[1] F. B., anni 74, ex boscaiolo, Santo Stefano di Cadore, 13 aprile 1999.
D. Quando lavoravate nel bosco restavate fuori casa tutto il giorno. Se la sente di raccontare com'era una giornata tipica?
R. Dormivamo lì in Casera Antola (Val Visdende)... La sveglia era alle cinque del mattino, si partiva alle sei, facevamo otto ore di lavoro e si ritornava in Casera alle sei, sei e mezza di sera... Si iniziava il lavoro alle otto, alle nove e mezza si faceva una sosta per mangiare un panino e dopo lavoravamo fino a mezzogiorno, quando la polenta era pronta. Avevamo un'ora di sosta per il pranzo... Alla sera nascondevamo gli attrezzi di lavoro sotto gli alberi, perchè in quegli anni nessuno li rubava. Durante le giornate piovose si rimaneva tutto il tempo in magazzino. Si lavorava fino al sabato alle tre del pomeriggio e scendevamo a valle con le biciclette senza freni, con una tavoletta di legno appoggiata sul pedale, che veniva schiacciata verso il terreno al momento di frenare. Si ritornava in Val Visdende il lunedì mattina. Un anno eravamo in quaranta, cinquanta boscaioli. C'era molta miseria e tutti gli uomini facevano i boscaioli anche se non erano dei veri boscaioli ma ugualmente lavoravano nel bosco ad allestire i tronchi.
[2] C. D. M., anni 70, ex boscaiolo, Padola di Comelico Superiore, 21 maggio 1999.
D. Come veniva costruito la baracca?
R. Per costruirlo si utilizzavano delle travi tipo tenda, poi si toglieva la corteccia ad un albero per mezzo del "suibal" (attrezzo usato per la scortecciatura), un albero privo di rami altrimenti la corteccia sarebbe risultata bucata. Sul tronco si praticava un taglio longitudinale con la scure e poi con questo ferro o, spesso anche con un ramo un po' piegato al quale si faceva la punta, si toglieva la corteccia; si girava il tronco, si finiva di scortecciare e si stendeva subito la corteccia sopra le travi. Si utilizzavano sempre alberi privi di rami o residui di rami; non si utilizzava la corteccia del tronco basale più grosso, perché era dura e si rompeva facilmente, ma quella un po' più in alto. Si costruiva questo bivacco e tutti aveva un metro di spazio a disposizione delimitato da due pali; sul pavimento si mettevano delle frasche d'abete come giaciglio, ma niente fieno in quanto era portatore di pidocchi. Si dormiva ai lati del bivacco mentre al centro, sul pavimento, si faceva il fuoco. Per cucinare si costruiva una piccola tettoia all'esterno sempre con la corteccia. Ci coprivamo con una o due coperte. In estate non era male, ma quando c'era un inverno freddo come quell'anno su a Casera di Rin Freddo, quando ci toccò dormire sul pavimento di legno con una coperta sotto, che fungeva da materasso e una o due sopra, con in più qualche pastrano, allora non era così piacevole; ma avevamo vent'anni!
[3] G. C., anni 80, ex boscaiolo, Selva di Cadore, 12 marzo 1999.
D. Quando pioveva vi riparavate?
R. Sì, perché quando si hanno gli indumenti bagnati non si lavora più bene, alcune gocce e poi ci si riparava. In verità c'era Lorenzo che aveva la mania di lavorare anche sotto la pioggia, ma noi andavamo a ripararci così abbandonava il lavoro pure lui; insomma quando si hanno gli indumenti bagnati non ci si sente a proprio agio, inoltre ci sono stagioni in qui fa anche freddo. A settembre, nel bosco, il sole non penetra, pertanto bisogna fare attenzione a non prendere freddo in quanto diventa più difficoltoso lavorare.
D. Ci si riparava sotto un abete?
R. Sì, sì, ci riparavamo sotto un abete fra i più grandi, perché avevano più rami, ci si copriva con la giacca, si accendeva un fuoco e si rimaneva li.
D. Il fuoco lo si accendeva solo per preparare la polenta o anche in quelle giornate di maltempo?
R. Anche in quei giorni di maltempo. Beh! Veramente c'era qualcuno mattiniero, che arrivava sul lavoro presto ed anche per compagnia lo si accendeva, in quanto il fuoco fa compagnia. Ricordo che quando arrivavamo noi, che partivamo da Selva ed eravamo più distanti trovavamo il fuoco acceso, ci riscaldavamo ben bene ed iniziavamo a lavorare.