[1] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.
D. Ditemi Onorio, quando in fase di esbosco vi erano due o più persone al lavoro sullo stesso tronco, avevate qualche sistema particolare per capirvi, per lavorare in sintonia?
R. Sì, avevamo delle parole. Iniziamo con il "pais". Il "pais" veniva usato quando si adoperava lo zappino. Lo zappino veniva messo con la testa rivolta verso il basso e si faceva leva. Precisamente come usare una leva. Si faceva leva sul tronco, tenendo lo zappino un po' inclinato nel verso in cui si desiderava mandarlo, avanti o indietro. Dopo vi era un'altra operazione detta "fuchs". Il "fuchs" consisteva nel piantare la punta dello zappino su di un altro tronco o per terra e lo si spingeva da soli. Queste operazioni potevano essere fatte da soli o in più persone; e si spingeva lo stesso tronco avanti o indietro oppure leggermente in qui o in là, fino a sistemarlo nella posizione voluta. Dopo c'era la "pithigada" (pizzicata). Questa operazione veniva effettuata quando si doveva far girare il tronco leggermente su se stesso e veniva fatta per appoggiarlo contro un altro tronco. Allora si diceva: "pizzicala un po'!" oppure "dagli una pizzicata!". E se non c'era nessuno ad aiutare si faceva da soli e si pizzicava il tronco, lo si girava un po', in modo da farlo andare dalla parte desiderata. Altra cosa era fare il "palo" per esempio. Il "palo " veniva eseguito poggiando la testa dello zappino a terra o su di un altro tronco e si faceva leva alzando il tronco che si desiderava spostare, indirizzandolo nella direzione voluta. Quando invece c'era da trascinare un tronco in avanti ci si attaccava allo stesso in più persone a seconda della grossezza e si procedeva così. Una persona era incaricata di "chiamare il colpo". Gli altri con lo zappino si preparavano a fare l'operazione del "pais". Quando l'incaricato chiamava, ed il segnale era circa così: o oo op! o oo op!, tutti facevano forza e spostavano il tronco di quanto si poteva riuscire. Alle volte si muoveva appena, altre volte si spostava un po' di più. Quando il tronco da spostare era, relativamente piccolo, si poteva fare un'operazione più semplice e si procedeva così. Si faceva il "pais" ma il comando era modificato da o oo, e non finiva con l'o oo solamente ma faceva oo longa! Allora longa (lunga) significava continuare a tirare finchè ci si riusciva; anche diversi metri, insomma, per un bel tratto. Queste erano le intese ed i comandi, le chiamate che facevamo, per poter lavorare in sintonia e non fare confusione sul lavoro...
[2] R. S., anni 72, ex boscaiolo, Falcade, 3 aprile 1999.
D. Quando si cominciava a far scendere i tronchi lungo le risine, i boscaioli si fermavano in punti di osservazione particolari lungo il percorso detti "poste". Che parole utilizzavano per comunicare?
R. Quando si lasciava andare il tronco, si diceva: "carga" e detta parola si trasmetteva ad ogni passaggio regolare. Chi si accorgeva di qualche irregolarità diceva: "bauf", che significa ferma. Se nel frattempo c'era un altro tronco in arrivo, nonostante l'ordine di fermare il carico, si diceva: "par aria". Se a monte del condotto veniva gridato: "segura", significava che per il momento il lavoro era sospeso ed i boscaioli a valle potevano agire in sicurezza nell'operazione di sgombero della condotta o altro.
[3] F. B., anni 85, ex boscaiolo, Canale d'Agordo, 9 giugno 1999.
D. Come si costruivano le risine?
R. Dunque, si posizionavano dei tronchi di una certa consistenza ai lati , che fungevano da sponda e in mezzo invece si disponevano delle travi a conca per lo scorrimento dei tronchi. Riesci a capire. Perché la sponda non cedesse, si piantavano dei pali sul lato esterno. Sul terreno ripido si utilizzavano dei pali più lunghi chiamati: "bailogn"... Non so come spiegarti... Aspetta. (Spiegazioni a tavolino) si posizionava il primo tronco fermato da pali, quindi si piantavano altri pali più lunghi a sostegno della sponda composta da uno o due tronchi sovrapposti al primo; così i tronchi che venivano avvallati in questo modo rimanevano nella corsia della risina senza fuoriuscire. Poi si procedeva allo stesso modo lungo tutta la linea della risina. Il primo tronco basale aveva un nome particolare: "soriz". All'esterno di esso si piantavano pali più lunghi (bailogn), fermati anche da un ulteriore tronco esterno appoggiato contro di essi... Sopra il tronco basale andava quindi, conforme l'occorrenza, uno o due tronchi a formare la sponda...
