dente de montagna ma anche par laurà par un doman agnò che la dente che vive casù la stae ben e la se siente "a ciasa soa". Se ciamon Union Ladina parche l nostro dialeto l'e ladin e parchè l'Union de tute le Union Ladine de Belun po da forza de mantegniì chel che I todesche ciama "Heimat", l'amor par la so val e la so tera e l senso de le "radis".
Francesca Larese Filon
Presidente dell'Union Ladina del Cadore de Medo
Attività svolta nel trimestre gennaio-marzo 1998.
L'anno nuovo si è aperto all'insegna del programma di promozione culturale organizzato nel 1997 con l'obiettivo di sensibilizzare studenti, docenti e popolazione alle tematiche legate alla nostra cultura di Cadorini.
- Sono ancora in corso gli incontri rivolti agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori che ci hanno permesso di portare numerosi relatori a tenere conferenze monotematiche su aspetti di storia, lingua e ambiente montano con successo e apprezzamento da parte dei ragazzi che si sono mostrati particolarmente interessati e stimolati da informazioni che li aiutano sicuramente a capire e apprezzare meglio il territorio. Il programma ha visto la partecipazione della scuola media di Auronzo con le sedi staccate di Lorenzago e Lozzo, di quella di Domegge e di Pieve (con Calalzo). Conferenze sono state richieste anche dalla scuola professionale di Pelos e dalla scuola media di Cortina. Non sono invece arrivate richieste da parte del Liceo scientifico di Pieva, dall'ITIS e dall'Ottica, anche se invitati a presentare la richiesta alla Comunità Montana Centro Cadore che si è impegnata a finanziare l'iniziativa.Le conferenze nelle scuole continueranno fino alla fine dell'anno scolastico.
- Il programma "Alla scoperta del Cadore" ha permesso di organizzare serate informative in tutti I Comuni del Cadore. Spettava al singolo comune richiedere la conferenza che riteneva di suo maggior interesse e così è stato dato un ampio ventaglio di possibilità a tutti i Cadorini. Il pubblico che ha partecipato è stato numericamente discreto (dalle 30 alle 50 persone) visti gli argomenti non di carattere ludico delle conferenze. Complessivamente il bilancio risulta essere positivo sia per le belle relazioni tenute dagli specialisti chiamati sia per aver iniziato un programma di sensibilizzazione culturale che contiamo possa andare avanti.
- Il Corso di aggiornamento per gli insegnanti è stato il terzo punto su cui abbiamo voluto puntare il nostro impegno, con l'obiettivo di stimolare nel corpo docente una maggior sensibilità sulla cultura locale. Il primo incontro tenuto dalla Prof. Daniela Perco sulla cultura materiale è stato di notevole interesse vista la grande esperienza della relatrice sulla documentazione delle tradizioni e della lingua parlata in Cadore. è stata portata all'attenzione l'esperienza del Centro di Documentazione della Cultura Popolare di Feltre e del Museo Etnografico Provinciale di Serravalle di cui è conservatrice la Perco. Importanti le informazioni sulle modalità da seguire per le ricerche sul territorio e sull'importanza di trasmettere ai ragazzi questa sensibilità in modo far ritrovare a loro un importante punto di contatto con il mondo dei padri e dei nonni.
- Il secondo incontro è stato incentrato proprio sul Ladino Cadorino (questo sconosciuto!) con una lezione a quattro mani tenuta da Sergio Croatto, ricercatore del CNR e linguista, e Lucio Eicher Clere, presidente del Gruppo Musicale di Costalta e rappresentante dei Ladini del Comelico in seno alla Federazione Ladina del Veneto. Un pomeriggio in cui le caratteristiche fonetiche del ladino si sono alternate all'utilizzo pratico di questa lingua per la produzione di poesie e canzoni originali volte al futuro. Il Ladino cadorino non come lingua morta degli studiosi ma come importante possibilità per tutti i parlanti di proporre una propria cultura legata al nostro essere gente di montagna.
- Il terzo incontro ha visto la presenza del provveditore agli studi per la scuola ladina della provincia di Bolzano Roland Verra che ha spiegato le caratteristiche dell'ordinamento scolastico delle vallate ladine dall'altro lato del Sella. Un divario impressionante e sconosciuto per noi che ignoravamo il complesso meccanismo scolastico istituito a poche decine di km dai nostri paesi, dove il Ladino è riconosciuto lingua a tutti gli effetti ed entra nella scuola a tempo pieno nella materna e poi con peso minore rispetto all'italiano e al tedesco. Scuola trilingue dove tutti imparano ladino-italiano-tedesco nell'ottica di un mondo dove le diverse origini convivono e si compenetrano dando a tutti lo spazio per saper parlare indifferentemente nei tre mondi. "Un tetto per tre lingue" è questo lo slogan portato avanti da questo piccolo provveditorato che oggi assicura la persistenza del Ladino nelle vallate del Sud Tirolo. Certo la sensibilità verso il Ladino e la cultura che è sempre stata praticata è più viva che da noi: in tutti I territori appartenenti all'ex impero asburgico il gruppo ladino è stato valorizzato come cuscinetto rispetto all'italiano, e questo a differenza di chi è rimasto sempre all'Italia dove è stata fatta un' opera di scoraggiamento e di depauperamento della lingua ladina. Fortunatamente in tutte le case delle famiglie originarie si parla ladino: si tratta oggi di portare la parlata cadorina dal ghetto delle case alla dignità di lingua simbolo della nostra cultura. Di certo dobbiamo imparare dal lavoro fatto nella valli ladine riconosciute dove coscienza e sensibilità sono state sviluppate negli anni.
I prossimi incontri del corso di aggiornamento per gli insegnanti prevedono la partecipazione della Prof. Giovanna Gambacurta che parlerà dei siti archeologici del Cadore e di Walter Deon che parlera di didattica della storia. Il restante programma continuerà nel prossima anno scolastico con gli aspetti storici cadorini.
IL VALORE DELLA LINGUA MATERNA PER LA NOSTRA CULTURA
LA NOSTRA CARA MARE-LENGA
La nostra cara mare-lenga, l nostro patuà o dialeto come che se vo di, chel parlà come che ne à nsegnou nostra mare e nostro pare, no é na roba morta, ma la po deventalo se no I dason noi n tin de coragio e de vita.
Par ades scogne di che ncora tante lo parla e anche pulito, e i à capiu che parlà dialeto é n modo par ese pì unide e sientise come n famea.
