Il lavoro nei boschi.
La tradizione ladina dell'Alto Bellunese.

La giornata tipica del boscaiolo.

La giornata del boscaiolo incominciava all'alba quando partiva da casa per recarsi sul posto di lavoro, generalmente a piedi, percorrendo un tragitto che poteva richiedere anche un'ora di cammino. I più fortunati disponevano di vecchie biciclette, che venivano spinte a mano lungo le ripide strade di montagna, rendendo l'ascesa ancor più faticosa, ma velocizzando notevolmente il ritorno a casa.

Il lavoro iniziava alle otto del mattino, dopo che il caposquadra aveva dato a tutti le eventuali direttive e proseguiva ininterrottamente per circa un'ora e mezza; verso le nove e mezza veniva fatta una piccola pausa, bauf, di un quarto d'ora per riposare e mangiare un boccone. Riprendeva poi fino a mezzogiorno quando il cuoco aveva ultimato la preparazione della polenta, un alimento sempre presente nella dieta dei boscaioli. La pausa per il pranzo durava un'ora, ma poteva essere prolungata esistendo di fatto una certa flessibilità nell'organizzazione del lavoro, che prevedeva in ogni modo un'attività giornaliera di otto ore. Mangiando la polenta calda accompagnata dal companatico che ognuno si portava da casa, i boscaioli riprendevano le forze per affrontare le rimanenti quattro ore. Finito di mangiare, c'era ancora il tempo per schiacciare un pisolino all'ombra di un abete, ripensando magari alle difficoltà incontrate durante la mattinata. Il lavoro riprendeva nel primo pomeriggio e continuava fino a sera senza più interruzioni se non quelle per dissetarsi e fumare una sigaretta. Al termine della giornata gli attrezzi venivano nascosti sotto le frasche degli alberi abbattuti e gli uomini facevano ritorno alle loro case.

Se i lotti si trovavano troppo lontano dai paesi per potervi fare ritorno ogni sera, i boscaioli alloggiavano nelle casere o nelle malghe dismesse. Spesso capitava, però, che non vi fossero degli edifici nelle vicinanze, rendendo indispensabile la costruzione di un bivacco, cašon/cadon/baraca, edificato con il materiale reperito in loco. Esso aveva una struttura rudimentale e doveva essere sufficientemente grande da ospitare tutti gli operai e da permettere l'accensione di un fuoco, generalmente situato al centro della costruzione. La sua realizzazione era la prima attività di cui si occupavano gli uomini quando iniziavano il taglio di un lotto in una zona che non permetteva altre soluzioni logistiche. Innanzitutto bisognava cercare il posto ideale, rappresentato da un pianoro di terreno asciutto possibilmente protetto dal vento, dal quale togliere i sassi e livellare le eventuali protuberanze naturali. Venivano quindi preparati i pezzi necessari alla costruzione della struttura portante, costituititi dai cimali di alcune piante precedentemente tagliate e da piccoli esemplari martellati a scopo di spurgo. I montanti del bivacco venivano infilati nel terreno e legati agli altri componenti con corde di canapa e qualche chiodo, fino ad ottenere la forma desiderata. Il tutto veniva poi ricoperto dalla corteccia, scortha, degli alberi tagliati, che doveva essere priva di fori per evitare l'infiltrarsi dell'acqua. A tale scopo venivano scelte accuratamente le piante da abbattere verificando che avessero buona parte del tronco sprovvisto di rami o di monconi di questi ultimi, in modo che la corteccia risultasse totalmente integra. Visto che la costruzione del bivacco avveniva generalmente in primavera, quando cioè le piante erano in attività vegetativa, amor, la scortecciatura risultava estremamente semplice e tale da ottenere un unico pezzo, che veniva subito steso a terra e costretto con dei sassi a perdere la propria conformazione cilindrica. Questo lavoro veniva spesso vanificato dal formarsi di rotture longitudinali, soprattutto se la corteccia impiegata era quella dei tronchi basali, molto spessa e rigida. Persa la forma naturale, i pezzi venivano accuratamente fissati alla struttura con dei chiodi di ferro, facendo attenzione a sistemarli in modo che gli elementi posti più in alto sormontassero in parte quelli sottostanti favorendo lo scorrimento superficiale dell'acqua senza il pericolo di fastidiose percolazioni.

I giacigli per la notte, daga, si preparavano in terra, utilizzando le frasche degli abeti mondate dai rami più grossi per rendere la superficie più soffice e confortevole. Qualcuno si faceva portare dalla propria moglie il pagliericcio, una sorta di materasso costituito da un telo di canapa e riempito con fieno o fogliame di latifoglia.

Terminata la giornata di lavoro i boscaioli facevano ritorno al cašon, raccogliendo durante il tragitto della legna secca da utilizzare per accendere il fuoco, fogo/fuó/fuoc/foc, necessario sia per cucinare, sia per scaldare le serate fredde ed umide dei boschi di alta montagna. Per proteggersi dal freddo notturno ognuno si portava da casa due, tre coperte di lana, cuerte; spesso gli uomini dormivano senza togliersi gli abiti se non nel caso fossero stati bagnati dalla pioggia, piova/pioa, eventualità questa non molto rara, visto che le giornate di lavoro primaverili ed autunnali erano sovente interrotte a causa di tale evento meteorologico. Quando iniziava a piovere, i boscaioli erano costretti, loro malgrado, a ripararsi sotto gli alberi più grossi e densi di rami, dove le gocce d'acqua penetravano difficilmente. Lì accendevano il fuoco e aspettavano che spiovesse. Se il brutto tempo perdurava, facevano ritorno alle proprie case o al bivacco, consapevoli di aver perso in parte, o interamente, la giornata di lavoro. La consolazione veniva da un piatto caldo di minestra, da un buon bicchiere di vino e dalla compagnia dell'immancabile fuoco, sempre presente nella vita delle genti di montagna. Dopo cena, spesso, i più anziani raccontavano vicende di vita passata, ricche di particolari e di aneddoti più o meno veritieri, attirando l'attenzione dei più giovani con qualche digressione sulle proprie esperienze con le donne o su cupe vicende accadute nei paesi limitrofi che consolidavano la certezza della presenza delle anime dei morti.

Nelle giornate di pioggia i boscaioli dedicavano molto tempo a riordinare ed affilare i propri attrezzi di lavoro, atrethe/arte, che dovevano essere sempre perfettamente efficienti. Nel rimanente tempo libero erano i giochi di società quali le carte e la morra ad attrarre la loro attenzione, con sfide che duravano anche diverse ore.

Le serate in compagnia, le fatiche comuni, le difficoltà del lavoro, la convivenza in spazi ristretti, la consapevolezza di un bisogno reciproco di conforto e familiarità, creavano le basi per l'instaurarsi di rapporti di stima, rispetto e profonda amicizia, che spesso perduravano per il resto della vita.


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