D. Ma per dare una certa consistenza alla risina si utilizzavano anche dei particolari chiodi a due punte (cambre)?
R. No, la struttura aveva già una sua stabilità. Non ricordo di aver mai dovuto utilizzare queste "cambre"... Se dove doveva passare la risina si fosse presentato... un avvallamento... ecco che i tronchi venivano incasellati ortogonalmente l'un l'altro sino a raggiungere l'altezza adatta richiesta dal resto del percorso. In quel caso... si fermavano i tronchi con chiodi di legno inseriti in fori fatti con le trivelle a mano... Questi chiodi si mettevano sul tronco di sponda sommitale e lo si tagliava in modo che avesse un appoggio più largo rispetto alla sezione circolare del tronco sottostante. C'erano tante metodologie; pratici in questi lavori erano i cadorini.
D. Che lunghezza avevano queste risine?
R. Conforme, ce n'erano anche di lunghe... In media 150 metri. Ce ne saranno state di più lunghe e di più corte.
D. Ma, non un chilometro?
R. No, non penso. Io non ne ho mai viste di tale lunghezza.
[4] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.
D. Nelle varie fasi di lavoro, che mi avete detto: abbattimento, sramatura, sezionatura ed esbosco, quale era quella che presentava più pericoli per le persone?
R. Bene, se vogliamo iniziare dall'abbattimento anche questa fase poteva presentare qualche pericolo; bisognava prestare attenzione che non ci fossero persone nelle vicinanze per evitare che una pianta in caduta li potesse travolgere. Ecco, bisognava avere prudenza, avere la testa a posto e prestare molta attenzione. Dopo c'era l'esbosco, di cui adesso andiamo a parlare. Questa fase era indubbiamente quella che impegnava di più, la più pericolosa. Potete immaginare i tronchi che scendevano con delle velocità talvolta esagerate e non andavano sempre per la loro strada, a volte uscivano dal tracciato. Non era così facile e semplice. Era un pericolo grandissimo, tant'è vero che quando facevamo le risine prima non ve l'ho detto, per moderare la velocità negli avvallamenti, lo avevamo escogitato, o appreso per tradizione, mettevamo un traverso che serviva... Non proprio un traverso... era un batocchio ("batòcio"). Noi lo chiamavamo batocchio ma era un tronco piuttosto grosso. Si faceva così: si legava alla coda del tronco una corda metallica robusta, doveva essere metallica perché prendeva certi colpi!, e la si tirava con la parte posteriore su per la sponda in modo che la testa penzolasse nella conca della risina. Quando scendeva il tronco a tutta velocità urtava questo batocchio, che andava a finire sulla sponda e poiché questa era ripida lo faceva poi ritornare automaticamente in posizione. Nel contempo il tronco in discesa subiva un rallentamento a causa di questo urto. Ecco, cercavamo di regolare la velocità in questa maniera in modo da avere maggiore sicurezza per il personale al lavoro.
[5] G. A., anni 69, ex boscaiolo e lavorante in segheria, Mas di Vallada, 24 febbraio 1999.
D. Mai costruito teleferiche?
R. Sì, certo... le prime teleferiche erano quelle con i volani, volano a monte, volano a valle, traente che girava sui volani, fune portante per i carichi ed un'altra per i ritorni, ovvero per il trasporto delle carrucole vuote. Trasportavi tutto a spalle,... venivano fatti alcuni rotoli della fune portante, dipendeva da che spessore era la portante, poi tra un rotolo e l'altro si lasciava un tratto di cavo libero per camminare agevolmente e quindi reclutavi tutta la gente possibile... gente ce n'era molta allora e che avesse voglia di lavorare anche, di guadagnare qualcosa non se ne parla... quindici, venti con il proprio rotolo di fune... Prima di montare la teleferica decidevi dove farla passare, facevi una cavalletta se occorreva... Prima si posizionava la fune portante... c'era un addetto che disfava i rotoli e dava fune a chi scendeva prestando attenzione a che non si attorcigliasse... fino ad arrivare al posto di scarico...
D. E per mettere in tensione la fune?
R. Per metterla in tensione avevi il "tirfort", paranchi a quattro carrucole, poi avevi i sotto tiri... se la zona d'arrivo dei tronchi era nei pressi di una strada camionabile si utilizzava il camion...
D. Le teleferiche sono sempre state utilizzate, che vi ricordiate?
R. Io ricordo che sono sempre state utilizzate, però la convenienza per l'allestimento di una teleferica dipendeva da dov'era collocato il lotto e da com'era stato martellato. Se il lotto era molto esteso in larghezza, allora era un problema, perché con l'utilizzo delle teleferiche a volani devi portare tutti i tronchi sotto la linea, invece adoperando il pescante puoi arrivare ad agganciare il tronco anche in posizioni più defilate... puoi raggiungere vari siti, anche avvallamenti piuttosto profondi...