Calchidum parla pien talian, ma poce lo parla propio pulito. Calche ota é da ride a sientì chel che vien fora da zerte boce:
- Monta su su la coriera e ciapami il posto.
- Non sta portarmi il giornale, guarda se I à i boli per la letera.
- Ho fatto una cogoma di cafè e la mi à bastata tuto il giorno.
No é robe nventade, le èi sienteste co le me ree. Cuanto meo parlà prima n bon dialeto e daspò n bon talian. Ciapo par paragon doi diverse parlà: l Furlan e l Sardo. Ciataré ben de raro che no I parle l so dialeto n tra de luore; i lo parla con gusto, i siente de ese capide zenza falo un con chelautro e fin te le pi piciole intenzion; ma cuanche i parla talian i lo parla parfeto, anche se con manco espresion e se i lasa ntende de andoe che i vien par via de la pronunzia.
Te l dialeto é zerte parole, zerte mode de di, che i à n beltin de forza e, anche se i é curte, é difizile dili con poce parole taliane.
Beton Là: "L à fato n tacon"; vo di: -" Ha fatto un rattoppo", ma anche: - "Ha fatto un lavoro provvisorio o malriuscito" ; oppure: - "Ha subito un'operazione, ha trovato un rimedio che per il momento ha arginato il male" ; l'interpretazione sta nel contenuto del discorso.
"L é desto co la lioda": - "è andato con la slitta da trasporto" (a prendere o portare legna, fieno, letame o quant'altro).
Te na roba l dialeto é scarso: te di fora i sentimente, parchè i nostre vece no era tanto complimentos, i tegnia pi che autro de inte chel che i sientia e i lo fasea capì pi coi fate che co le ciacole. - Me vosto ben? -Te voi ben: erano già frasi rare, audaci e compromettenti; Ei asei: quanto dolore nascondeva questa semplice locuzione!
E co le parole nuove, come la betone? Le vien dite a man a man che le rua fora. Al sta ore davante la television; l é partiu co la machina; al va co la moto; l scolta la radio; la dora l conpiuter; la cosina co la pentola a presion; la sona la pianola letrica; al va su co l'asensor; l duia co I lego, ezetera, ezetera.
Chel che se po adatà a l dialeto, vien fora da sè, chel che no se po, se lo dis come che lo ciama dute. Se po don a zercà mestier vece, no é n atrezo, n laoro o n modo de laurà che no eve l gnome e la descrizion.
E alora se po parlà dialeto, che al di de ncuoi lé tanto calcolou e no é zerto n segnal de savé poco, anzi, come dute le robe vece e rare, al da al descorso na bela fisiognomia nostrana che piase a dute.
Lina De Donà - Lorenzago di Cadore
DIALETTO E CULTURA LOCALE.
Adès i me amighe de l'Oltreciùsa i dirà de segùro che io mesédo sènpre chela menèstra, e par ve dì la verità anche io son an tin stufo de tornà a ripete sènpre chela naina. Scrive danuovo che 'l dialeto 'l é na richeza e che avon da l mantegnì parcé che ize se ciata al sentimento, la tradiziones, la storia e soralduto la fadies e la tribolaziones dei nostre vece su sta puora tèra ìze medo la cròdes.
Ma éi d'aciaro de ve 'l tornà e dì par doi motive: inanteduto parcé che a mi me sa bel al dialèto e can che ciato na paròla vècia che debòto nesùn dora pi, par me 'l é na festa, 'l é na noza e dapò par secondo parcé cha can che digo UNION LADINA io guoi dì an ciapo de dente che à amor par la vecia parlada (cadorina) e duto ce che 'l e ize. Féi "cultura locale" par talian ize na Union Ladina me fa deboto da ride. Pensà solo come che ien stropiade carcheota par talian zere biéi gnomes de luoghe e cuanto bel che saràe a i ciamà polito par dialeto, e intende così meo ce che golea di: Pian dei Race, Costa Federa, Autia del Prèe, Col de la Lun, Col de le Bocaléte, ez.
E dapò pensà a l'inportanza del dialeto par capì i soranomes de faméa che se dora ancora al di de amcuoi: i Remesere, i Lauriote, i Moneghe, i Ciaurez, ez.
Ma chi che à laurà sui cianpe, ize 'l bosco o su la monte i sa meo de me l'inportanza che à 'l dialeto par ciamà an grun de sarvise che tanta òtes no à gnanche an gnon par talian: cionco, zapin, risina, malvan, luda, ez. Se presempio goloon fei an museo de la "cultura materiale" o museo etnografico se 'l golé ciamà così, me diseo vos par piazer come che fason a menzonà zerta robes o zerte laore? Ma éi pensier che ancuoi tanta dente cadorina no la siepe pi che diferenza che 'l é intra 'l mul de la puina e 'l scatol del formei.
Na ota 'l ladin cadorin 'l era de seguro na parlada ugnola, con carche piciola diferenza da 'n paes a 'l autro, masima che pi dalonde, parcé che 'l Cador 'l é senpre sta ugnol de storia e de teritorio, fin dai tenpe dei tenpe. Ancuoi io credo che la nuoves ieneraziones se le guò dasen fei argo par la so tera e la so dente, les à da tornà a ciapà danuovo ize man al dialeto e i libre de prè Piero Da Ronco e Antonio Ronzon.
Enzo Croatto - Union Ladina de San Vido e Oltreciusa
Ci scusiamo con l'autore per aver usato una scrittura semplificata, omettendo molti accenti e le indicazioni fonetiche di alcune lettere.
STORIE DE NA OTA E DE NQUOI.
SAN BASTIAN COLA VIOLA N MAN
Me par che S.Bastian no sée pì tanto contento de noi: se vede poche l vinte de genaro vegnì do dala Palamonda "co la viola n man". Quanche de Genaro 'l saroio se auza, 'l pasa por sora 'l Col de Vilagranda, daspò èse stou sconto alcuante mes. Propio l vinte de Genaro 'l rua su dala ciesa de San Roche e 'l vien saludiòu dala dente come 'n vecio colega fedél, che no tradise mai, che sta via 'n tin de tempo, ma daspò torna a portà lustro, calor e vita. E dute se ciata lasù, agnò che na ota era 'l capitel Da Corte e dal 1858 la bela cesa dedicada a San Roche e San Bastian.
Se taca bonora cola Mesa 'n onor de San Bastian e po dadesiéra se se ciata por na bela zena dute 'nsieme e daspò festa da balo por dute chi dela contrada de Riva da Corte.Fin calche an fa, dea solo i omen ala zena e daspò i dea a tole le balarine che spitiàa a ciasa. Solo da poche ane (da quanche i à tirou a largo le "pari opportunità"), anche le femene podea dì a magnà. Era tanto difizile a un che no fose dela contrada fei parte ala festa. L'era visto come 'n cian de cesa.
Pecà che chesta bela tradizion see stada betuda do. Da tre ane defati, la festa no se fes pì. I doven no smanea de dì a balà agnò che i sona solo valzer, polche e mazurche e chi de meda età, por na storia o por 'n autra, é restade masa n poche. Forse por chesto é pì poche anche le viole!.
Ida Zandegiacomo De Lugan - Auronzo di Cadore
STORIE DE NA OTA E DE NQUOI.
L porzel de Sant'Antone
Via pol marzo, quanche 'l tempo scomenziaà a modorase e 'l neve por le strade se avea delegou, vegnia molòu 'l porzel de Sant' Antone. Era 'n porzel comprou coi schei de dute e arlevou 'n tin pron da duta la dente del Comun. Primo se tiriaa a sorte de quala famea che l'avea da dì a bonà quanche vignea gnote e là lui savea che l'avea da dì cuanche vignea scuro. De dì, cuanche se lo sentìa rugnà, se corea su la porta, gnante che 'l vegne inze a reclamà da magnà. Le femene dea fora co na gamèla de sbrodecio, vanzadure de menestra, calche bocon de polenta o doe tre patate farcaiade. L porzeluto magnàa do 'ngordo e pò via a carì da 'n autra famea! E ntanto 'l vegnia gran e gras e, quanche 'n giro era la peste dei porziéi, chel no ciapàa mai nuia: se la scapolàa sempro. A fin de l'autono 'l vegnia vendù e i schei vegnea mandade a Sant'Antone por 'l pan dei porete. Se tegnea algo dei schei por comprà 'n autro porzeluto l'ainsuda daspò.
Ida Zandegiacomo De Lugan - Auronzo di Cadore
STORIE DE NA OTA E DE NQUOI.
La sagra dei pitoi
Ai tempe de nota… quanche reone tosate ca ntorno al paese aveone tante ciampe de sorgo e d'autono porteone a ciasa i pitoi co la careola e po i beteone su te sofita che i se seche, ben leade sule stange. Po na sera d'inverno quanche fora neveaa se beteone là dute a desfoià, da po i pitoi i vignea sgranade e l sorgo portou ca dal mulin e aveone la farina par fei polenta duto l an. De solito dadasera quanche se avea magnou chel piato de menestra no faseone pi fuogo parché se consumaa legne e i ne disea che quanche sona l'ora de nuote i tosate i a da ese dute a dormì e guai sta sù dopo chel ora, e così ale sete, sete e meda d'inverno toleone su l maton te n sacheto de tela de lenzuoi vece, che no la era proprio bianca e deone su par le sale quasi a scuro e diseone su le orazion: "Angelo di Dio che sei il mio custode…".
Aveone proprio bisuoi de n custode par di inte te n chele cambre giazade coi lenzuoi de cianepa che avea fato la bisnona col teler, dure e ruspie che someà carta vetrata, ma i tosate, se sà, la sera reone strache a forza de core e staseone ntin grifolide coi pes sul maton e po dormione fin da bonora, e ntin i lenzuos ruspie ntin pal fredo leveone su bianche e ros come i pome. Cosi na siera che neveàa l nono betea inte te la fornela doi biei toche de len de laris che i fasea n bel ciaudo e i se betea subito a ciacolà come che i fose de ciasa: par noi tosate chela era na sera de festa, là tel cicio a scoltà le storie del nono e de chi lens de laris che i continuaa a ciacolà.
I sache dei pitoi i era pronte, i biceone fora la sul siolo de len co le bele sfese larghe, che ne dea ben a bicià sote i zigui dei mandarini che ne portaa la befana, quanche la se pensaa de pasà e po beteone al "van", chel canestro fato col len de salezo che servia a bete inte i pitoi desfoiade, e ades scominziaa el laoro. Noi tosate a di el vero pì che laurà staseone a dugà, a feise i mostace e la paruca, bionda, rosa o negra co le sede dei pitoi e rideone dute contente. Anche l pare e la mare avè zinche tosate ntorno i se godea a vede la festa che faseone con gnente, propio gnente: doe sede dei pitoi. Ma i vece ne disea sempre "par godese, bisogna contentase".
Le foie dapò le vignea divise, chele burte le porteone te stala a sterne le vace e chele pi bele le beteone nte i sache e po i le doraa a fei i paeoi par noi, parchè alora (no era panolini e panoloni) fin a l'età de diese - dodese ane dormione su le foie de sorgo che le vignea cambiade ogni an. No ereone delicati e dormione benon anche sul lieto de foe.
I tempe e cambiade, tanto, n pedo o n meo?
Che bel sarae sta ancora n tin te chela ciasuta col siolo de len con chela lusuta proprio puareta, con chela fornela che faseone la peta, con chela cardenza... non desmenteo mai l so profumo de polenta e formai, con chele braghe con vere tacoi, ma là dute nsieme a defoeà pitoi.
Tita De Ina (Giobatta Da Rin Pagnetto di Laggio)
Il programma preliminare delle manifestazioni per la commemorazione dei moti del 1848 in Cadore.
A 150 anni dai moti del 1848 il Cadore ha deciso di organizzare in modo unitario una lunga serie di manifestazioni per ricordare quegli avvenimenti e per guardare al futuro, nell'ottica di ricordare ed informare le nuove generazioni sul nostro passato ma anche di far diventare l'anniversario un modo per discutere della situazione politica attuale e del federalismo. Il comitato promotore, intitolato Cadore 1848-1998, raggruppa la Magnifica Comunità di Cadore, il Comune di Lorenzago, S. Vito, Vigo, Pieve di Cadore, Ospitale, Valle, la Comunità Montana Centro Cadore, l'Arcidiaconato del Cadore, l'APT Dolomiti n.1, la Cassa di Risparmio di VR-VI-BL-AN, il Lyons Club Cadore e l'Union Ladina del Cadore de Medo. Il Comitato ha organizzato un nutrito numero di appuntamenti, conferenze, mostre, manifestazioni che copriranno tutto il 1998 in ricordo del 1848.