[6] G. C., anni 80, ex boscaiolo, Selva di Cadore, 12 marzo 1999.
D. Se si trasportavano d'inverno, allora si realizzava una strada sopra la neve?
R. Sì, sulla neve e si transitava con la slitta. Nelle circostanze in cui una parte del percorso mutava pendenza, si rendeva necessario far appoggiare i tronchi anche su una slitta posteriore, "strozin". Questo comportava realizzare un piano di neve su due livelli differenti al fine di consentire l'inserimento della slitta. Si sistemava la slitta posteriore e la si fissava ai tronchi con delle catene, in quanto le corde erano troppo deboli, le stesse catene venivano fissate ai tronchi con delle piccole graffe "clomper". Questo avveniva quando si utilizzavano delle slitte posteriori prive di timone, le quali presentavano il problema di non seguire regolarmente la slitta anteriore. Si piantavano le piccole graffe in modo da creare un tutt'uno evitando così che la slitta posteriore prendesse, muovendosi, direzioni sbagliate. In tempi più recenti si è iniziato ad utilizzare slitte posteriori munite di timone, il quale veniva agganciato alla traversa posteriore, "piumaz", della slitta anteriore. Questo ha consentito di utilizzare delle corde in spago per il fissaggio dei tronchi, in quanto la slitta posteriore (strozin) seguiva di solito regolarmente quell'anteriore (cocio) nel solco, "giausola", e pertanto lo sforzo da contrastare era inferiore, nelle occasioni che la slitta usciva dal solco era difficile farla rientrare.
D. Quanti tronchi trasportavate sulla slitta, quanti ne caricavate?
R. Dipendeva dalla grossezza che avevano, se erano grossi non più di uno ed un piccolo a fianco per impedirne il rotolamento. Pertanto se ne sistemava uno piccolo lateralmente per migliorarne la stabilità.
D. La slitta la tirava una sola persona, o si andava in due per condurla?
R. Una, sì una persona solamente, ma sempre in discesa sai! Sempre in discesa perché come ti dicevo di tratti pianeggianti ce n'erano pochi.
[7] G. C., anni 78, ex boscaiolo ed ex guardia boschiva comunale, Lozzo di Cadore, 23 settembre 1999.
Prima che facessero la strada camionabile utilizzavamo il "cocio" e i cavalli per trasportare i tronchi a valle, attaccavano con le catene un tronco dietro l'altro, davanti il "cocio" e poi dietro attaccavano anche corone di 40 tronchi trainati dai cavalli.
D. Questo trasporto si faceva sempre con la neve?
R. Neve e la strada era ghiacciata, perchè la sera si bagnava la strada per formare il ghiaccio per prepararla per il giorno dopo, la si scopava con delle scope per farla diventare tutta liscia come uno specchio.
D. Mi è capitato di sentire un'altra parola, il "ciarezo", cos'era?
R. Il "ciarezo" sarebbe il "cocio" doppio. Due "coce" con il timone in mezzo, un "coceto" davanti e un "coceto" dietro con il timone sul mezzo attaccato come su un carretto. Questo era il "ciarezo", e i tronchi venivano caricati interi, non come sul "cocio" dove caricavano solo le teste mentre le code strisciavano sul terreno.
D. In pratica il "ciarezo" lo adoperavano su zone pianeggianti e abbastanza comode?
R. Sì, sulle zone comode e pianeggianti in presenza di neve. Invece il "cocio" lo adoperavano su zone tipo la Val Longiarin, caricavano le teste davanti e dietro una corona di tronchi e arrivavano fino quassù, sulla strettoia. Lungo la discesa, per rallentare, mettevano i "rozete" sotto i pattini del "cocio", e sotto i tronchi mettevano i "culaz", sempre per frenarne la corsa.
[8] O. G., anni 70, ex boscaiolo ed assuntore, San Vito, aprile 1999.
D. E i camion li caricavate a mano?
R. Sì! Facevamo così. Mettevamo due pali che partendo dal basso arrivassero fino al pianale del camion. Questi traversi (soies) cercavamo di metterli il più lunghi possibile, in modo che la rampa di carico fosse alquanto dolce. L'interasse degli stessi poteva variare da 2 a 3 o 4 metri a seconda del bisogno. Poi i due uomini che erano sul camion, fissavano il capo di una corda allo stesso. La corda veniva fatta girare attorno al tronco da caricare e quindi, tirando dall'altro capo, il tronco stesso rotolava o scorreva lungo la rampa di carico sino al pianale. E con questo sistema si carica. Chiaramente fare un carico, era un impegno, vi era un gran dispendio di tempo e di fatica; non vi erano le gru come al giorno d'oggi.