L'Union Ladina del Centro Cadore è stata coinvolta in quanto due conferenze di quelle proposte nel suo programma riguardano proprio questo argomento e sono tenute da Mario Ferruccio Belli (1848 a 150 anni) e Giancarlo Pagogna (il 1848 visto dagli Austriaci). Il primo relatore è già stato presente nella scuola media di Auronzo dove ha parlato ai ragazzi e alle autorità (era presente anche il Sindaco Renato Corte Sualon) delle vicende del 1848 e il 3 aprile sarà nella sala consiliare di Pieve per una conferenza diretta alla popolazione.
L'Unione Ladina ha inoltre riproposto, in seno al comitato promotore, nuove conferenze nelle scuole, al fine di far conoscere agli atudenti le vicende legate a quell'anno particolarmente importante per il Cadore.
Numerose sono anche le altre manifestazioni, fra le quali ricordiamo in base al programma preliminare:
24 aprile: apertura delle manifestazioni a Pieve di Cadore con una conferenza sul 1848 e l'inaugurazione della mostra "Il Risorgimento del Cadore attraverso la filatelia"
25 aprile: annullo postale e Messa di Commemorazione presso la Chiesa di S. Francesco all'Orsina (Comune di Calalzo) ove si troa il sacello ai Caduti del 1848
9 maggio: a S. Vito commemorazione dei fatti di Chiapuzza - Dogana Vecchia con coinvolgimento dei Comuni di Borca e di Vodo e con l'intervento delle scolaresche e la sera il concerto organistico sull'organo restaurato del 1848Nello stesso giorno a Ospitale inaugurazione della Piazza ai Caduti del 1848 con S. Messa a Termine di Cadore la commemorazione della battaglia "Col dell'orto" e conferenza di Bruno De Donà presso Palazzo Costantini con la visitazione storica dei fatti del 1848.
30 maggio conferenza per le scuole presso la Magnifica Comunità di Cadore con la partecipazione degli storici Giuseppe De Sandre ed Eliseo Carraro
31 maggio a Vigo il corteo d'auto fino a Selva con posa dalla corona al monumento a Paolo Da Rin Chiantre, poi posa di una corona a Rindemera con brevi interventi dei sindaci di Vigo e Lorenzago e lettura dei nomi dei militi dei Corpi Franchi di Vigo, Lorenzago, Auronzo e Lozzo che nel 1848 combatterono a Rindemera. La sera presentazione presso l'asilo di Lorenzago del libro di Musizza-De Donà su "L'Oltrepiave nel Risorgimento italiano - 184" edito dal Comune di Vigo. Serata presentata da Emanuele D'Andrea e animata da diapositive.
4 luglio: a Lorenzago conferenza di Antonio Chiades "…forse non rivedrò più l'Italia ne Voi" dal carteggio fra Ugo Foscolo e Isabella Teotochi Albrizzi.A Pieve intitolazione della piazzetta a Luigi Coletti
18 luglio: a Lorenzago intitolazione della Via a Mons. Giovanni De Donà, storico e patriota del 1848
25 luglio: a Lorenzago deposizione di una corona in località Ciampo in ricordo delle due donne trucidate nel 1848 (Pasqua Tremonti e la figlia Maria Antonia" e deposizione di un'altra corona al Passo Mauria in ricordo della Brigata Partigiana "P.F. Calvi"
1 agosto: a Pieve concerto di musiche verdiane "Coro Tatro Regio di Parma"
2 agosto a Pieve spettacolo coreografico musicale dei gruppi musicali cadorini "Catubrii Vallis" con la partecipazione del Gruppo Musicale di Costalta e altri
5 agosto: a Lorenzago presentazione del libro di Musizza-De Donà su "L'Oltrepiave nel Risorgimento Italiano - 1848) con proiezione di diapositive
7 agosto a Vigo conferenza di Mario Ferruccio Belli sui moti del 1848 in Cadore
8 agosto: a Lorenzago concerto di brani risorgimentali della banda di Forni Avoltri
12 agosto: a Lorenzago conferenza di Bruno de Donà sugli avvenimenti del '48 a Treviso e a Venezia. Replica il 14 agosto a Vigo.
18 agosto: a Vigo conferenza di Musizza - De Donà sul parallelismo fra Risorgimento e Resistenza. Replica il 19 a Lorenzago
20 agosto: a Vigo conferenza di Giancarlo Pagogna su "I giorni della vendetta: l'azione di Van Welden dal 20 maggio al 10 giugno 1848". Replica il 26 agosto a Vigo.
22 agosto: a Lorenzago serata con Chiades, Kariuki e Tibolla "Atmosfera, suoni e parole di metà '800"
In settembre in programma una conferenza-tavola rotonda su Centralismo/Federalismo, Europa/autonomie: il senso dell'Unità d'Italia nel 1848 e dopo 150 anni.
150 ANNI FA, NEL 1848, NASCEVA ANTONIO RONZON
ALMANACCO MA NON SOLO
Pur con evidenti limiti contenutistici e formali, rappresentò un autentico atto d'amore di A. Ronzon per la storia e la cultura della sua gente.
"… Scrissi da una parte Pelmo, dall'altra Peralba e dissi: Usque huc et non amplius!" Così piantai le mie colonne d'Ercole e invece di girare per i mondi della luna, decisi di fermarmi in Cadore e di trovare entro i confini del mio diletto paese materia da lavorare e stoffa onde formare il mio libretto"
Così scriveva il giovanissimo Antonio Ronzon il 1° novembre 1872 a Venezia, e più esattamente in quel reale convitto M. Foscarini dove l'allora promettente ingegno di Laggio e futuro professore di lettere era sceso a ultimare gli studi e a fare professione di patriottismo.La sua idea, nutrita di zelo umanistico e sincero attaccamento ai destini risorgimentali, era di far conoscere le bellezze cadorine a quella madre Italia che dopo l'abbraccio del '66 non sembrava invero aver circondato di troppo affetto ed interesse le sue contrade. Ma, forse ancor più, quella di emancipare vita e cultura della piccola patria alpina, sottolineandone gli aspetti più antiquati e inaccettabili.
All'anno 1873 è dedicata la prima annata (Venezia, Prem. Stab. Naratovich, 1872), incentrata su un sommario di storia cadorina, dalle origini al 1871, su una poetica rievocazione del genio di Tiziano, su di un saggio sul dialetto cadorino, nochè su una silloge di informazioni varie sul Cadore, dal numero degli abitanti (al 31.12.1871 nel distretto di Pieve vi erano 21.984 abitanti e nel distretto di Auronzo 18.138) alle fiere, dai mercati agli indirizzi utili.
Nel 1874 compare, sempre a Venezia (Tipografia Antonelli) l'anno II, con dedica ad Agostino Coletti, chiamato "secondo padre", benestante ed operoso cadorino residente in laguna.L'Almanacco inizia qui la sua parte più originale e brillante, ovvero un viaggio attraverso I paesi del Cadore, rivisitati nei loro pregi e difetti. Non dimentichiamo che quando il Ronzon compone questo embrione di guida turistica, la Regina Margherita forse nemmeno pensa a vacanze sue e della sua corte a Perarolo e dintorni e il Carducci, lungi dall'essere vate riconosciuto ed osannato, non immagina di dovervi venire (ma appena nel 1892) a celebrare e divulgare virtù della natura e degli uomini.
Anche le guide di Venanzio Donà e lo stesso "Cadore descritto" del nostro Ronzon sono ancora allo stadio di abbozzo tipografico, per cui questo viaggio del 1874 ci sembra il più autorevole tentativo di disegnare un itinerario storico e culturale attraverso valli ignorate dal grande turismo e fors'anche misconosciute dalla stessa storiografia contemporanea.
Il simpatico viaggiatore parte da Auronzo, sale a Danta, indi punta su Candide, S. Nicolò, S. Stefano, S. Pietro, Sappada, per ritornare infine a Tre Ponti, Lozzo, Lorenzago e Vigo, in circa 150 pagine.
L'annata si conclude con un'appendice sul dialetto cadorino, sugli orari di corriere e messaggerie postali e sul lunario.
Quello che ci piace di più in questo ameno divagare per i paesi cadorini è l'atteggiamento bonario dell'autore, che parla davvero in prima persona, spesso intervistando "a caldo" viaggiatori e villici e talvolta sferzando gli aspetti meno edificanti della politica regnicola e, quando occorre, alcune consuetudini, ancestrali sì ma assai poco salutari, della sua gente.Attento osservatore di tutti i progressi compiuti e di tutto ciò che resta da fare, il Ronzon non manca mai di ribadire la necessità di scuole pulite e ben sovvenzionate, di maestri capaci e ben gratificati, di imprenditori locali coraggiosi e lungimiranti.
Altri punti di forza sono l'educazione all'igiene, con la continua raccomandazione a spostare lontano dalle case le concimaie, e la raccomandazione a fondare cooperative per la valorizzazione del latte e del formaggio locale.
Qua e là si coglie più evidente la personalità "politica" del Ronzon, che, legato a stereotipi manzoniani, non solo nello stile ma più ancora nei modelli di vita, non suggerisce mai bruschi sommovimenti o afflati socialisti, bensi un prudente e progressivo riformismo, quasi nella scia della secolare lezione storica della Serenissima, cui vien riconosciuto il merito degli anni migliori di queste contrade alpine.
Nel 1875 (Venezia, Tipografia Antonelli) appare l'anno III, con dedica a G. Costantini, Senatore del Regno: esso è basato su di un poderoso saggio sui Podestà e Capitani del Cadore e sulla continuazione del Viaggio in Cadore (Ospitale, Perarolo, Valle, Cibiana, Pieve, Calalzo, Domegge), nonchè su un lunario per l'anno in corso.L'autore vi aggiunge pure l'anno IV (per il 1876) con un'escursione a Vodo, Bosca, S. Vito, Selva, Zoppè, tratteggiate nelle loro radici storiche, nelle loro salienti vicende naturali ed umane, nelle loro famiglie più illustri.
Nel 1894, a Belluno, presso la Tipgrafia dell'Alpigiano, compare l'anno V (1894) e, quasi in contemporanea a Lodi (Tipografia dell'Avo), l'anno VI (1895).Per il nostro, dopo la sosta di 21 anni, è l'occasione per tracciare un bilancio dei progressi della sua piccola patria dopo numerosi avvenimenti importanti, atti a maturarla ed emanciparla: nel 1873 era stata stanziata a Pieve la I° compagnia alpina, nel 1877 era sorta la Sezione Cadorina del CAI, nel 1881 e 1882 la Regina Margherita era venuta a Perarolo e più o meno negli stessi anni stava sorgendo un poderoso apparato fortificatorio in Oltrepiave e sui colli intorno a Pieve. Uffici postali e telegrafici, mostre, industrie e scuole avevavano senz'altro innalzato il livello di vita cadorino, ma tanto rimaneva ancora da fare: la ferrovia anzitutto, l'industria del turismo tutta da organizzare, le scuole professionali e, perchè no, la stessa valorizzazione della storia locale, con la cura e lo studio delle antiche carte e l'istituzione di una biblioteca cadorina.
L'anno V contiene un saggio sulla storia antica del Cadore, fino al 476 d.C. (100 pagine) e un breve excursus sul folklore locale, nonchè l'"Indicatore cadorino", ovvero una guida degli orari della ferovia, degli omnibus, delle poste, con utili indici ed indirizzi vari per il turista.L'ultimo tomo è basato infine su due saggi ("Il Cadore sotto i barbari, dal 476 all'888 d.C." e "Toponomastica cadorina"), oltre che sul solito ma aggiornato "Indicatore".
Che cosa è rimasto, a 100 anni di distanza, di tale coraggiosa iniziativa editoriale, che per 60 centesimi permetteva di portare nelle case di valligiani e turisti un piccolo tesoro di storia ed amor patrio?
Certo a distanza di tanto tempo alcuni passi appaiono senz'altro enfatici e retorici e la lezione risorgimentale si palesa troppo invadente, intessuta di spunti manzoniani, foscoliani, leopardiani. Eppure in ogni frase si respira un grande affetto per la gente e le montagne del Cadore e nella descrizione dei vari paesi cogliamo aspetti e peculiarità ravvisabili ancor oggi nel comportamento di molti uomini come sulle facciate di alcune case. Segno che il Ronzon ha saputo fornirci davvero un affresco non contingente ed effimero di queste valli e, contemporaneamente, dimostrare che il Cadore ha conservato, bene o male, qualcosa di quell'impronta originaria e primordiale.
Walter Musizza e Giovanni De Donà.
La latteria di Lozzo di Cadore ed il museo sulla lavorazione del latte e sulla monticazione
Nella sede della vecchia latteria di Lozzo si aprirà quest'estate una mostra sulla lavorazione del latte e sulla monticazione nell'area di Pian dei Buoi: idea nata dalla collaborazione fra l'Union Ladina del Cadore de Medo e l'Associazione della Latteria sociale che ha messo nello statuto la necessità di trasformare la sede utilizzata per la lavorazione del latte in area visitabile dove allestire un museo della cultura materiale. Sarà un' occasione per vedere I macchinari e far capire alle giovani generazioni cosa si faceva in un passato non tanto distante nel tempo ma molto diverso dall'attuale. L'ingresso potrà servire anche come area di documentazione dell'itinerario dei Mulini che verrà realizzato a Lozzo nell'ambito di un programma già approvato dalla CEE, la zona centrale ospita ancora tutta la strumentazione per la lavorazione del latte e le stanza interne descriveranno il sistema di raccolta del latte e la preparazione del formaggio.
Si conta inoltre di trovare un buon numero di volontari che permetteranno di tenere aperta la latteria nel periodo estivo e di aprire su richiesta delle scolaresteche in tutto il periodo dell'anno.
La riapertura della latteria di Lozzo sarà un importante tassello per realizzare quelle "cellule museali" che permetteranno a tutti noi ed anche ai turisti di vedere come era la vita in queste valli poche decine di anni fa. Un bagaglio culturale che è un peccato perdere e la cui evidenziazione costituisce senz'altro un modo per valorizzare il nostro essere gente di montagna.
FLF
Il centro di documentazione della cultura popolare.
Buone notizie per gli appassionati di cultura materiale: la Comunità europea ha approvato il progetto di realizzazione del centro che prevede nel corso del 1998 la preparazione di una ricerca monotematica sulla monticazione e sulla terminologia ladina ad essa collegata. Circa 80 milioni sono stati messi a disposizione di cui il 50% finanziati dalla CEE ed il 50% dalla Comunità Montana Centro Cadore. Il progetto, partito su iniziativa dell'Union Ladina del Cadore de Medo si propone di avviare finalmente anche nella nostra zona la raccolta di materiale cartaceo, registrazioni, documenti, fotografie e quant'altro possa documentare una realtà quasi del tutto scomparsa, che resta ancora però nel patrimonio del ricordo degli anziani.
In Cadore mancava un centro che raccogliesse e documentasse una cultura materiale destinata a sparire: con questo finanziamento ma anche con la sensibilità della Comunità Montana Centro Cadore che si è impegnata a finire la ristrutturazione del palazzo Agnoli di Pelos e del Comune di Vigo di Cadore e che ha dato la disponibilità dello stabile, potrà essere cominciato un lavoro di raccolta e di sistemazione di quel vasto materiale esistente ma disperso. Coinvolti nel progetto la prof. Daniela Perco, oggi conservatrice e anima del museo etnografico provinciale di Serravalle di Feltre e la prof. Iolanda Da Deppo laureata in storia delle tradizioni popolari. Si tratterà di impostare l'attività di ricerca e raccolta e di organizzare il materiale.
Alla fine dell'anno dovrebbe essere realizzata una mostra monotematica sull'argomento, un CD-rom da diffondere nelle scuole, la stampa di un volume su questo tema riferita alla zona del Centro Cadore. Un'iniziativa che vorrebbe esserela prima di una lunga serie destinata a creare anche in Centro Cadore studi sugli argomenti della cultura materiale. Non musei etnografici come accozzaglia di oggetti ma ricerche che potranno portare alla realizzazione di piccole mostre monotematiche o a ricostruzioni degli ambienti. In tal senso si sta già muovendo l'associazione della Latteria Sociale di Lozzo che aprirà la prossima estate una piccola mostra sulla lavorazione del formaggio, quella di Domegge e quella di Vigo.
Insomma, intorno alla tradizione popolare sta nascendo un nuovo interesse che potrà portare al recupero, a scopo storico ma anche a scopo turistico, dei tanti edifici dismessi presenti in Centro Cadore e alla creazione di un centro dove convogliare tutte le informazioni e le registrazioni raccolte dagli anziani.
Quello che è ancora più importante è aver attivato questo canale con la CEE nell'ambito dei progetti di tutela delle minoranze linguistiche: un successo che insegna come bisogna guardare avanti ad un futuro dove gli aiuti comunitari potranno diventare di basilare importanza per realizzare progetti di valorizzazione culturale
Esperienze didattiche sulla storia locale alla scuola media di Auronzo di Cadore .
Nel volgere di pochi decenni le trasformazioni avvenute nei paesi del Cadore e del Bellunese sono state tanto rapide e vaste da cancellare in modo repentino un mondo che era rimasto quasi immutato per secoli.
Stili di vita, tradizioni, mestieri, riti stagionali e quotidiani sono stati quasi dimenticati o si sono persi del tutto. Attrezzi da lavoro, oggetti d'uso comune sono stati distrutti o al più relegati in qualche soffitta.
Una generazione di uomini e di donne, nati agli inizi del '900, è stata protagonista e testimone di questi cambiamenti che hanno rappresentato senz'altro un notevole miglioramento delle condizioni di vita, ma hanno creato anche molti problemi nuovi e di difficile soluzione.
Fare i confronti fra passato e presente non è facile e forse nemmeno produttivo, come non lo è sognare il ritorno ad un tempo ormai trascorso definitivamente, con tutto il suo bagaglio di gioie e di stenti.
Riteniamo, tuttavia, che sia importante e significativo per i giovani d'oggi, conoscere le proprie origini e le tradizioni della propria gente, cercando di ricostruire idealmente la vita paesana del passato, affinchè ci si senta tutti, giovani e meno giovani, continuatori di una cultura che ci appartiene e ci arricchisce moltissimo.
è con questo scopo che già da alcuni anni gli alunni della Scuola Media di Auronzo di Cadore, frequentanti le classi a tempo prulungato, coordinati dai loro insegnanti, svolgono interessanti attività di ricerca sulla realtà locale nei suoi vari aspetti: storico, economico, sociale e ambientale.
Non si tratta di ricerche svolte solo sui libri, ma soprattutto di indagini effettuate "sul campo", attraverso interviste ad anziani, ricerca ed analisi di oggetti, confronti con realtà simili a quelle di Auronzo.
Nel corso di questi anni il laboratorio di storia locale ha affrontato diversi argomenti fra I quali:
- l'architettura rurale nella Val D'Ansiei con particolare attenzione all'abitazione;
- l'alimentazione tradizionale;
- l'attività tessile;
- il corredo tradizionale;
- i mestieri legati all'utilizzo dell'acqua;
- l'uso delle piante officinali;
Ricordiamo anche fra le ricerche a carattere ambientale:
- progetto per un'area protetta: le Marmarole;
- progetto di una siepe naturale;
- studio su uccelli, nidi artificiali e mangiatoie;
I risultati di queste ricerche sono stati esposti al pubblico nelle Mostre sulle realtà locali che vengono organizzate e gestite presso la Scuola Media di Auronzo di Cadore dagli stessi insegnanti e ragazzi, nei mesi di luglio e agosto.
Le mostre sono state completate con l'esposizione di oggetti d'uso quotidiano legati al tempo specifico della ricerca, oggetti gentilmente prestati da gente del paese, fra i quali ricordiamo in particolarale Emma Piller, Gianfranco Buoite Stella, Nives Vecellio Del Monego.
Ricordiamo anche la gentile collaborazione della signora Licia Fedon di Domegge di Cadore, della quale abbiamo ammirato le "pupe de peza", realizzate con mani sapienti e amorevoli, utilizzando vecchi tessuti e riproducenti i costumi di un tempo e l'arredamento di case rustiche del Sig. Luciano Vianello di Auronzo di Cadore.
Agli insegnanti e ai ragazzi è parsa un'esperienza bella e coinvolgente, e non solo dal punto di vista didattico, perchè ha consentito di conoscere meglio l'ambiente in cui viviamo ora e quello in cui sono vissuti i nostri nonni, opportunità che è risultata molto gradita anche ai numerosi turisti che frequentano il nostro paese nel periodo estivo.
Ilde Pais Marden e Carmen Martignoni
NTIN DE STORIA PAR NO DESMENTEASE
LE FEMENE CADORINE DE N OTA
Nte i prime ane de chesto secolo, par la gran carestia che l'era ntel Cadore, I ome i à dovesto fei le valis e partì par l'America, (quaranta dì de bastimento). Nchi ane, é partide anca tante famee ntiere, calcheun, co la volontà e grande sacrefizi, I se à fato na bona posizion economica.
I ome che i e partide sole, i era partide co l'intenzion de fei dì via la so femena, ma calchedun se a desmenteà de la so femena, forse la via i se à ciatà n'autra…
La puora femena bandonada, magare co calche fiol da arlevà, l'à dovesto rodolase su le cotole e sgobà di e nuote, di par I ciampe, par i pra a ora par le famee bacane.
Nchi ane i è partide anca tante ome par l'esempon (l'esempon l'era a di a laurà nte l'Europa a fei nuove ferovie, parchè I Cadorins I e sempre stade brae murador e brae carpentier). I partia nte I mes de febraro-marz e I tornea nte I mes de setenbre-otobre, cuasi senpre i lasea la femena incinta…
A chi tenpe le femene le avea la famea su le spale, I laorente la stala (ai omen no i piasea la puza de borba), I fioi da arlevà, I vece da tende (spes al misier e la madona, vece comandoi e pratendoi).
I ome Cadorin no i à mai portà al zeston, senpre che le puore femene; le farea tre laore a l ota, al zeston coarià su la schena, le man ocupade a fei ciauza co la lana de San Vido, o strapontà sole de scarpet, pi de le ote co na canaia tacada a le cotole e magare co un fiol nte panza.
Un zeston de pistorte al pesea 25-30 chile e un zeston de borba al pesea 50-60 chile, col bro che colea do par al cù.
Le nostre femene le dea a pè a San Vido a fei filà la lana, onde che l'era l'unica filanda nte duto al Cadore, chele che le partia pi lontan le farea anca 50-60 chilometre nte na dornada. Gran caminade de tante ore le farea a di a menà le fede e le ciaure a pason nte calche casera del Cadore ònde i cenia ste bestie a pason.
Un laoro de cuanche le pausea, l'era chel de fei scarpet de peza: par fei le sole le medea apede tante straze par fei un spesor de zirca quatro schei, co na busela grosa e spago le farea tante ponte par feile ienì dure (l'é un vecio proverbio che dis "dure come na sòla de scarpet).
La tomaia i la farea con na straza pi bela, calche ota co un tin de veludo, su la ponta le ricamea calche fior par I fei pi biei.
Par tacà la tomaia a la sòla, le farea col ponto a buseta tanto fis, par finì Ie orlea al sora de la tomaia co la cordela.
A conclusion, no se può fei de manco de recordà le nostre femene cadorine de n ota, co tanta amirazion e tanta senpatia.
Tita da Pozale
ERBE E TRADIZIONE.
Durante alcune interviste fatte tra le donne del Comune di Domegge mi è capitato spesso di raccogliere notizie circa l'uso delle erbe come rimedio per le malattie più comuni. Si tratta per lo più di piante molto frequenti nei nostri prati.
L'uso delle erbe nella medicina popolare rappresenta senza dubbio un campo di ricerca estremamente affascinante che meriterebbe di essere affrontato e approfondito.Riporto qui di seguito il nome di alcune di esse e il loro utilizzo.
- Camomila: 'Le metone te orto e dopo darone a le vace e dopo anche a noi. Farone npachi. No la deve boe tanto. a le vace cuan che le era nsoreade, i metèa inte e i missièa su col bearon dopo ele le beèa. Le vace o le avèa magnà masa o le era nmagonade, le ciamone col magon. Par noi la usone par tante robe. Farone npachi sui goi, i dis che desfiama; e dopo a bée, se avone mal de panza: n bota camomila. La camomila la tolone te orto. Te ciatèe onde che i bucèa le scuaze, magare e n tin de seme de camomila e la ien su. Ades no te vede pì ma n òta...(Elia, anni 90, contadina)
- Slavaz: I metèa su i slavaz cuan che era nfiamà, é foie grande con sote bianco. me mare , poreta, l'avèa na fibucia te i slavaz, la netèa le foie e dopo la metèa su na fasa. Se te avèa mal de panza la te metèa su i slavaz. I iavèa fora l' infiamazion. Era una che avèa nome Tina, l'avèa n tumor sul stomego é l'avèa de chi dolor tremende e ela la dèa a ciatà slavaz. ( Maria, anni 85,contadina)
- Sambugo: La siera de San Giovani Batista bisognèa tolelo su. Dopo te lo sechèe e te lo metèe ia par l'inverno. E dopo te lo tolèe pa la tose, cuan che te avèe cataro. Bisognèa tolelo su la note de San Giovani Batista. Se lo sechèa no al sol, a l'ombra, che l restèa pì bel bianco. I lo metèa anche te l late, l é tristo, i disèa che l era tristo.
- (Elia, anni 90, contadina)
- Zirigogna: Me mare metèa sempre su zirigogna. La so medesina era la Zirigogna. Parché la tirèa fora fin che é materia, e dopo la seca su. Ca onde che son scotada, guai se i dotor savèa, l'avèa metù dute foie de zirigogna. E ienù fòra tanta de chela materia...e dopo son guarida. Se la metèa co l'oio, e dopo la la metèa su. ( Elia, anni 90, contadina)
- Erba dei tai: Me ero portada ia mèdo iedo co la fouz, fòra par Val di Gola: l avèo de pendolon. Alora me mare le duda a tirà ia n poche de foiede tai. la le à meteste su, l' à tirà fòra l fazolet sporco che l' avèa te casèla e l' à leà su. E dopo la me cambièa sempre sta erba dei tai e così son stada mèo. (Caterina anni 75, contadina)
- Anziana: L nono ca masteèa sempre la radis. E disèa sempre che farèa ben e po tirèa ia duta la siede, e se no là duto l di a seà, puareto. Farèa n grumo de siede e nveze che bée èga la la metèa inte come na cica. E se no l metèa inte anche l radicio selvarego. E chel che done su a ciatà. Lui cognosèa e metèa inte le foie e magnèa chel. Sempre par la siede. Par no bée tanta èga. ( Elia, anni 90, contadina)
Iolanda Da Deppo
UN FUTURO PER I LADINI CADORINI?
LADINITà COME OPPORTUNITà.
La cultura, dotta o popolare, se resta confinata nelle accademie e nei musei, si inaridisce e muore. Diventa oggettiva invece quando incontra I problemi e la quotidianità delle persone. Non ho mai amato le ricerche specialistiche sul ladino, le disquisizioni cavillose sugli accenti ed I segni diacritici: credo che il compito dei docenti universitari e dei ricercatori sul passato del ladino sia finito e sia aperto il tempo della costruzione di una cultura locale contemporanea, espressa nel linguggio che ci collega alla nostra storia e tradizione cioè il ladino cadorino.
è possibile, partendo dalla scuola, costruire un'educazione linguistica di base per il ladino? è possibile usare con naturalezza la parlata locale nei pubblici uffici e nelle riunioni ufficiali? Io credo di si ed il Parlamento Italiano stà per discutere ed approvare una legge che consentirà diverse possibilità in questo senso. Ma è chiaro che un linguaggio, una cultura, non può consolidarsi e arricchirsi soltanto con delle concessioni formali. Essa ha bisogno di persone che vi dedichino la passione ed il loro apporto intellettuale. è possibile suscitare dibattiti attorno a queste tematiche? è possibile scrivere saggi, fare filosofia, scrivere romanzi in ladino? è possibile produrre teatro, televisione, cinema, canzoni in ladino? è possibile creare interesse e stimoli artistici in questo ambito culturale? Una cultura nuova si solidifica e si amplia se ha questa concatenazione di fattori che concorrono a promuovere il suo cammino.
Il Cadore di questi ultimi decenni ha saputo,per scelta o per fortuna storica, trovare una risposta ai bisogni economici, che gli ha fatto fare un salto nella qualità di vita, coma mai s'era registrato nei suoi 2500 anni di storia. Una industria leggera come quella dell'occhiale, integrata in periferia, Cortina e Sappada, con quella turistica, hanno reso possibile la vita in montagna, quasi meglio che in pianura.
Accanto a questa cultura economica non sarebbe giusto e doveroso percorrere il cammino dell'arricchimento culturale più ampio, in tutti i settori a cui ho accennato? Credo che questo sia un impegno che tutti gli intellettuali che vivono in Cadore dovrebbero sentire in maniera forte, ma dovrebbe essere anche un ideale da proporsi ed attuare per le nuove generazioni di cadorini. Una cultura locale nuova, radicata nella storia e nel particolare, ma aperta agli stimoli di altre culture, da conoscere, confrontare ed integrare.
Un aspetto importante della cultura, che diventa coscienza politica, è la passione e l'interesse per la costruzione e l'organizzazione della società in cui si vive. Sia in Friuli che nei Grigioni la dimensione regionale vasta del territorio dove vive la popolazione ladina, consente un'identificazione precisa ed un'organizzazione istituzionale rappresentativa delle istanze del dibattito e dell'esercizio della democrazia da parte dei cittadini che vivono in questi territori. Nell'arca del ladino dolomitico la frammentazione in tre province non consente un cammino unitario. Ciò che dispiace, oltre alle disparità di trattamento tra le valli ladine del Veneto e del Trentino Alto Adige, è una visione ristretta dei problemi, che limita l'azione ai confini di vallata: ladini di Badia, di Gardena, di Fassa.
E, nel versante bellunese, tre comuni che continuano a rimpiangere la divisione dalla provincia del Tirolo, avvenuta nel 1918, e vorrebbero essere ricongiunti alla provincia di Bolzano. Questa ristrettezza di vedute non giova alla causa di un'affermazione della ladinità nel contesto europeo. Ma cosa volete che contino fra I popoli della minoranza europea 10 mila fassani, 1500 fodomi, 4000 ampezzani? Diverso sarebbe il discorso fatto in nome dell'unità ladina dolomitica, dove vivono circa 100.000 persone.
Un paio d'anni fa ad Auronzo è nata una suggestiva idea politica, che si è concretizzata in un movimento che ha anche tentato l'avventura della partecipazione alle elezioni: "Regione Dolomitica Europea", così è stata denominata questa associazione, che si è data l'obiettivo di dare rappresentatività alla gente che vive nelle Dolomiti con un movimento nato in queste valli. Forse c'era da aggiungere l'aggettivo "ladina", "regione ladina dolomitica europea", ma la linea tracciata dalle persone che hanno dato inizio a questa elaborazione politica è sicuramente valida. La regione dolomitica ladina avrebbe una sua omogeneità territoriale, interessi economici comuni e anche, anche se con percorsi storici distinti, un futuro da costruire insieme ad altre comunità della montagna europea. Abbandonare le logiche dei piccoli interessi di vallata, le nebbie del fondovalle, per alzarsi e considerare gli interessi comuni, sarà utile a tutti I Ladini delle Dolomiti.
Lucio Eicher Clere
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